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Apple e Google multate. Cambierà qualcosa?

10 milioni di euro per Apple e altrettanti per Google “per uso dei dati degli utenti a fini commerciali”: due multine, per un totale di 20 milioni, decise in seguito a due istruttorie parallele che hanno portato l’AntitrustAutorità Garante della Concorrenza e del Mercato – a colpire i due gruppi con la massima sanzione possibile dopo aver accertato, per ognuno, due violazioni del Codice del Consumo: una per “carenze informative” e un’altra per “pratiche aggressive legate all’acquisizione e all’utilizzo dei dati dei consumatori a fini commerciali”. Multine, dicevo, e più avanti vi spiegherò perché.

Le carenze informative riguardano l’uso dei dati personali degli utenti:

  • è noto che per usufruire dei servizi offerti da Google è necessario sottoscrivere un account (e questo avviene ad esempio per tutti coloro che attivano uno smartphone Android): sia in fase di creazione dell’account, che nell’utilizzo degli stessi servizi, l’azienda non trasmette all’utente informazioni importanti per consentirgli di essere consapevole del fatto che i suoi dati personali vengano raccolti e utilizzati con finalità commerciali;
  • analogamente anche Apple, tanto in occasione della creazione dell’ID Apple, quanto mentre l’utente accede a servizi come App Store, iTunes Store e Apple Books, non informa l’utente in modo chiaro e immediato della raccolta di dati e relativo utilizzo con finalità commerciali, premurandosi però di evidenziare che le informazioni ottenute servono a “migliorare l’esperienza del consumatore e la fruizione dei servizi”.

La pratica “aggressiva” viene applicata da Google fin dalla creazione dell’account, per il quale l’azienda prevede per default (cioè in modalità predefinita) che l’utente acconsenta al trasferimento e/o all’utilizzo dei propri dati per fini commerciali. Questa accettazione iniziale permette a Google di acquisire e utilizzare i dati senza la richiesta di conferme successive. Apple invece applica la pratica aggressiva nell’ambito delle attività promozionali, in cui è prevista l’acquisizione del consenso all’uso dei dati degli utenti a fini commerciali senza dare all’utente consumatore la possibilità di scegliere preventivamente se e in che condividere i propri dati. In entrambe le situazioni l’utente cede informazioni personali senza averne la necessaria consapevolezza.

Inutile dire che sia Apple che Google, non essendo disposte ad accettare queste sanzioni, hanno dichiarato di voler presentare ricorso, ritenendosi nel giusto. Ma pensando a quanto fatturano queste due aziende, quanto possono rimanere anche solamente “impensierite” per aver ricevuto, ognuna, una sanzione di 10 milioni di euro? L’importo rappresenta una cifra minima, se rapportata al loro fatturato. Potrebbe essere tranquillamente messa a bilancio come voce relativa alle spese da sostenere per l’ampliamento dei propri database.

Utile però concludere – almeno, lo penso io – che l’accertata acquisizione di dati senza la necessaria consapevolezza dimostra quanto queste due aziende (e non solo loro, basti pensare ai social network) siano in grado di schedare e tracciare gli utenti in modo molto capillare ed efficace. Più di qualunque soluzione complottisticamente ritenuta pericolosa perché presuntamente destinata a tracciare la cittadinanza. Capire a che scopo, poi, è sempre difficile.

 
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Pubblicato da su 26 novembre 2021 in news

 

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Cosa significa la multa dell’Antitrust ad Apple e Samsung

Se la memoria non mi inganna è la prima volta che un’authority “certifica” l’obsolescenza programmata di una serie di dispositivi tecnologici sanzionandone i produttori, in questo caso Apple (multata per 10 milioni di euro) e Samsung (per 5 milioni). Notizia nella notizia: questa sanzione viene dalla nostra Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, altrimenti conosciuta come Antitrust. Notizia implicita: si tratta di due aziende leader mondiali nel settore e la diffusione dei loro prodotti sul mercato è tale da rendere più roboanti le contestazioni mosse dall’Authority, che potrebbero aprire la strada a provvedimenti analoghi, da parte di altri organismi di vigilanza e nei confronti di altri produttori che seguono le stesse prassi.

Le motivazioni di questo provvedimento si leggono nel comunicato pubblicato dalla stessa authority:

Ad esito di due complesse istruttorie, l’AGCM ha accertato che le società del gruppo Apple e del gruppo Samsung hanno realizzato pratiche commerciali scorrette in violazione degli artt. 20, 21, 22 e 24 del Codice del Consumo in relazione al rilascio di alcuni aggiornamenti del firmware dei cellulari che hanno provocato gravi disfunzioni e ridotto in modo significativo le prestazioni, in tal modo accelerando il processo di sostituzione degli stessi.

Entrambi i produttori sono stati colpiti dal provvedimento perché, secondo l’AGCM, avrebbero tempestato gli utenti con caldi suggerimenti di effettuare il download e l’installazione degli aggiornamenti anche su smartphone che non sarebbero stati capaci di supportarli (e sopportarli), senza offrire reali possibilità di uscita attraverso un rollback (cioè il ripristino ad una condizione precedente) e inducendoli ad acquistare un nuovo smartphone per l’appesantimento funzionale conseguente all’aggiornamento installato.

E’ proprio con la frase “accelerando il processo di sostituzione degli stessi” che l’Antitrust contesta a Apple e Samsung la pratica dell’obsolescenza programmata, che si verifica quando i produttori pianificano una scadenza alla vita utile di ciò che producono e vendono, inducendo gli acquirenti a liberarsene per acquistarne di nuovi, andando a generare – come conseguenza diretta – un aumento del volume d’affari dei produttori, ma anche del volume dei RAEE (Rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche), destinato ad una crescita progressiva a motivo dell’evoluzione tecnologica che naturalmente riguarda anche gli smartphone, soprattutto da quando non sono più semplici telefonini. E questo aspetto implica che l’invecchiamento – o obsolescenza – di un dispositivo digitale non possa che essere rapido. In base a questo presupposto, il concetto di obsolescenza programmata potrebbe addirittura essere destituito di fondamento.

L’Antitrust però non ne sembra convinta e ha condotto l’indagine con la collaborazione del Nucleo speciale Antitrust della Guardia di Finanza, identificando alcune pratiche ben precise:

In particolare, Samsung ha insistentemente proposto, dal maggio 2016, ai consumatori che avevano acquistato un Note 4 (immesso sul mercato nel settembre 2014) di procedere ad installare il nuovo firmware di Android denominato Marshmallow predisposto per il nuovo modello di telefono Note 7, senza informare dei gravi malfunzionamenti dovuti alle maggiori sollecitazioni dell’hardware e richiedendo, per le riparazioni fuori garanzia connesse a tali malfunzionamenti, un elevato costo di riparazione.

Quanto a Apple, essa ha insistentemente proposto, dal settembre 2016, ai possessori di vari modelli di iPhone 6 (6/6Plus e 6s/6sPlus rispettivamente immessi sul mercato nell’autunno del 2014 e 2015), di installare il nuovo sistema operativo iOS 10 sviluppato per il nuovo iPhone7, senza informare delle maggiori richieste di energia del nuovo sistema operativo e dei possibili inconvenienti – quali spegnimenti improvvisi – che tale installazione avrebbe potuto comportare. Per limitare tali problematiche, Apple ha rilasciato, nel febbraio 2017, un nuovo aggiornamento (iOS 10.2.1), senza tuttavia avvertire che la sua installazione avrebbe potuto ridurre la velocità di risposta e la funzionalità dei dispositivi. Inoltre, Apple non ha predisposto alcuna misura di assistenza per gli iPhone che avevano sperimentato problemi di funzionamento non coperti da garanzia legale, e solo nel dicembre 2017 ha previsto la possibilità di sostituire le batterie ad un prezzo scontato. Nei confronti di Apple è stata altresì accertata una seconda condotta in violazione dell’art. 20 del Codice del Consumo in quanto la stessa, fino a dicembre 2017, non ha fornito ai consumatori adeguate informazioni circa alcune caratteristiche essenziali delle batterie al lito, quali la loro vita media e deteriorabilità, nonché circa le corrette procedure per mantenere, verificare e sostituire le batterie al fine di conservare la piena funzionalità dei dispositivi.

Ad Apple sono state contestate due pratiche scorrette (relative, tra l’altro, al funzionamento delle batterie al litio dell’iPhone) ed è per questo motivo che si è vista comminare una sanzione doppia rispetto a quella di Samsung, che però finora è stata l’unica a dare una propria risposta in merito alla vicenda, comunicando il proprio dissenso e la risoluta intenzione di ricorrere in appello.

Non ho ancora letto commenti di Apple, che mantiene evidentemente una posizione coerente con quanto ha sempre sostenuto e cioè di essere estranea all’obsolescenza programmata. Sicuramente è necessario considerare anche che si tratta di un produttore di dispositivi e di software, che in più gestisce i servizi legati ai propri prodotti, nonché un marketplace esclusivo. Tutte fonti di profitto che si aggiungono a quelle derivanti dalla vendita del dispositivo, e che motiverebbero Apple a fidelizzare i propri clienti, anziché a spingerli a sostituzioni frequenti.

Personalmente non mi interessa contestare la decisione dell’Antitrust, ma nel leggere i rilievi mossi alle due aziende, più che ad una consapevole obsolescenza programmata penso che il loro comportamento sia conseguenza di una pesante difficoltà di gestione della complessità di progettazione dei dispositivi. Sollecitare l’aggiornamento di uno smartphone che non può “reggerlo” è un errore. D’altro canto, inseguire prestazioni superiori comporta sempre un’accelerazione di passo: la prima causa di invecchiamento e obsolescenza di un dispositivo è l’uscita di una nuova versione con migliorie e nuove funzioni.

 
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Pubblicato da su 26 ottobre 2018 in cellulari & smartphone, news

 

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LinkedIn will be Microsoft

MicrosoftLinkedin

Quando Microsoft fa la spesa, fa le cose in grande. Adesso si accinge ad acquistare LinkedIn per 26 miliardi di dollari. A quanto mi risulta è l’operazione finanziaria più importante mai svolta da Microsoft, non solo dal punto di vista finanziario, poiché ci fa intuire che la sua strategia integrerà il social network, con i suoi 433 milioni di utenti, con le sue linee di business come gli applicativi Dynamics, Office 365, la comunicazione di Skype.

LinkedIn si è finora focalizzato sullo sviluppo di contatti professionali (mentre Facebook ha sempre mantenuto un approccio generalista). Resta da capire in che misura Microsoft intenderà valorizzarlo. O monetizzarlo.

 
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Pubblicato da su 13 giugno 2016 in business

 

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Un e-book non è un libro (in Europa)

ebookBook[1]

Nei giorni scorsi ha preso il via sul web la campagna Un libro è un libro dell’AIE (Associazione Italiana Editori) con l’obiettivo di chiedere l’equiparazione dell’IVA sugli e-book che oggi è al 22%, mentre sui libri cartacei si applica l’aliquota del 4%.

La discriminazione dei libri digitali si riflette sullo sviluppo culturale del nostro Paese:
l’IVA di un libro di carta è il 4%, quella di un ebook è il 22%. Secondo i protagonisti della nostra Gallery l’ebook è un libro e merita lo stesso trattamento. Se anche tu la pensi così, unisciti a noi.

Al netto della preferenza che ognuno di noi può esprimere verso il fascino del libro da sfogliare con l’indice o verso l’e-book nella sua innovatività, nella percezione dell’utente l’unica differenza editoriale tra libro tradizionale ed e-book è il supporto, cartaceo (materiale) o elettronico (immateriale). Quindi, in base a questo presupposto, il principio di eliminare la discriminazione fiscale tra supporti – dal momento che la sostanza è la medesima – è legittimo che sia ampiamente condiviso, perché non avrebbe proprio senso di esistere. Esiste però un problema, per così dire, di forma: a livello formale l’e-book non è un articolo che si acquista.

Dicendo a livello formale parlo di un aspetto oggettivo e non di un concetto interpretabile. “Acquistare un e-book” significa in realtà ottenere una licenza per leggerlo. Non si acquista un libro, ma un diritto, tra l’altro anche piuttosto limitato: l’utente non ha infatti alcun diritto di proprietà sull’e-book, bensì il diritto ad utilizzarlo a vita, senza però poterlo cedere o prestare. E, a dire il vero, anche quel “a vita” è improprio, perché non corrisponde alla vita dell’utente, ma alla vita dell’account.

Un esempio molto chiaro è reperibile su Amazon, nelle Condizioni d’uso Amazon Kindle Store:

Con il download del Contenuto Kindle e con il pagamento dei relativi corrispettivi (comprese le tasse applicabili), il Fornitore di Contenuti ti concede il diritto non esclusivo di vedere, usare e visualizzare tale Contenuto Kindle per un illimitato numero di volte, esclusivamente sul dispositivo Kindle o sull’Applicazione di Lettura, oppure con le diverse modalità previste per il tipo di Servizio, unicamente sul numero di dispositivi Kindle o di Dispositivi Supportati specificati nel Kindle Store ed esclusivamente per tuo uso personale e non commerciale. Il Contenuto Kindle ti viene concesso in licenza d’uso e non è venduto dal Fornitore di Contenuti.

Le condizioni definite da altri rivenditori non sono diverse. I concetti chiave sono in questi termini: servizio e licenza d’uso. Quindi l’applicazione di un’aliquota IVA più alta per gli e-book è indubbiamente un elemento eclatante di differenza dai libri cartacei, ma è solo la punta dell’iceberg, poiché si tratta di una delle conseguenze di una discriminazione definita a livello formale che per l’utente comporta, oltre ad un esborso superiore, anche l’impossibilità di esercitare quei diritti che derivano dal possesso di un libro cartaceo (proprietà, possibilità di cessione, prestito, successione…).

Il sito web che promuove la campagna in realtà si focalizza solo sull’aspetto fiscale, ma la ratio dell’iniziativa si fonda sul presupposto che l’e-book viene considerato come un servizio digitale. Un altro aspetto, inoltre, merita una precisazione: la frase “La discriminazione dei libri digitali si riflette sullo sviluppo culturale del nostro Paese” potrebbe indurre a credere che la discriminazione (non solo) fiscale sugli e-book sia un’anomalia italiana, ma in realtà il problema si pone nei confronti dell’Unione Europea.

Perciò non è pensabile un intervento solamente fiscale e solamente italiano, ma sarebbe auspicabile una ridefinizione complessiva dell’e-book a livello europeo, con il passaggio di stato da servizio a bene e tutte le conseguenze che potrebbero derivarne. La più diretta: un’imposizione ridotta porterebbe ad un prezzo finale inferiore, che gli editori potrebbero (anzi dovrebbero, condividendo quanto ha osservato in proposito Luca Rota) rendere ancor più attraente per il pubblico, contribuendo a fare da volano per volumi di vendita superiori e alla crescita del mercato.

Molti più e-book venduti naturalmente potrebbero anche significare maggiori entrate per lo Stato a livello di IVA: meglio vendere moltissimi e-book con IVA al 4% o pochissimi con IVA al 22%? 😉

 

 
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Pubblicato da su 4 novembre 2014 in Buono a sapersi, e-book & e-reader

 

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Nokia in via di estinzione

Nokia-supplier[1]

La definitiva acquisizione di Nokia da parte di Microsoft, che sarà perfezionata in questi giorni, porterà alla ridenominazione di tutte le attività legate a Nokia Oy (Nokia Corporation), che prenderà il nome di Microsoft Mobile Oy.

Alcuni rumors prevedono però anche il brand Nokia possa presto scomparire completamente dal mercato, lasciando il posto – su cellulari e smartphone – a Microsoft Mobile. Se anziché un avvicendamento graduale scegliesse un cambio repentino, Microsoft sacrificherebbe un nome storico per segnare il territorio nel mondo della comunicazione mobile. Nei mercati consolidati non sono pochi gli utenti fidelizzati che continuano ad apprezzare le qualità telefoniche dei dispositivi Nokia e in quelli in via di sviluppo il marchio finlandese è molto diffuso. Farlo sparire, scommettendo e puntanto tutto sul marchio Microsoft, potrebbe essere una mossa azzardata.

 
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Pubblicato da su 23 aprile 2014 in business, cellulari & smartphone

 

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Bip Mobile, fine delle comunicazioni?

Tanti auguri di buon anno a tutti e un messaggio di solidarietà ai titolari delle 220mila utenze Bip Mobile rimaste mute in queste festività natalizie (e con la possibilità di non essere più riattivate, stando a quanto riferisce la stampa).

Quando Bip Mobile è stata presentata (luglio 2012) avevo manifestato scetticismo: gli obiettivi dichiarati dall’azienda fondata da Fabrizio Bona apparivano troppo ambiziosi (“un milione di clienti entro l’estate 2013” era esorbitante, ma anche quello di 700mila clienti necessari a raggiungere il break-even point era un goal molto difficile) e le condizioni del mercato non erano favorevoli (non lo sono nemmeno ora). Purtroppo le notizie di questi giorni sembrano riportare la naturale evoluzione di un business nato in condizioni difficili e ora, per chi ha un numero telefonico di Bip Mobile, potrebbe essere difficoltoso anche recuperarlo per migrarlo ad un altro operatore mobile.

Se poi – leggo da Max – venissero confermate le indiscrezioni che parlano di Fabrizio Bona in volo verso la direzione generale di Alitalia, le prospettive peggiorerebbero ulteriormente.

AGGIORNAMENTO: Oggi il Corriere delle Comunicazioni ha pubblicato un articolo di Alessandro Longo che rivela come Bona, in realtà, sia uscito da Bip Mobile (per approdare davvero ad Alitalia) già subito dopo l’estate, deluso e amareggiato per la situazione in cui versa il mercato delle telecomunicazioni e le difficoltà incontrate da Bip Mobile nella sua veste di operatore alternativo.
Così sembrava, così è stato.

 
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Pubblicato da su 2 gennaio 2014 in cellulari & smartphone, telefonia, TLC

 

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Telecom Italia verso la Spagna

TelefonicaHQ

Telefónica – compagnia di telecomunicazioni spagnola – è pronta (e prossima) a mettere le proprie mani su Telecom Italia. Già oggi possiede il 46,179% della società Telco, che ha una quota azionaria del 22,447% di Telecom Italia.

Bloomberg anticipa alcuni dettagli dell’accordo tra le parti interessate, che prevede un aumento della partecipazione di Telefonica in Telco (dal 46% al 65%), e la conseguente riduzione delle quote possedute  da Generali, Intesa SanPaolo e Mediobanca (che passeranno dall’attuale 54% al 35%). 

 
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Pubblicato da su 23 settembre 2013 in business, telefonia

 

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Libero non significa gratis

usafreewifiIl Washington Post nei giorni scorsi ha dato notizia di un progetto, da parte della FCC – (agenzia governativa che regola le comunicazioni negli USA) per la realizzazione di una Super rete WiFi con copertura nazionale e gratuita, basata su un progetto per l’ampliamento dello spettro utilizzato nel WiFi che sembrerebbe poter convergere con un piano varato per dare ai gestori di telefonia mobile le frequenze TV non assegnate. L’articolo sul Post (che, come scrive Mante in un tweet, in realtà non dice niente), ha scatenato gli entusiasmi da parte della stampa e dela rete, che ne stanno parlando ancora adesso anche in Italia, con termini di paragone con il nostro Paese e con toni che potremmo sostanzialmente sintetizzare con “l’erba del vicino è sempre più verde”. Peccato che nessuno dia risalto alla dichiarazione – sostanzialmente una smentita – data dal portavoce della stessa FCC e raccolta da TechCrunch:

The FCC’s incentive auction proposal, launched in September of last year, would unleash substantial spectrum for licensed uses like 4G LTE. It would also free up unlicensed spectrum for uses including, but not limited to, next generation Wi-Fi. As the demand for mobile broadband continues to grow rapidly, we need to free up significant amounts of spectrum for commercial use, and both licensed and unlicensed spectrum must be part of the solution.

L’obiettivo sarebbe quindi di liberare frequenze per il 4G, la tecnologia broad band LTE utilizzata nelle reti mobili, e si potrebbe liberare spettro senza licenza per altri utilizzi, come il WiFi di prossima generazione, ma non in via esclusiva per quell’impiego. Dal momento che la domanda di banda larga mobile è in aumento, si rende necessario liberare spettro per utilizzi commerciali. E’ questo il significato della dichiarazione.

Tra l’altro, l’articolo del Post potrebbe basare le proprie certezze su un puro fraintendimento del significato della parola free, utilizzata anche da Julius Genachowski, capo della FCC (agenzia governativa che regola le comunicazioni negli USA) in questa dichiarazione, citata nella notizia:

Freeing up unlicensed spectrum is a vibrantly free-market approach that offers low barriers to entry to innovators developing the technologies of the future and benefits consumers.

Verrebbe da pensare che chi ha scritto l’articolo (ma soprattutto a chi l’ha rilanciato) abbia frainteso o sopravvalutato quel free, che in questo contesto non significa gratis, ma libero. In questa affermazione Genachowski osserva in realtà che liberare spettro non assegnato rappresenta un approccio vivace al libero mercato, che offre una riduzione delle barriere all’ingresso di quegli innovatori che sviluppano le tecnologie del futuro, e avvantaggia i consumatori. Ma il libero mercato è un mercato in cui operano più concorrenti in regime di concorrenza, non ha nulla a che vedere con il tutto gratis.

 
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Pubblicato da su 6 febbraio 2013 in cellulari & smartphone, Internet, WiFi

 

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Un’unica rete europea di telecomunicazioni?

Le telco europee puntano a rete unica per competere sul mercato globale – Key4biz

[…] Tra le ipotesi al vaglio delle telco, la creazione di una newco in cui far confluire le infrastrutture e i debiti associati a questi asset. Il nuovo veicolo, secondo il Financial Times, potrebbe essere usato come base wholesale per tutti gli operatori, con benefici legati alle economie derivanti dagli acquisti in comuni di attrezzature. Sarebbe inoltre facilitato l’accesso ai finanziamenti, pubblici e privati, per la realizzazione delle reti di nuova generazione.

 
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Pubblicato da su 9 gennaio 2013 in business, Internet, telefonia

 

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Tre milioni in tre giorni

Presentati il 23 ottobre e messi sul mercato a partire dal 2 novembre, il nuovo iPad di quarta generazione e l’iPad Mini hanno già toccato quota tre milioni di unità vendute. Dal comunicato diffuso da Apple non si capisce però lo share, non si sa quanto sia grande la fetta riservata all’iPad, ne’ quella del Mini. Comunque vada, è già un successo. Almeno per ora.

 
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Pubblicato da su 5 novembre 2012 in Mondo, tablet, tecnologia

 

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Blackbuster Italia ringrazia e chiude

Blockbuster Italia chiude definitivamente i battenti, dopo aver patito anni di pesantissima crisi. Anni in cui il mondo è cambiato e in cui anche il mercato è cambiato, ma Blockbuster è rimasta sostanzialmente uguale a se stessa e si è accorta troppo tardi delle possibilità di innovazione che avrebbe potuto cogliere.

I punti vendita superstiti stanno per lasciare il posto ad una catena di parafarmacie.

 
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Pubblicato da su 5 giugno 2012 in business, news

 

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Googlerola

Incassata anche l’approvazione delle autorità cinesi, Google ha finalmente ufficializzato l’acquisizione di Motorola Mobility che era stata avviata lo scorso agosto.

L’operazione avrà conseguenze in termini di occupazione, dato che la SEC ha ricevuto un documento relativo ad una ristrutturazione aziendale. Nell’annuncio di Larry Page c’è già il saluto al primo che se ne andrà: si tratta dell’amministratore delegato Sanjay Jha, che lascerà il posto a Dennis Woodside (definito un googler di lunga data).

 
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Pubblicato da su 22 Maggio 2012 in business, News da Internet

 

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Il tempo delle mele

Secondo quanto riferisce Gizmodo, il numero di iPhone venduti in un giorno da Apple (377.900) supera il numero di bambini nati nel mondo (371.000). Con numeri così importanti forse sarebbe il momento giusto per ridurre un po’ il listino prezzi, no?

 
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Pubblicato da su 26 gennaio 2012 in business, cellulari & smartphone

 

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“Lamiaimpresaonline”, un’occhiata dall’Antitrust non guasterebbe

Google, in collaborazione con Register, Poste Italiane e Seat – Pagine Gialle ha promosso l’iniziativa LaMiaImpresaOnLine per offrire alle aziende (in forma gratuita per il primo anno di adesione al servizio) la registrazione di un nome a dominio e uno spazio web, più altri servizi accessori caratteristici delle aziende partner del progetto.

Assoprovider ha segnalato l’iniziativa all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato perché anche questo progetto risulta espressione dell’invadenza di Google in settori “che si trovano a monte o a valle del suo principale ed originario business (i motori di ricerca) ed anche per il fatto che lo stesso progetto è stato già  realizzato in altri paesi europei e non (v. la Gran Bretagna) in cui ha avuto un esito devastante per il mercato”.

Vedremo quale seguito avrà l’iniziativa di Assoprovider, focalizzata su un tema che sfugge a molti, ma non per questo deve essere accantonato dalle istituzioni…

 
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Pubblicato da su 26 settembre 2011 in business, Internet

 

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