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Il Portale dell’Automobilista, occhio a quello falso

E’ un perfetto esempio di sito truffaldino realizzato (quasi) a regola d’arte, questa versione fasulla del Portale dell’Automobilista. Quello vero è il sito web del Dipartimento per i Trasporti, la Navigazione, gli Affari Generali ed il Personale, che cittadini e imprese possono utilizzare per consultazione e accesso  varii servizi online disponibili per autoveicoli, patenti e modulistica della circolazione. Quello falso – la cui homepage lo fa apparire pressoché identico al primo, ad eccezione di alcuni dettagli – è stato realizzato allo scopo di rubare all’utente le credenziali SPID, il Sistema Pubblico d’Identità Digitale utile per accedere ai servizi online della pubblica amministrazione (ma anche dei privati che vi aderiscono).

La differenza nell’indirizzo è sostanziale per distinguerli: quello vero ha estensione .it, quello falso è stato registrato pochi giorni fa – in data 8 gennaio 2021 – con dominio di primo livello .net.

 
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Pubblicato da su 27 gennaio 2021 in truffe&bufale

 

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Zone rosse, arancioni e gialle: ancora “annuncìte”

Al di là di ogni anticipazione diffusa a mezzo stampa, è sempre bene aspettare la pubblicazione ufficiale dei provvedimenti (decreti, ordinanze) per capire realmente cosa si può fare. Anche nelle scorse ore, però, le nostre istituzioni hanno continuato a manifestare sintomi di annuncìte, quel “disturbo” caratterizzato dal voler diffondere prima, anche a mezzo stampa, una serie di annunci (non sempre coerenti fra loro) per procedere solo in seguito con la pubblicazione vera e propria dei provvedimenti. Un esempio si è verificato nel pomeriggio di ieri, con alcuni comunicati del Ministero della Salute:

Comunicato n. 301
Data del comunicato 27 novembre 2020

Speranza firma nuova ordinanza: area arancione per Calabria, Lombardia e Piemonte, area gialla per Liguria e Sicilia

Il Ministro della Salute, Roberto Speranza, firmerà una nuova ordinanza con cui si dispone l’area arancione per le Regioni Calabria, Lombardia e Piemonte e l’area gialla per le Regioni Liguria e Sicilia. L’ordinanza sarà in vigore dal 29 novembre.

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Comunicato n. 302
Data del comunicato 27 novembre 2020

Speranza firma nuova ordinanza: rinnovate misure per Campania, Emilia Romagna, Friuli venezia Giulia, marche e Toscana

Il Ministro della Salute, Roberto Speranza, firmerà una nuova ordinanza con cui si rinnovano le misure restrittive vigenti relative alle Regioni Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Marche e Toscana. L’ordinanza è valida fino al 3 dicembre 2020.

E l’ordinanza (o le ordinanze)? Al momento della diffusione di queste note, dei provvedimenti annunciati non si vedono tracce. I comunicati infatti nel titolo dicono “firma”, poi riportano “firmerà”. Non c’è ovviamente ragione di credere che nell’ordinanza ufficiale (o nelle ordinanze ufficiali) ci siano sorprese o contenuti differenti da quanto annunciato – d’altronde ciò che è consentito o vietato in funzione delle zone è sempre indicato negli scenari descritti nel DPCM 3 novembre 2020 – ma resta il fatto che i provvedimenti ufficiali arrivano sempre in seguito ad una serie di anticipazioni più o meno attendibili, che sembrano avere l’obiettivo di tastare il terreno presso esperti e opinione pubblica.

Di questo passo i cittadini riterranno sufficiente leggere le note, gli annunci, e non i provvedimenti di legge. Ma a livello comunicativo è un errore, perché con questa prassi si sottrae attenzione (e importanza) al provvedimento ufficiale, la cui ignoranza – per principio – non è ammessa. Per legge.

 
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Pubblicato da su 28 novembre 2020 in news

 

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Perché “sospendere” Telegram sarebbe un errore

Situazione controversa per Telegram, non per il suo ruolo di competitor di WhatsApp sul mercato dell’instant messaging, ma per un certo tipo di attività legate ai servizi di chat segrete e di broadcasting offerto agli utenti. Secondo quanto emerso da un servizio giornalistico che Wired ha pubblicato a inizio aprile, i servizi di Telegram vengono utilizzati per scambi di materiale pedo-pornografico e vendite non autorizzate di abbonamenti IPTV. Negli ultimi tempi sono inoltre aumentate esponenzialmente le iscrizioni a canali e gruppi che diffondono abusivamente giornali e riviste online, motivo per cui la FIEG (Federazione degli Editori di Giornali), ha chiesto “un provvedimento esemplare e urgente di sospensione di Telegram” all’Agcom. Un errore, a mio avviso, perché – anche stavolta – si cede alla tentazione di colpevolizzare uno strumento che viene scambiato per l’origine del problema.

Indiscutibile la preoccupazione per i numeri evidenziati: dalle rilevazioni effettuate su dieci canali della piattaforma – dedicati unicamente alla distribuzione illecita di giornali – emerge un bacino di utenza di 580mila iscritti. Il dato è già di per sè considerevole, ma il problema è ben più esteso, considerando l’ulteriore diffusione che ogni utente può generare in autonomia, inoltrando gli stessi giornali ad altri utenti, sia attraverso Telegram che utilizzando altre app di comunicazione.

La “sospensione” di Telegram sarebbe una soluzione al problema legittimamente evidenziato dagli editori? No, sarebbe una pezza temporanea e inefficace, che spingerebbe la feccia a proseguire su altre piattaforme. Pertanto sarebbe bene andare a colpire la feccia, anziché penalizzare uno strumento di comunicazione che viene sfruttato sempre di più anche da organizzazioni pubbliche e private come strumento di divulgazione di informazioni di interesse pubblico (è dei giorni scorsi, ad esempio, l’annuncio dell’apertura di un canale Telegram da parte del Ministero della Salute).

Chi nota la somiglianza con WhatsApp si chiederà: “perché Telegram e non WhatsApp”? Le due applicazioni hanno sia punti in comune che differenze importanti. Le chat funzionano più o meno allo stesso modo, ma su Telegram possono essere organizzate e ordinate in cartelle. Entrambi consentono le chiamate, ma Telegram non permette ancora le videochiamate, però aiuta ad accorciare i tempi dei messaggi vocali, che possono essere ascoltati anche a velocità doppia. Per i gruppi offre altre funzionalità e permette di arrivare a includere 200mila utenti. A questi si aggiungono appunto i canali, che sono dei gruppi di broadcasting, in cui gli iscritti ricevono notizie e aggiornamenti diffusi dal proprietario.

Telegram si basa completamente sul cloud, e questo permette agli utenti di utilizzarlo senza alcun problema su più dispositivi: l’app è disponibile sia per iOS che per Android ed esistono versioni per Mac OS, Linux e Windows. L’utilizzo della crittografia end-to-end protegge la riservatezza delle comunicazioni e proprio per questa sua “corazza” nel 2018 Telegram è stata vietata in Russia. Certo, questa protezione si rivela funzionale ad attività illecite e immorali, ma accanto a questi utilizzi da contrastare ci sono numerosissimi casi in cui Telegram si rivela veicolo di comunicazione per le istituzioni (anche molti enti pubblici lo utilizzano, anche a livello locale, per raggiungere i cittadini con informazioni utili, annunci di eventi, avvisi di emergenze) e non va dimenticato che si rivela anche strumento di libertà di espressione per chi, nel proprio Paese, è stato vittima di repressione o messo a tacere.

Tutto questo deve riportare la visione di Telegram al suo ruolo di strumento di comunicazione, non di “colpevole” per l’esercizio di attività illecite che ne sfruttano le potenzialità. Per fermarle non si deve sospendere Telegram, devono essere individuati i colpevoli: le possibilità ci sono, come dimostrato dalle indagini della Polizia Postale e delle Comunicazioni che lo scorso settembre è riuscita a identificare per la prima volta alcuni “pirati dell’informazione” che agivano anche attraverso Telegram.

Dal resoconto annuale del 2019 pubblicato sempre dalla Polizia Postale, inoltre, emerge in più contesti l’identificazione di colpevoli di attività come detenzione e divulgazione di materiale pedo-pornografico, così come di persone coinvolte in atti di cyberterrorismo. In Italia come nel mondo.

Stanare chi compie reati su Telegram non è impossibile. Per questo è possibile mantenere disponibile uno strumento senza comprometterne gli impieghi utili o virtuosi.

 
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Pubblicato da su 18 aprile 2020 in news

 

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Telelavoro, smart working, didattica a distanza. Ci voleva il coronavirus?

Necessità di limitare gli spostamenti, scuole chiuse, zone rosse, rischi di contagio: la diffusione epidemica del nuovo coronavirus obbliga ad alcuni cambiamenti nello stile di vita, resi necessari dalle varie misure di contenimento, adeguate giorno per giorno da chi ha la responsabilità di salute e ordine pubblico. Questi cambiamenti hanno portato alla “scoperta” di opportunità già esistenti, ma finora ignorate da molti per impreparazione o refrattarietà culturale, cioè il telelavoro, lo smart working e la formazione a distanza.

I primi due spesso sono confusi ed erroneamente identificati nello stesso concetto, ma anche se possono avere alcuni punti in comune, si tratta di due approcci diversi:

  • il telelavoro (lavoro a distanza) permette di lavorare altrove rispetto al posto di lavoro, solitamente a casa propria, con l’ausilio di strumenti tecnologici che consentono di mantenere un collegamento con la sede lavorativa, nel rispetto degli orari stabiliti dal datore di lavoro, che possono favorire anche la contemporaneità lavorativa con altri colleghi;
  • lo smart working permette di non essere legati ad un unico luogo in cui svolgere il proprio lavoro; può trattarsi di casa propria, di una sede staccata o anche di una panchina al parco; a differenza del telelavoro non ci sono obblighi sul rispetto dell’orario, ma obiettivi da raggiungere. Per favore, però, evitiamo l’etichettatura lavoro agile: si tratta di una prestazione lavorativa (o collaborazione) gestita autonomamente.

La recente crescita italiana di queste attività svincolate dal posto di lavoro è conseguenza dell’emergenza sanitaria di questo periodo. Certo non è sempre possibile avvalersi di queste possibilità in un Paese di piccole e medie imprese, molte delle quali con attività manifatturiera, ma con lo sviluppo dei servizi non è impensabile estenderne la diffusione. Fino allo scorso anno in Europa gli italiani che lavoravano in una di queste forme erano il 4,8%. Per fare un confronto rapido: nei Paesi Bassi si sfiora il 36% di lavoratori che sfruttano queste possibilità, in Svezia il 35%. Vedremo se e come evolverà la situazione in questo senso.

Ma anche il mondo dell’istruzione può – anzi deve – evolversi in questo senso, e qui credo che l’argomento meriti una migliore messa a fuoco. Le scuole chiuse stanno facendo emergere esigenze importanti, non solo perché gli studenti si devono mantenere in esercizio (e quindi gli insegnanti devono assegnare compiti a casa in modo alternativo a quello consueto), ma anche perché si deve seguire quella programmazione che la sospensione e la chiusura dell’attività scolastica hanno interrotto. In quest’ottica, le nuove tecnologie della comunicazione possono essere di supporto alla didattica a distanza. Ma le nostre scuole sono pronte a questo? Insegnanti e studenti sono dotati di risorse e strumenti adeguati?

Quando si è parlato dell’utilizzo degli smartphone a scuola ho avuto modo di evidenziare:

In buona parte delle nostre scuole oggi mancano infrastrutture tecnologicamente adeguate (soprattutto in termini di connettività – ad Internet e interna – e di attrezzature) e sul fronte degli insegnanti è necessario provvedere ad una formazione idonea all’acquisizione di competenze mirate in tal senso. Naturalmente attuare tutto questo non è possibile senza provvedere ai necessari investimenti in questa direzione, un presupposto fondamentale per porre le basi di un serio processo di alfabetizzazione digitale.

In mancanza d’altro, troviamo insegnanti volenterosi che inviano materiale didattico ai propri studenti tramite mail o messaggi WhatsApp, tentativo lodevole all’insegna del “si fa quel che si può”. Ma questa non può essere LA soluzione, anche se supera in modo rudimentale due considerevoli lacune: la mancanza di una piattaforma scolastica per la didattica a distanza e il digital divide culturale di una parte degli insegnanti e degli studenti (e no, nel 2020 la frase “non sono tecnologico” non ha più giustificazione: con uno smartphone sono tutti pronti a chattare e diventare leoni da tastiera, a scattarsi selfie, a pubblicare “stati” e “storie” con foto ritoccate e filtrate, a utilizzare app più o meno utili… ma nel momento in cui c’è una funzione seria e utile da imparare con pochi click, sembra che nessuno sia in grado di farlo).

Le scuole possono trovare una soluzione sfruttando vari supporti: il primo è quello del Ministero dell’Istruzione, che ha messo loro a disposizione la pagina web Didattica a distanza, che offre l’opportunità di utilizzare materiali multimediali Rai per la didattica, Treccani scuola, Fondazione Reggio Children – Centro Loris Malaguzzi e di piattaforme per la formazione a distanza.

Una proposta a mio avviso interessante è inoltre quella di INDIRE – Istituto Nazionale Documentazione Innovazione Ricerca Educativa: sul loro sito web è disponibile edmondo, che viene presentato come “un mondo virtuale 3D online, dedicato esclusivamente a docenti e studenti per l’innovazione della didattica in classe”. Una sorta di Second Life declinato al mondo della didattica, dove questo tipo di mondo virtuale può trovare un’applicazione sicuramente proficua.

Va però ricordato che Indire, inoltre, ha organizzato un’iniziativa di solidarietà tra scuole con il supporto delle reti Movimento “Avanguardie educative” e Movimento delle “Piccole Scuole”, che si presentano pronte alla collaborazione con docenti e dirigenti scolastici degli istituti scolastici che ne faranno richiesta per offrire la propria esperienza nell’utilizzo di tecniche didattiche e strumenti innovativi. L’iniziativa si chiama “La scuola per la scuola” e vi hanno già aderito molti istituti.

Non mancano le soluzioni offerte da due grandi aziende tecnologiche, come Google e Microsoft, attive in questo settore rispettivamente con GSuite for Education e Office 365 Education A1. In tutta onestà, però, sarei molto riluttante ad utilizzare la piattaforma di e-learning di Google: è un’azienda che ha come core business l’utilizzo di dati a scopo di profilazione, per cui non mi meraviglierei se sfruttasse i dati acquisiti dagli studenti italiani per le proprie attività. Verificherei bene le condizioni di utilizzo dei dati conferiti alla piattaforma, prima di avere sorprese.

Per questo motivo – e vista la nulla attenzione al software libero, che le istituzioni dovrebbero invece promuovere – probabilmente punterei su una soluzione come Weschool, una validissima piattaforma per la didattica integrata, che consente a studenti e professori di condividere qualsiasi tipo di contenuto, collaborare a lavori di gruppo, giocare, fare esercizi e ottenere feedback in tempo reale. Nella piattaforma è possibile trovare video, articoli, corsi, video quiz, libri di testo, prodotti collaborativi, lavori di gruppo.

Per quanto riguarda “semplici” strumenti di condivisione di lezioni, si possono sicuramente citare ad esempio Jitsi.org , Zoom.us, Big Blue Button. Esistono inoltre risorse “pronte all’uso” come quelle reperibili su Risorsedidattiche.net e Redooc.

Sicuramente esistono altre soluzioni, tutto sta a vedere quali rappresentano meglio le esigenze di insegnanti e studenti. Questo spazio rimane disponibile per eventuali segnalazioni: si tratta di voler seriamente iniziare e proseguire un percorso. Forse il nuovo coronavirus ha dato lo stimolo per partire.

 
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Pubblicato da su 8 marzo 2020 in news

 

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Si fa presto a dire cybersecurity

hacked

“Mancanza di opportune decisioni politiche e gestionali”: secondo Giuseppe Esposito, vicepresidente del Copasir (Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica), sono queste le motivazioni delle criticità e vulnerabilità che hanno aperto le porte all’attacco informatico che ha colpito il Ministero degli Esteri nel 2016 e partito, secondo quanto riferito dal Guardian, dalla Russia. Da alcuni dettagli emersi nelle scorse ore, però, si apprende che l’attività di spionaggio ai danni della Farnesina potrebbe essere iniziata nel 2014.

“Sulla cybersecurity in molte parti le nostre piattaforme sono un colabrodo” ha evidenziato con perspicacia Esposito. Ma questa, probabilmente, è l’unica certezza che abbiamo, mentre su tutto il resto è ancora necessario fare chiarezza. A cominciare dai sospetti caduti sui russi, gli stessi che avrebbero violato le mail di Hillary Clinton e favorito le elezioni di Donald Trump, ma sui quali non sono state ancora trovate prove: il dato ancora sconosciuto è la reale origine degli attacchi, che potrebbero essere stati veicolati da un malware “simile a quelli usati anche dalla scuola russa di polizia informatica“.

In realtà il Ministero degli Esteri ha confermato solo di aver subito alcuni attacchi, che non avrebbero penetrato “un livello criptato di firewall” (eh?), senza confermare – ne’ tantomeno accennare – alcun sospetto sulla loro provenienza. Nulla avrebbe comunque compromesso le comunicazioni di Paolo Gentiloni (all’epoca responsabile del ministero), dal momento che per la corrispondenza riservata farebbe abitualmente uso solo di “carta e penna”. Il non trascurabile fatto che Gentiloni, in passato, sia stato ministro delle Comunicazioni la dice lunga sulla sua fiducia nella sicurezza dei sistemi di comunicazione utilizzati a livello istituzione e conferma – seppur indirettamente – le considerazioni di Esposito sulle “piattaforme colabrodo”.

Ma perché sono un colabrodo? Quello che Esposito dice in merito alla mancanza di opportune decisioni politiche e gestionali è un riferimento ai limiti delle nostre istituzioni: semplicemente, ancor oggi che ci troviamo nel 2017, la sicurezza delle informazioni non è ritenuta una priorità, perché la classe politica è formata in buona parte da persone che non sono in grado di coglierne l’importanza strategica. E se il dna del nostro parlamento non fosse ancora così prevalentemente analogico, forse si saprebbe almeno qualcosa sull’impiego di quei 150 milioni di euro previsti dalla Legge di Stabilità per la cybersecurity.

 

 
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Pubblicato da su 13 febbraio 2017 in news, security

 

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Maturità, il MIUR contro smartphone e Internet

Minervino

APPROVATO!

Con una circolare, il MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) ha stabilito alcune regole da applicare durante gli esami di maturità che vale la pena conoscere.

La prima riguarda l’uso di dispositivi tecnologici:

è assolutamente vietato, nei giorni delle prove scritte, utilizzare a scuola telefoni cellulari, smartphone di qualsiasi tipo, dispositivi di qualsiasi natura e tipologia in grado di consultare file, di inviare fotografie ed immagini, nonché apparecchiature a luce infrarossa o ultravioletta di ogni genere

Quindi niente telefonini, ne’ smartphone, niente tablet ultrasottili, ma anche niente videocitofoni, lampade abbronzanti e rilevatori di banconote false, per dire (apparecchiature a luce infrarossa o ultravioletta di ogni
genere). Battute a parte, il divieto di usare dispositivi di qualsiasi natura e tipologia in grado di consultare file è praticamente onnicomprensivo (anche se, per esserlo davvero, avrebbero dovuto scrivere “qualunque altra diavoleria tecnologica”) e quindi vale anche per gli smartwatch, benché non siano menzionati in modo specifico.

Inoltre:

è vietato l’uso di apparecchiature elettroniche portatili di tipo palmare o personal computer portatili di qualsiasi genere in grado di collegarsi all’esterno degli edifici scolastici tramite connessioni wireless, comunemente diffusi nelle scuole, o alla normale rete telefonica con qualsiasi protocollo

Chi pensava di portarsi un notebook da tenere ben nascosto sotto il banco, dunque, è avvertito. Non si può fare. Ma non è tutto:

Nel corso dello svolgimento delle prove scritte dovrà essere disattivato il collegamento alla rete Internet di tutti gli altri computer presenti all’interno delle sedi scolastiche interessate dalle prove scritte.
Saranno, altresì, resi inaccessibili aule e laboratori di informatica.
Inoltre, al fine di garantire il corretto svolgimento delle prove scritte, la Struttura Informatica del Ministero vigilerà, in collaborazione con la Polizia delle Comunicazioni, per prevenire l’utilizzo irregolare della rete INTERNET da parte di qualunque soggetto e delle connessioni di telefonia fissa e mobile.

 
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Pubblicato da su 29 Maggio 2015 in Buono a sapersi

 

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Start & stop

SAMSUNG

Ci scusiamo per il disagio è una frase per me talmente ricorrente che, anziché indurre clemenza, scatena irritazione. La sensazione non è diversa – anzi, genera altre emozioni nefaste – nel leggerla sulla homepage di Smart & Start, il portale italiano dedicato alle startup dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e gestito dall’agenzia Invitalia.

Mercoledì 4 settembre, il giorno del clic day, il sito che doveva accogliere le domande di finanziamento delle imprese innovative del sud è crollato sotto i colpi dei loro clic: funzionamento prima lento, poi bloccato, PIN che non arrivano, regioni (come la Sardegna) che spariscono…  Intendiamoci, i problemi si possono verificare, ma l’entità degli aspetti critici del funzionamento di questo sito è decisamente notevole. Troppo, per chi poche ore prima dell’apertura si pubblicizzava con questi toni epocali…

  • Il viaggio comincia, conquista nuovi mondi

…e con paragoni spropositati

  • 1882 – Thomas Edison inaugura la prima rete di illuminazione elettrica
  • 1888 – George Eastman registra il marchio KodaK
  • 1998 – Larry Page e Sergey Brin fondano Google 
  • 2013 – Apre Smart&Start

La situazione è ben descritta oggi in un articolo di Riccardo Luna. Forse in risposta alle numerose lamentele, Invitalia ha pubblicato un comunicato stampa per spiegare la vicenda.

 
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Pubblicato da su 6 settembre 2013 in brutte figure, Internet, istituzioni, pessimismo & fastidio

 

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Catricalà alle Comunicazioni

Antonio Catricalà è stato nominato oggi Viceministro del Ministero dello Sviluppo Economico. Nel decreto approvato oggi dal Consiglio dei Ministri, si legge che a Catricalà competono le deleghe relative alla trattazione degli affari nell’ambito delle materie relative ai settori delle poste, delle telecomunicazioni, della comunicazione elettronica, delle reti multimediali, dell’informatica, della telematica, della radiodiffusione sonora e televisiva, delle tecnologie innovative applicate al settore delle comunicazioni, di competenza del Dipartimento delle comunicazioni (oltre alle funzioni connesse all’attività di Infratel Italia (società infrastrutture e telecomunicazioni per l’Italia) e della fondazione Ugo Bordoni.

 
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Pubblicato da su 31 Maggio 2013 in istituzioni, news

 

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Il governo su Twitter

GovernoTwitter

Per iniziare la settimana parlando di stretta attualità, ecco la composizione del Governo della Repubblica Italiana, con i contatti pubblici su Twitter, personali e/o dei ministeri.

Presidenza

  • Presidente del Consiglio dei Ministri: Enrico Letta – @EnricoLetta – @Palazzo_Chigi
  • Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e Segretario del Consiglio dei Ministri: Filippo Patroni Griffi
  • Vice Presidente e Ministro dell’interno: Angelino Alfano – @angealfa

Ministri senza portafoglio

  • Affari europei: Enzo Moavero Milanesi
  • Affari regionali e autonomie: Graziano Delrio – @graziano_delrio
  • Coesione Territoriale: Carlo Trigilia@MinCoesione
  • Rapporti con il Parlamento e coordinamento attività di Governo: Dario Franceschini – @dariofrance
  • Riforme costituzionali: Gaetano Quagliariello – @QuagliarielloG
  • Integrazione: Cécile Kyenge – @ckyenge
  • Pari opportunità, sport e politche giovanili: Josefa Idem – @josefaidem
  • Pubblica amministrazione e semplificazione: Giampiero D’Alia – @gianpierodalia

Ministri con portafoglio

Gli account personali sono ben 17 su 23 componenti, un bel record. Oltre alle numerose urgenze che questo Governo deve affrontare, sarebbe bello che questa presenza su Twitter aumentasse e che non rappresentasse solo una facciata, ma una reale disponibilità all’ascolto e al confronto.

 
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Pubblicato da su 29 aprile 2013 in Internet, istituzioni, news

 

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Eventuale

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Utile e opportuna, la precisazione del direttore del Dipartimento Finanze del ministero dell’Economia e delle Finanze Fabrizia Lapecorella dopo l’audizione alla Commissione Finanze della Camera dei Deputati, relativa alle possibilità di un intervento sull’IMU.

Possibilità che spettano unicamente al governo (si disilluda chi sperava nel Pulcino Pio), e che fondano concretezza e attuabilità in un’unica parola, quell’aggettivo lieve che l’ufficio stampa del ministero ha tenuto a inserire già nel titolo del comunicato.

In altre parole: Ma de che?

 
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Pubblicato da su 18 settembre 2012 in istituzioni, Mondo, news

 

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Tanto per essere chiari

 
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Pubblicato da su 13 aprile 2012 in News da Internet

 

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Tradotta alla maniera dei cani

Leggendo il post di Max che ha evidenziato l’indolente traduzione in inglese che si può tuttora trovare sul sito del MIUR – sezione bandi – ho capito che, per le nostre istituzioni, l’agenda digitale è una misura necessaria, ma non può prescindere dal buon senso.

Una persona “poco smaliziata” potrebbe leggere quella traduzione come “Dalla pecora allo stile canino” e chiedersi che c’azzecca il cane con la pecora, il pecorino e la tracciabilità. Il fatto che Doggie style – che potremmo tradurre con “alla maniera dei cani” – è la locuzione inglese che corrisponde al nostro concetto di pecorina, fa emergere una traduzione letterale alquanto maldestra (tra l’altro anche Google Translate fa di meglio, con l’intera frase, mentre cade in errore utilizzandolo per tradurre i singoli vocaboli) e la dice lunga sulla necessità di dover partire dall’ABC.

Però non sarebbe una cattiva idea dare una controllatina ogni tanto a ciò che si pubblica sul sito web di un ministero… e magari – visto che ci arriva a cascata, senza filtri – anche su quello della Commissione Europea

 
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Pubblicato da su 16 febbraio 2012 in brutte figure, Internet

 

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Uscire dal tunnel

E’ possibile che da oggi possa cambiare qualcosa, nei comunicati del MIUR:

MIUR: ZENNARO SI DIMETTE DA PORTAVOCE MINISTRO GELMINI

(ASCA) – Roma, 29 set – Massimo Zennaro ha rassegnato le dimissioni da portavoce del ministro dell’Istruzione universita’ e ricerca Mariastella Gelmini.

La decisione arriva a distanza di qualche giorno dalla gaffe del ‘tunnel tra Ginevra e il Gran Sasso’ in riferimento alla scoperta fatta dal Cern relativa alla velocita’ raggiunta da un fascio di neutrini sparati daGinevra verso il centro di ricerca del Gran Sasso.

Massimo Zennaro, contattato telefonicamente, ha spiegato che la sua decisione e’ ”irrevocabile” confermando anche di voler mantenere l’incarico di direttore generale del Miur.

 
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Pubblicato da su 29 settembre 2011 in brutte figure, Life, media, Mondo, news, News da Internet

 

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