Venerdì scorso scrivevo dell’inopportunità dell’approvazione dell’art. 50 bis del DDL “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica” , intitolato Repressione di attività di apologia o istigazione a delinquere compiuta a mezzo internet). Nel post citavo una considerazione di Stefano Quintarelli, che ieri è tornato sull’argomento con una riflessione puntuale e approfondita, che può essere molto utile a capire le implicazioni della questione, e di cui mi limito a riassumere alcuni punti salienti.
Ad una prima lettura appare chiaro che il testo approvato al Senato risulta essere addirittura pericoloso perché le sue possibilità di applicazione sono innumerevoli, vista la genericità dei termini con cui è stato formulato. Si prevede che il provvedimento si applichi per delitti di istigazione a delinquere o a disobbedire alle leggi, ovvero per delitti di apologia di reato, previsti dal codice penale o da altre disposizioni penali, un concetto fin troppo esteso, che comprende in pratica qualunque caso di inosservanza ad una qualunque legge. Il fatto che poi siano da perseguire i presunti delitti perpetrati in via telematica sulla rete internet non riguarda solamente un testo pubblicato in una pagina di un sito web o di un social network, ma di ogni mezzo di comunicazione elettronico che sfrutti Internet, inclusa la posta elettronica e i messaggi scambiati via chat. Ho parlato di presunti delitti, perché qui (purtroppo) non serve avere prove certe: in base a questo provvedimento, l’Autorità può muoversi qualora sussistano concreti elementi che consentano di ritenere che alcuno compia detta attivita’ di apologia o di istigazione, ordinando ai provider di utilizzare appositi strumenti di filtraggio necessari al fine di impedire le attività incvriminate.
Ora, dal momento che l’attività di filtraggio di cui parla questo provvedimento non sta ne’ in cielo ne’ in terra dal punto di vista tecnico, se la legge dice che è necessario impedire le attività incriminate, il provider – per obbedirvi – potrebbe vedersi costretto a prendere misure radicali, bloccando la pubblicazione di interi siti web o impedendo in toto l’utilizzo degli altri strumenti digitali di comunicazione. Una misura non solo eccessiva, ma anche estremamente dannosa e deleteria, perché così concepita colpirebbe pochi colpevoli e innumerevoli innocenti e costituisce una norma anticostituzionale che va contro la libertà di espressione di tutte le persone in buona fede.
E visto che il provvedimento deve essere valutato dalla Camera dei Deputati, ora potrebbe essere una buona idea far sapere loro (elenco indirizzi e-mail) come stanno realmente le cose, confidando che la l’intelligenza e la lungimiranza di qualcuno porti alla proposta di emendamenti più ragionati. Se avete conoscenze alla Camera, questa è una buona occasione per trasmettere un opportuno segnale di allarme.
C1P8
12 febbraio 2009 at 14:57
Chiarissimo e lampante esempio di legge scritta da persone che non conoscono l’argomento che vanno a regolamentare.
Sally
13 febbraio 2009 at 09:27
Io pero’ non ho capito una cosa: l’oscurazione di un sito che ha un contenuto incriminato quanto potrebbe durare, per legge?
LennyFan
13 febbraio 2009 at 11:13
Questo pessimo disegno di legge si basa su un emendamento avanzato dal senatore D’Alia, che poi ha preso le distanze da quanto lui stesso aveva proposto.
Guardate questo video e riflettete… il senatore parla di argomenti che non conosce: http://www.youtube.com/watch?v=7tfEDqBCOWw