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Facebook, riecco “Le più belle frasi di Osho”

Utenti allarmati, stamattina, nel vedere su Facebook la sospensione della pagina Le più belle frasi di Osho. Molti hanno pensato a un caso di censura, visti alcuni precedenti illustri dei giorni scorsi (certo che il paragone con Donald Trump stride un po’, eh). Comunque, a quanto pare, a tutto c’è una spiegazione:

Una segnalazione da parte di qualche utente probabilmente infastidito dall’uso del nome di “Osho”.

Tutto a posto, dunque, o quasi! Sulla pagina Facebook, prima della disattivazione, c’era questa che ora si trova solo su Twitter:

 
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Pubblicato da su 19 gennaio 2021 in news

 

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Attacco al Congresso, colpa della Rete? Ma basta!

Siamo nel 2021 e c’è ancora molta – troppa – confusione sul rapporto tra eventi e Internet, perché ancora oggi non tutti sono in grado di rendersi conto che non esiste correlazione tra fatti e strumenti senza intervento umano e c’è sempre chi individua nella rete la causa, in un’analisi superficiale del rapporto causa-effetto che ha caratterizzato quanto avvenuto a Washington il 6 gennaio.

E’ fuori discussione che Internet – con i social network, che ne sono un sottoinsieme – sia uno strumento di comunicazione formidabile e che questo sia evidente in contesti di campagna elettorale. Per ogni strumento esistono stili e linguaggi per comunicare: siamo passati da giornali, radio e tv prima di arrivare alla rete e ai social, e lo stile comunicativo ad ogni passaggio si è semplificato e velocizzato. Ma si tratta pur sempre di strumenti di comunicazione che l’uomo ha adottato e utilizzato.

L’assalto e gli scontri tra manifestanti e forze dell’ordine da dove sono nati? Dai social, sono stati pensati e fomentati dalla rete? Riflettendoci anche solo per un istante, si tratta di una conclusione superficiale e fuori strada: è come assistere a una protesta partecipata da una moltitudine di persone guidate da un capopopolo che parla con un megafono, e prendersela col megafono e con chi lo ha prodotto, per averlo reso così squillante.

I social network dovrebbero fermare prima la trasmissione di questi messaggi, per non rendersene veicolo? Questo aspetto non è affatto banale e va analizzato con attenzione, perché al momento non esiste una risposta assolutamente centrata: Facebook o Twitter, per nominare le realtà che hanno preso provvedimenti in seguito alla pubblicazione di alcuni messaggi da parte di Donald Trump, sono aziende private e non sono testate giornalistiche (che pure si appoggiano a Internet e ai social per sfruttarli come cassa di risonanza), non hanno un editore o un direttore responsabile dei contenuti pubblicati.

Dal momento che ogni utente è responsabile in proprio di ciò che pubblica (principio riconosciuto dalla legge), sicuramente le piattaforme non possono assumere un ruolo censorio, tuttavia non deve essere loro preclusa la possibilità di intervenire per evitare la diffusione di notizie false e campagne di odio e istigazione alla violenza. Il rischio che si corre parte proprio dalla natura privata di queste piattaforme e dalla loro possibilità di vietarne l’utilizzo ad un utente, unilateralmente.

Attenzione alle parole di Mark Zuckerberg: “Riteniamo che i rischi di consentire al Presidente di continuare a utilizzare il nostro servizio durante questo periodo siano semplicemente troppo grandi. Pertanto, stiamo estendendo il blocco che abbiamo posto sui suoi account Facebook e Instagram a tempo indeterminato e per almeno le prossime due settimane fino al completamento della transizione pacifica del potere”. Ma anche Twitter è drastica: “Dopo aver rivisto i recenti tweet da @realDonaldTrump, abbiamo deciso di sospendere permanentemente l’account per il rischio di ulteriore incitamento alla violenza”.

La situazione è eccezionale perché il blocco riguarda il presidente degli Stati Uniti (un utente che gode di visibilità mondiale con enormi capacità di influenzare chi lo segue) per l’utilizzo che ha fatto finora dei social network , ma situazioni di questo tipo potrebbero verificarsi nuovamente anche su fronti diversi e, se non regolamentate, potrebbero essere affidate al libero arbitrio di chi gestisce lo strumento.

Sullo sfondo è evidente la crisi dell’autorevolezza delle istituzioni e il rispetto nei loro confronti degenera ulteriormente quando l’utente abusa delle possibilità comunicative che i social network gli offrono, dimenticando che quanto scrive non è una chiacchierata fra quattro amici al bar che volevano cambiare il mondo. Manca una preparazione culturale finalizzata ad un utilizzo virtuoso delle nuove tecnologie, di Internet e i social network, una preparazione che dovrebbe far parte dei programmi scolastici. L’ideale sarebbe che venisse impartita in un contesto educativo strutturato, per ridurre o abbattere il rischio che ci si trasformi prima in leoni da tastiera e poi in fomentatori di rivolte, approfittando di soggetti più vulnerabili o culturalmente deboli per spingerli ad azioni violente come quella di due giorni fa.

 
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Pubblicato da su 8 gennaio 2021 in news

 

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Anche i ricchi laggano

Avete presente l’imbarazzante disagio che provate quando si interrompe il collegamento durante una videochiamata o una riunione online? Problemi di connessione possono capitare a tutti, soprattutto in questo periodo in cui si intensifica l’utilizzo di didattica online e soluzioni per il lavoro a distanza. E lo stesso problema è capitato a Mark Zuckerberg ieri, mentre stava testimoniando – in videoconferenza – davanti alla Commissione per il Commercio, insieme a Jack Dorsey e Sundar Pichai, i ceo rispettivamente di Twitter e Google, che insieme al “numero uno” di Facebook erano chiamati a rispondere in merito alle attività di moderazione che le loro piattaforme seguono per la pubblicazione dei contenuti da parte degli utenti. Pittoresco il racconto della vicenda pubblicato da Reuters:

“Non siamo in grado di entrare in contatto con il signor Mark Zuckerberg”, ha riferitoil senatore Roger Wicker, che presiede il comitato, accettando un ritardo di cinque minuti dopo che gli amministratori delegati di Twitter Inc e Google di Alphabet Inc avevano parlato. Facebook ha detto al comitato che Zuckerberg era solo. È riuscito a connettersi in un paio di minuti. “Ho potuto ascoltare le altre dichiarazioni di apertura. Stavo solo facendo fatica a connettermi “, ha detto Zuckerberg. Wicker ha risposto: “Conosco la sensazione del signor Zuckerberg”

Un attimo di foklore che ci dà modo di sapere che il Congresso americano ha ostentato una certa preoccupazione sul tema della moderazione dei contenuti pubblicati sui social media: nella discussione si è parlato del Communications Decency Act, normativa che nella sezione “230” regola le responsabilità dei provider di connettività e di servizi Internet e stabilisce che le “piattaforme”, in quanto tali, non sono prodotti editoriali e quindi non hanno responsabilità sui contenuti pubblicati dagli utenti. Questa legge è da tempo nel mirino di Donald Trump, che dopo essere stato in più occasioni moderato da Twitter, la scorsa primavera ha sottoscritto un ordine esecutivo per introdurre maggiori responsabilità nei confronti di forum e social network sui contenuti pubblicati. L’audizione di ieri è stata piuttosto articolata, considerando che l’interesse sull’argomento è direttamente proporzionale all’attenzione verso le elezioni presidenziali USA. Un articolo del New York Times ne offre una cronaca interessante.

Ma l’episodio, ancora una volta, ci ricorda quanto sia ricorrente l’esigenza di avere una connessione di buona qualità e con caratteristiche di stabilità. Non solo per seguire online le vostre serie preferite, di cui non potete fare a meno, ma soprattutto nei casi in cui – come accennavo inizialmente – rappresenta una necessità, per il lavoro o la didattica a distanza, o per altre eventualità ancor più importanti o solenni, come un’audizione in una sede istituzionale.

 
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Pubblicato da su 29 ottobre 2020 in news, social network

 

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Authority antibufala per tutti (non solo per Internet)

informazioneverificataattendibile

Mi fa piacere che il contrasto alla diffusione delle notizie false stia diventando (finalmente) d’attualità. Però va trattato cum grano salis.

Ho letto l’articolo del Financial Times che descrive la proposta formulata da Giovanni Pitruzzella, presidente dell’Agcm (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, o Antitrust), di sollecitare i Paesi UE all’istituzione di una rete di agenzie statali che, sotto il coordinamento di Bruxelles, siano in grado di identificare agevolmente manipolazioni e notizie fasulle, farle rimuovere e applicare sanzioni laddove necessario. Pitruzzella ritiene che debba essere lo Stato ad occuparsi del problema delle false informazioni su Internet, anziché i social media come Facebook. In pratica la sua proposta consisterebbe nella costituzione di una rete di Authority – potremmo chiamarli Garanti dell’Informazione – con l’attribuzione di determinati poteri che oggi, per quanto riguarda il settore dell’informazione, sono già esercitati da forze dell’ordine e autorità giudiziaria.

A me non dispiacerebbe un ente in grado di controllare l’attendibilità delle informazioni, purché la sua sfera di competenza potesse includere non solo Internet, ma tutti i media, indipendentemente da ciò che dichiara beppegrillo.it, ossia che i giornali e i tg siano davvero i primi fabbricatori di notizie false nel Paese. Perché una notizia falsa è falsa, quando viene diffusa da un giornale, un tg, un blog, un social network o qualunque altro mezzo di comunicazione. Pertanto troverei corretto che questo Garante dell’Informazione potesse avere facoltà di rendere pubblico, con il massimo risalto possibile, il risultato delle proprie analisi sull’attendibilità delle notizie esaminate, mentre troverei inappropriato che avesse potere di imporre la rimozione di contenuti – quindi esercitare una censura foriera di molti falsi martiri – ed applicare sanzioni. Eventualmente si potrebbe pensare all’assegnazione di un ranking reputazionale (come la patente a punti per gli automobilisti).

Non troviamo traccia di queste funzioni censorie nemmeno tra i compiti dell’Agcom, Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che anzi è l’organo di vigilanza per quanto riguarda l’art. 21 della Costituzione, che sta lì proprio perché “tutti godano del diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione” e affinché “la stampa non venga ad essere soggetta ad autorizzazioni o censura”. Non va inoltre dimenticato che l’Agcom ha anche il compito di difendere i principi della comunicazione tramite internet (art. 4 del D.L. n. 259/2003).

Eventualmente si potrebbe pensare all’assegnazione di un ranking reputazionale (come la patente a punti per gli automobilisti). Impraticabile, invece, la soluzione proposta da Grillo di “una giuria popolare che determini la veridicità delle notizie pubblicate dai media. Cittadini scelti a sorte a cui vengono sottoposti gli articoli dei giornali e i servizi dei telegiornali”. La sorte potrebbe anche scegliere i creduloni che rilanciano tutto ciò che capita loro a tiro, magari leggendo solo i titoli.

Conoscete la mia posizione su questo argomento, io non sopporto che si diffondano notizie false, ne’ che vengano condivise in modo acritico sui social network. Chi ha il cervello per utilizzare un computer o uno smartphone e vuole condividere notizie, può usarlo benissimo per sincerarsi della loro attendibilità. Gli strumenti oggi non mancano e i motori di ricerca sono molto d’aiuto: esistono Google, Bing e altri servizi, tra cui vi consiglio molto volentieri DuckDuckGo (che non traccia gli utenti, non ne memorizza le informazioni personali e non contamina i risultati delle ricerche con la pubblicità). Chi condivide senza approfondire pecca di superficialità, avvantaggia altre persone (anche economicamente) e contribuisce a impoverire l’informazione e il suo valore.

 
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Pubblicato da su 3 gennaio 2017 in (dis)informazione, truffe&bufale

 

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Stretta su web?

Infine, il capitolo sicurezza, con il potenziamento della legge Mancino. In particolare, la stretta dovrebbe riguardare l’uso di Internet per la propagazione virale di odio razziale e istigazione alle discriminazioni. 

Questa frase conclude un articolo pubblicato oggi su La Stampa anticipando il piano anti razzismo che verrà presentato oggi dal Ministro per l’Integrazione Cécile Kyenge, che promuove un’iniziativa che merita il massimo appoggio, ma che sarebbe opportuno non avesse conseguenze superflue. Il titolo dell’articolo recita: Stretta su web e caporalato – E nel piano Kyenge anche scuole d’italiano per migranti

Mi spiego meglio: non capisco perché molte persone siano convinte che l’applicazione delle leggi già esistenti non riguardi Internet. Prendiamo ad esempio proprio la Legge Mancino, senza entrare nel merito dei dibattiti legati alla sua possibile incostituzionalità e osservandone solo l’ambito di applicazione, dato che si parla addirittura di un suo possibile potenziamento. All’articolo 1 si legge che

[...] è punito:
a) con la reclusione sino a tre anni chi  diffonde  in  qualsiasi modo idee fondate sulla superiorita' o sull'odio razziale  o  etnico, ovvero incita a commettere o commette  atti  di  discriminazione  per motiv razziali, etnici, nazionali o religiosi;

“In qualsiasi modo”. E’ reato farlo con scritte sui muri, urlandolo per strada o in una trasmissione televisiva, pubblicandolo su un giornale o su un sito web.

b) con la reclusione da sei mesi a quattro anni chi, in qualsiasi modo, incita a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.
E'  vietata  ogni  organizzazione,  associazione,  movimento  o gruppo avente tra i propri scopi l'incita ento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Chi partecipa a tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi, o presta assistenza alla loro attivita', e' punito, per il  solo  fatto della partecipazione o dell'assistenza, con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Coloro che promuovono o dirigono tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi sono puniti, per cio' solo,  con  la reclusione da uno a sei anni chi pubblicamente esalta esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche. Se il fatto riguarda idee o metodi razzisti, la pena è della reclusione da uno a tre anni e della multa da uno a due milioni

L’ articolo 4 punisce e sanziona

chi pubblicamente esalta esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche. Se il fatto riguarda idee o metodi razzisti, la pena è della reclusione da uno a tre anni e della multa da uno a due milioni

Internet non è un mondo irreale e chi ne fa uso per la propagazione virale di odio razziale e istigazione alle discriminazioni è soggetto alle leggi e alle sanzioni previste per chi lo fa “in qualsiasi modo”. Rintracciare su Internet una persona che pubblica boiate – anche in modo anonimo – è  molto più facile che scovare chi scrive sui muri.

 
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Pubblicato da su 30 luglio 2013 in Internet, media, Mondo, news

 

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Non è un Paese per Internet

Ai molti che, da qualche tempo a questa parte, osservano con sospetto e diffidenza Twitter, Facebook e altri servizi Internet che necessiterebbero di una regolamentazione specifica per arginare minacce, insulti, calunnie, diffamazioni e turpiloquio in genere espressi via web, vorrei ricordare che esistono già leggi in materia valide per chiunque, che non discriminano tra scritte sui muri, lettere anonime e commenti sui blog, e che il reo di questi misfatti è più facilmente identificabile se li pone in essere su Internet (mentre scritte sui muri e lettere anonime rendono molto più complesso risalire all’autore).

Dietro al cosiddetto mondo virtuale di Internet ci sono persone in carne ed ossa, che compiono azioni reali di cui sono responsabili indipendentemente dallo strumento che utilizzano. La Rete può essere vista come uno strumento di comunicazione, o come un luogo. Entrambe queste concezioni sono estranee al concetto di responsabilità.

Osservando la stampa internazionale, possiamo constatare che questa tematica è dibattuta praticamente solo in Italia. Il problema non è che solo gli italiani se ne preoccupano, il problema è il fatto stesso che qualcuno pensi ad una regolamentazione specifica, senza comprendere che le leggi vanno applicate e fatte rispettare.

 
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Pubblicato da su 13 Maggio 2013 in news

 

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E’ nato l’Osservatorio sulla censura di Internet in Italia

Qualche numero dall’Osservatorio sulla censura di Internet in Italia realizzato da Marco d’Itri:

5.495 siti web sono attualmente censurati in Italia

  • 45 con singoli provvedimenti dell’autorità giudiziaria o di organi amministrativi
  • 1.153 dal CNCPO (Centro Nazionale per il Contrasto della Pedopornografia Online).
  • 4.297 da AAMS (Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, già Azienda Autonoma dei Monopoli di Stato).

Come spiega la pagina Tecnologie del sito dell’Osservatorio, la censura in Italia viene attuata dagli Internet Service Provider con una o entrambe questi sistemi:

  • Falsificazione del dominio – L’ISP configura i name server usati dai propri clienti in modo che rispondano che il dominio non esiste, oppure che dirigano la richiesta verso specifici server web contenenti una pagina di errore.
  • Intercettazione del traffico verso l’IP – L’ISP agisce sulla propria rete in modo che il traffico diretto al IP del server che ospita il sito censurato non sia inoltrato a destinazione.

E’ utile sottolineare che la censura attuata con questi metodi è facilmente aggirabile, utilizzando name server alternativi. Molti utenti, per motivi assolutamente legittimi, fanno già uso di servizi differenti che non risentono del provvedimento censorio e anche per questo motivo – come conclude oggi Marco Valerio Principato su The New Blog Times – la censura attuata in questo modo è solamente un meccanismo dall’efficacia nulla e dai costi tutt’altro che nulli, sia per i provider, sia per le Istituzioni.

 
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Pubblicato da su 9 gennaio 2013 in Internet, Net neutrality

 

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Twitter, vetrina e berlina

Ci sono tre recenti episodi, legati a Twitter e incidentalmente alle Olimpiadi, che devono farci riflettere sul tema della conversazione globale condotta attraverso social network, microblogging e – più in generale – tutti gli strumenti di condivisione di informazioni legate a Internet.

Il primo riguarda il giornalista sportivo Guy Adams, che si è visto sospendere il proprio account Twitter dopo aver lamentato una copertura televisiva inadeguata, da parte della NBC, sui nuovi giochi olimpici di Londra. Una serie di tweet culminati con la frase “Il responsabile di tutto questo è Gary Zenkel. Ditegli cosa ne pensate!” seguita dalla mail aziendale di Zenkel. L’account è stato sospeso – come spiega Twitter – perché sarebbe stata violata la policy che vieta la pubblicazione di informazioni personali private “come un indirizzo di posta elettronica” (non importa se reperibile attraverso un motore di ricerca). Sullo sfondo ci sono molte considerazioni, prima fra tutte quella riguardo alla partnership tra Twitter e NBC,che avrebbe fatto scattare esagerati meccanismi di difesa. Twitter ha poi chiarito la propria posizione, chiesto scusa per il clamore suscitato dalla vicenda e riattivato l’account, impegnandosi a fare in modo che questo tipo di inconveniente non si ripeta.

Il secondo episodio riguarda il calciatore elvetico Michel Morganella, che dopo aver scritto in un tweet la frase “I sucoreani sono mentalmente ritardati”  è stato cacciato dalla nazionale svizzera (appena sconfitta proprio dalla Corea del Sud).

Il terzo è di qualche giorno fa: la campionessa greca under 23 di salto triplo Voula Paraskevi Papachristou si è giocata la partecipazione alle Olimpiadi per un altro tweet irrispettoso: “Con così tanti africani in Grecia, le nostre zanzare del Nilo potranno mangiare cibo fatto in casa”. La frase, come spiega Gazzetta.it, fa riferimento ad un’epidemia portata dagli insetti e ha spinto il presidente del comitato olimpico greco a dire: “Non ha mostrato rispetto per i valori olimpici. Ha fatto un errore, spiace, ma nella vita gli errori si pagano: è fuori”.

La conclusione che si trae da casi simili – di cui esistono molti altri precedenti – è semplice e banale: quando qualcosa viene condiviso attraverso Twitter (o altre piattaforme di condivisione di informazioni), viene reso pubblico e messo a disposizione di altre persone. Su Facebook o altri social network l’audience potrebbe anche essere più circoscritta, ma un contenuto condiviso – e condivisibile – lo pone comunque al di fuori della sfera privata e lo rende suscettibile di nuova condivisione (come un passaparola) verso persone completamente estranee. E questo vale sempre, sia quando si vuole davvero dire qualcosa a tutto il mondo, sia quando ci si sfoga con una frase che potrebbe arrivare a occhi e orecchie non gradite (anche commenti negativi sul proprio lavoro possono avere conseguenze nefaste).

Quindi cosa bisogna fare? Attenzione. Ed esserne consapevoli.

 
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Pubblicato da su 1 agosto 2012 in news

 

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Anche Google lancia l’operazione trasparenza

Google riceve una marea di istanze con cui titolari di copyright o istituzioni governative chiedono la rimozione di determinati contenuti. Nel Google Transparency Report, l’azienda di Mountain View pubblica ora un resoconto – con periodicità semestrale – di tutte queste richieste. Contiene molti numeri interessanti e c’è anche una mappa delle richieste ricevute dai governi.

 
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Pubblicato da su 28 Maggio 2012 in Internet

 

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Navigare in cattività

In seguito ad alcune notizie rimbalzate in tutto il mondo circa la presunta intenzione – da parte del governo dell’Iran – di inibire l’accesso al World Wide Web agli utenti locali, il ministro Reza Taghipour ha ufficialmente smentito l’iniziativa. La precisazione del ministro sembra però legata al momento attuale e non smentisce nulla in merito al progetto Clean Internet, una intranet nazionale che – secondo quanto riferito da alcune news – sarà ultimata entro i primi mesi del 2013 e, una volta a regime, bloccherà l’utilizzo di siti stranieri come Google, Gmail, Google Plus, Yahoo e Hotmail.

 
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Pubblicato da su 11 aprile 2012 in news, News da Internet

 

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Annullato l’oscuramento di 493 siti web

Oscurare – e far sequestrare – 493 siti web per presunta violazione sul diritto d’autore solo perché, nel loro nome a dominio, contengono un marchio registrato, è un’azione censoria pericolosa per Internet. AIIP e Assoprovider, assistiti da Fulvio Sarzana, hanno impugnato il decreto di sequestro, che è stato annullato dal Tribunale (congratulazioni, Fulvio).

A beneficio di chi conoscesse poco o nulla della vicenda, via Mante ne risegnalo la ricostruzione pubblicata da Lareteingabbia.net.

 
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Pubblicato da su 7 novembre 2011 in diritto, Internet, news, News da Internet

 

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AGCOM incassa l’appoggio della SIAE del 1882 e va avanti

Il livello della fossilizzazione della SIAE, la sua mancanza di apertura alle opportunità offerte dalla Rete e l’incongruenza delle argomentazioni con cui latra contro “le società di telecomunicazioni, i provider, i produttori di tecnologie digitali, le cosidette Over the Top” e “pseudo imprenditori senza scrupoli che operano nel mondo digitale” sono egregiamente sintetizzate in questo appello pubblicato oggi in difesa della delibera AGCOM per il diritto d’autore che, sottolineo, affida ad un’Authority delle Comunicazioni ampi poteri, tra cui quello di chiudere un sito web – in parte o integralmente – in base a segnalazione o presunzione di violazione del diritto d’autore, eliminando la necessità di un provvedimento dell’autorità giudiziaria.

Il richiamo storico alla ratio che, nel 1882, mosse illustri personaggi del mondo della cultura dell’epoca a promuoverne la nascita (per dare una risposta alle esigenze di tutela allora necessarie) ci mostra una dimensione parallela in cui sembra vivere oggi la SIAE: nessuno, tra coloro che hanno criticato il provvedimento AGCOM, contesta il principio di tutela del diritto d’autore e l’importanza che un’opera dell’ingegno sia remunerata. Le soluzioni di diffusione e distribuzione oggi messe a disposizione dalla tecnologia sono completamente diverse e implicano solo l’esigenza di una maggiore flessibilità, offerta ad esempio dalle licenze Creative Commons e da possibilità di registrazione alternative, meglio applicabili  in un’epoca di user-generated content.

Mi permetto inoltre di esprimere un dubbio sul fatto che tutti i firmatari dell’appello SIAE (un cospicuo numero di artisti) abbiano l’effettiva consapevolezza di ciò che hanno sottoscritto: fra essi riconosco alcuni membri dei consigli direttivi della FEM (Federazione Autori Musicali), della ANEM (Associazione Nazionale Editori Musicali) e della FA (Federazione Autori), che il 14 gennaio 2011 hanno a loro volta firmato un documento in cui non si mostravano propriamente allineati alla gestione attuata in SIAE. Eccone un significativo estratto:

…La verità e’ che una grande parte degli autori e degli editori professionisti, italiani e non, piccoli o grandi che siano, non possono più permettere che i loro diritti siano calpestati quotidianamente da chi ha fatto della SIAE un proprio territorio di caccia fatto di clientele, da chi ha fatto dell’associazionismo una professione, da chi ha occupato per anni le sedie dei vari comitati di partecipazione in SIAE senza fare nulla per migliorare la società, ma inseguendo solo il gettone di presenza, i rimborsi spese e i propri tornaconti personali, da chi ha molto poco a che fare con la cultura di questo paese e che ha utilizzato la SIAE per inseguire posizioni di potere personale e non per tutelare le proprie opere e i propri diritti….ne’ tantomeno per sostenere la Società degli Autori e Editori. 

Nel frattempo, ecco giungere la conferma della feral notizia da Fulvio Sarzana:

L’AGCOM approva oggi 6 luglio  lo schema di regolamento sul diritto d’autore con i voti di tutti i Commissari tranne quelli del Commissario Nicola D’Angelo e l’astensione del Commissario Michele Lauria.

Il Commissario Gianluigi Magri, contrariamente a quanto era circolato nei giorni scorsi, riprende il ruolo di relatore e firmerà il provvedimento.

All’interno del Provvedimento tutti i meccanismi di rimozione selettiva già annunciati e l’inibizione in casi di siti esteri all’accesso dei cittadini italiani che verranno segnalati ai provider italiani.

Nel caso dei siti esteri non si tratterebbe di un’ordine impartito ai sensi del codice delle comunicazioni elettroniche per i provider ma di un “warning”.

Dopo alcuni warning l’Autorità si rivolgerà  alla Magistratura.

Il testo viene ora messo in consultazione per un periodo di 60 giorni.

Il periodo di contraddittorio è esteso a 15 giorni.

L’Autorità inoltre invierà una segnalazione al Governo al fine di far predisporre una norma  relativa all’ estensione di potere al fine di esercitare direttamente poteri inibitori.

 
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Pubblicato da su 6 luglio 2011 in business, Internet, Life, media, Mondo, news, News da Internet, tecnologia

 

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Aiutiamo gli arruffapopolo a fermare gli ammazzarete

E’ prevista per domani, mercoledì 6 luglio, l’entrata in vigore della delibera dell’AGCOM (Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni) con cui si prevede la cancellazione – sommaria e d’autorità (ma senza alcun controllo giudiziario) – dei contenuti pubblicati su Internet ritenuti non rispettosi del copyright, un provvedimento che potrà essere applicato “a tutti i siti, i portali, i blog, gli strumenti di condivisione di file in rete, le banche dati, i siti privati che siano sospettati di contenere anche un solo file in grado di violare il diritto d’autore”.

Personalmente mi trovo perfettamente d’accordo con quanto scritto al riguardo da Massimo Mantellini, che nella sua saggia considerazione sottolinea come la nuova norma porti all’Authority un potere che la pone – per il tema della tutela del copyright – addirittura al di sopra della magistratura. Soprattutto, però, evidenzia la scarsa autorevolezza di quella stessa Authority, rappresentata da un presidente come Corrado Calabrò (secondo il quale i diritti degli autori sono diritti di proprietà) e da commissari come Antonio Martusciello e Stefano Mannoni. I due commissari hanno difeso la posizione di una norma sostanzialmente ammazzarete e parlato degli autori e promotori di quell’ottimo lavoro intitolato Libro Bianco su copyright e tutela dei diritti fondamentali sulla rete internet definendoli, con un manierismo manzoniano alquanto raffazzonato, degli arruffapopolo che indulgono in tirate di propaganda e disinformazione.

Io mi auguro realmente che vada come prevede Massimo (che a questo punto meriterebbe d’ufficio di essere annoverato tra gli “arruffapopolo”):

Ovviamente non funzionerà, come non funziona la disciplina dei tre colpi in Francia e come è stata infine bocciata una ipotesi simile in Spagna, ma questo è un altro discorso. Il discorso di oggi è assai più elementare: Corrado Calabrò e i suoi commissari della Authority senza autorevolezza non rappresentano gli interessi dei cittadini italiani. Non ne hanno titolo, lo hanno dimostrato più e più volte. Qualsiasi loro decisione per nostro conto, semplicemente, non vale niente.

Però, come osserva Marco Pierani, anche a me piacerebbe sapere perché non sono mai state pubblicate dall’AGCOM le risposte e le osservazioni ricevute dai vari stakeholders sulla consultazione pubblica sul provvedimento. Tutto lascia supporre che l’Authority non ritenesse importante rendere noti i motivi per cui è stato deciso di arrivare di corsa, come scrive Marco, “in piena estate mettendo all’ordine del giorno del Consiglio del 6 luglio l’approvazione di un articolato che, peraltro, il Presidente Calabrò nell’incontro di venerdì 24 giugno con la delegazione di Altroconsumo, Adiconsum, Assoprovider, Agorà Digitale, aveva riferito a Fulvio SarzanaLuca NicotraMarco Scialdone Giovanbattista Frontera e al sottoscritto sarebbe stato definitivo, senza alcuna ulteriore consultazione”.

La Notte della Rete partirà oggi dalle 17,30, anche in diretta videostreaming. Partecipate e firmate la petizione da presentare all’Agcom all’indirizzo www.sitononraggiungibile.it e mandate un messaggio ai membri dell’Agcom qui: http://www.avaaz.org/it/it_internet_bavaglio.

Per aggiornamenti, approfondimenti e ulteriori notizie, visitate http://www.agoradigitale.org/nocensura.

Aiutiamo gli arruffapopolo a fermate gli ammazzarete.

 
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Pubblicato da su 5 luglio 2011 in business, Internet, Life, media, Mondo, Net neutrality, news

 

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