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Threads è “sbarcato” in Europa

A mezzogiorno di oggi, 14 dicembre 2023, Threads ha aperto le porte agli utenti europei. Si era intuito dal countdown pubblicato nei giorni scorsi da Meta (l’azienda che controlla Facebook, Instagram, WhatsApp e molto altro) dopo il debutto dello scorso luglio.

Ma quindi cos’è Threads? Attenzione: contrariamente a quanto appariva inizialmente, non si tratta semplicemente della versione Meta di Twitter, anche se si presenta come una piattaforma di microblogging alternativa a X (cioè la ElonMusk-version di Twitter). Threads è una costola di Instagram che permette di pubblicare post fino a un massimo di 500 caratteri e video di lunghezza fino a cinque minuti, e l’integrazione con Instagram (scusate la ripetizione) è molto spinta.

L’iscrizione a questa nuova piattaforma prevede una procedura decisamente semplice, ma la premessa rimane essere utenti di Instagram. Pertanto, se scaricate l’app Threads per iPhone o Android è sufficiente inserire le credenziali Instagram per accedere. Da lì in poi, sarà possibile postare, seguire gli account di amici o altri utenti e, per ogni post, mettere un like, commentare, condividere, ripubblicare… come per altre piattaforme social.

Threads seppellirà X, cioè l’ex-Twitter? È ancora presto per dirlo. Per capirlo analizzeremo i risultati che raggiungerà a breve, nella consapevolezza del vantaggio dato dal nutrito bacino di utenza a cui può attingere, cioè gli utenti di Instagram.

 
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Pubblicato da su 14 dicembre 2023 in news

 

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Richieste insolite in Direct Message? Attenzione

Le trappole per “rubare” gli account nei social network sono tante. Qui spiego un espediente piuttosto ricorrente nei social network, basato semplicemente sulla modifica delle informazioni di contatto, che un utente può essere indotto ad aggiornare in modo ingannevole. Non chiamiamolo hackeraggio, non lo è: si tratta di un imbroglio. E in questo caso un utente incauto, senza accorgersene, serve il proprio account su un piatto d’argento direttamente ad un truffatore.

Una possibilità è questa: voi commentate il post Instagram (o Facebook) di un personaggio famoso o di un’azienda, il vostro commento viene notato da qualcuno che, tramite DM (Direct Message), vi contatta spacciandosi per un collaboratore, dice che il commento è interessante e vi promette di aprirvi un canale di comunicazione privilegiato ed esclusivo con il personaggio o l’azienda, inviandovi un link. L’opportunità attira la vostra attenzione: il commento che avevate scritto potrebbe essere ignorato, annegare in mezzo a migliaia di altri, qui invece vi propongono di aprire un contatto diretto e poter comunicare direttamente con la sicurezza di essere considerati, tutto ciò che dovete fare è seguire un link. Questo link vi porta alla gestione dei contatti del vostro account, in cui il truffatore vi indica di aggiungere un indirizzo mail (non il vostro, ma un indirizzo che vi dirà lui) “per permettere l’invio di messaggi diretti”. Il gioco è fatto: da quel momento, pensando di aver creato un collegamento con il personaggio o l’azienda in questione, in realtà avete dato ad un truffatore la delega a gestire il vostro account. Da lì a pochi minuti, ogni utente caduto nel tranello si trova ben presto a non poter più utilizzare il proprio account, perché il truffatore ha cambiato la password d’accesso e i contatti di riferimento. Pertanto è fondamentale fare sempre molta attenzione agli inviti ricevuti da persone sconosciute.

Aggiungo un elemento di complicazione: potreste ricevere questo stesso tipo di invito da una persona che conoscete, o almeno così credete. La persona che vi contatta potrebbe essersi impossessata dell’account del vostro conoscente, oppure potrebbe avere un account fasullo con lo stesso nome, per indurvi a fidarsi di lui. Anche qui, attenzione: il link che vi indica porta alla pagina che gestisce gli account del vostro profilo. Se ricevete quindi una richiesta simile, verificate sempre: prima di inserire o trasmettere qualsiasi informazione personale, contattate quella persona in un altro modo (telefonicamente oppure via mail, WhatsApp, Telegram, fax, piccione viaggiatore, citofonate a casa sua… quello che vi pare) e chiedetele se è stata lei a mandarvi quel link, che non serve a stabilire alcun canale di comunicazione privilegiato, ma a definire chi ha la possibilità gestire il vostro account.

Ultimamente ho ricevuto svariate segnalazioni di account rubati con espedienti simili e sabato scorso io stesso ho ricevuto questo tipo di esca, in cui mi è stato offerto di avere un contatto esclusivo con un’azienda che però conosco bene e con cui ho già un rapporto diretto. Il sospetto della truffa quindi era dietro l’angolo, ma in molti casi scoprirla non è semplice. Per cui ripeto, attenzione: si tratta a tutti gli effetti di un tentativo di furto di identità ed esserne vittime, oltre a creare problemi personali legati all’indisponibilità dell’account, può avere effetti collaterali anche molto sgradevoli. Se pensate a tutto ciò che può fare una persona che può agire sotto mentite spoglie, capite che si tratta di un argomento da prendere in seria considerazione. E se vi accade una cosa simile, oltre a non abboccare, segnalate l’account all’assistenza del social network

 
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Pubblicato da su 20 novembre 2023 in news

 

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Cos’è che state disattivando, scusate?

Da alcuni giorni numerosi utenti contribuiscono ancora a diffondere su Facebook, a distanza di anni, una vecchia bufala ingannevole che, con un semplice post con una dichiarazione, permetterebbe agli utenti di mantenere la titolarità di ciò che pubblicano e/o non sottoscrivere il pagamento del canone di 4,99 euro al mese e di mantenere i diritti di utilizzo di immagini e testi pubblicati. Ancora una volta è necessario ribadirlo: sono tutte palle! Ma questa volta la bufala è tornata d’attualità perché Meta sta varando un altro servizio: la versione senza pubblicità di Facebook e Instagram. Che affiancherà la versione “gratuita”, ma con costi ben più alti. E, soprattutto, senza alcun cambiamento sui diritti di utilizzo delle immagini.

I fatti: dal mese di novembre 2023, Meta (la società che controlla piattaforme come Facebook, Instagram e WhatsApp) ha lanciato in Europa la versione “pay” dei suoi social network, fruibile senza inserzioni pubblicitarie. Questo significa che la versione “gratuita” di Facebook e Instagram continuerà a esistere e, se un utente non sottoscriverà alcun tipo di abbonamento, potrà proseguire a utilizzare questi servizi “gratuitamente” e a visualizzare inserzioni pubblicitarie mirate, derivanti dalla sua navigazione e dalle sue preferenze espresse nell’utilizzo dei social network. Come adesso, dunque, anche se non è da escludere nel prossimo futuro un bombardamento pubblicitario maggiore.

Quanto costerà la libertà dalla pubblicità? 9,99 euro al mese per chi utilizza Facebook o Instagram dal browser, 12,99 euro al mese per gli utenti che utilizzano i social network da app su dispositivi iOS (iPhone, iPad) o Android. Attenzione però: fino al 29 febbraio 2024, la sottoscrizione sarà valida per tutti gli account collegati al Centro gestione account dell’utente. Dal 1 marzo, ogni account aggiunto al Centro gestione account dell’utente comporterà un costo aggiuntivo, ossia un canone di 6 euro al mese da browser e di 8 euro al mese se da iOS o Android.

Queste sono le condizioni che saranno applicate a chi sottoscriverà un abbonamento, differenziando la propria esperienza social dagli utenti che rimarranno sulla piattaforma “gratuita”, pagando quindi non con un canone in denaro, ma acconsentendo ad essere profilati dalle piattaforme di advertising. Perché – è bene ricordarlo – la presunta gratuità ha comunque un prezzo, che dal punto di vista monetario viene pagato dagli inserzionisti pubblicitari, mentre dal punto di vista del patrimonio di informazioni viene pagato dagli utenti che acconsentono di essere tracciati e controllati.

Il controllo che riguarda tutti, utenti “pay” e “free”, riguarda i contenuti pubblicati. Ma a questo proposito non c’è “non autorizzo” o “sto disattivando” che tenga: all’atto dell’iscrizione a Facebook, per dirla in termini semplici, ogni utente ha sottoscritto le condizioni indicate nel regolamento, che prevedono la concessione di una licenza non esclusiva, trasferibile, sub-licenziabile, esente da royalty e mondiale per ospitare, utilizzare, distribuire, modificare, eseguire, copiare o visualizzare pubblicamente, tradurre e creare opere derivate dai tuoi contenuti”. Cosa significa? Che “se condividi una foto su Facebook, ci dai il permesso di archiviarla, copiarla e condividerla con altri”.

Quindi, nei vostri post, potete scrivere ciò che volete. Ma Facebook, come da accordi sottoscritti all’atto dell’iscrizione, potrà ancora utilizzare ciò che pubblicate nel modo che ritiene più opportuno. In barba a tutti i “non autorizzo” e “anch’io sto disattivando!”, ma c’è anche la variante “Il mio è davvero diventato blu”. Ma a proposito: cosa state disattivando, esattamente? E dove vedete Channel 4 News? E se state pubblicando la variante, cos’è che vi è davvero diventato blu?

 
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Pubblicato da su 12 novembre 2023 in news

 

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Zuck e Musk, sfida testosteronica (e algoritmica)

Quando Meta ha annunciato di essere sul punto di lanciare un clone di Twitter di nome Threads, il boss del social “originale” Elon Musk ha aperto online un confronto “tra maschi alfa” invitando Mark Zuckerberg a un combattimento “in gabbia”. Il loro botta-e-risposta che viaggia parallelo alla sfida business sè culminato con il tweet in cui Musk propone di misurarsi per vedere tra i due “chi lo ha più lungo”.

Questo apparente battibecco tra bimbiminkia non proseguirà con un “gnè-gnè-gne”: in realtà sembra realizzato ad arte per catturare attenzione e portare visibilità. Chi ci guadagna? Anche se avviato da Musk, in questo momento sicuramente ne beneficia Threads, che in meno di una settimana ha superato i 100 milioni di iscritti. Un traguardo condizionato da una serie di elementi che non permette ancora di capire che futuro avrà questo “nuovo social network”.

  1. Ok Threads è nuovo, ma ricalca le stesse dinamiche di Twitter. I post possono arrivare a 500 caratteri (contro i 280 di Twitter per gli utenti che non usufruiscono al servizio premium Twitter Blue). Che senso ha proporre una piattaforma molto simile ad un’altra che esiste già da 17 anni?
  2. Non vive di vita propria, è agganciato ad Instagram e quindi un account di Threads può esistere solamente se esiste già in Instagram (è lo stesso rapporto che c’è stato tra TikTok Now e TikTok), con il vantaggio di avere un’acquisizione di follower agevolata dal social “padre”, che offre un bacino di utenza di oltre 2 miliardi di utenti. Quanti di questi sentiranno il bisogno di un Twitter by Meta?
  3. I contenuti vengono mostrati non in ordine cronologico: in base a un algoritmo, Threads mostra i post degli utenti seguiti, ma anche quelli di utenti che lui ritiene interessanti. Quindi una delle chiavi del suo possibile successo sarà proprio la capacità dell’algoritmo di intercettare la curiosità degli utenti.
 
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Pubblicato da su 10 luglio 2023 in news

 

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Musica SIAE fuori da Meta. Ma resta Soundreef

(Aggiornamento al termine del post)

E’ noto che su Facebook e Instagram sia possibile pubblicare post, stories e Reel aggiungendo come colonna sonora un brano musicale scelto dal vasto catalogo proposto dagli stessi social network. Ma da quel catalogo stanno per sparire quasi tutti i brani di artisti italiani perché è saltato l’accordo tra Meta – l’azienda che c’è dietro a Facebook e Instagram – e SIAE, la Società Italiana degli Autori ed Editori (meglio nota come SIAE), l’ente che tutela il diritto d’autore e la proprietà intellettuale di molti artisti italiani.

L’accordo saltato riguarda le condizioni economiche per il rinnovo della licenza con SIAE. Per questo, spiegano da Meta, “avvieremo la procedura per rimuovere i brani del repertorio Siae all’interno della nostra libreria musicale. Abbiamo accordi di licenza in oltre 150 paesi nel mondo e continueremo a impegnarci per raggiungere un accordo con Siae che soddisfi tutte le parti“. Significa che Facebook eliminerà i contenuti già esistenti contenenti brani musicali che rientrano nel catalogo Siae, mentre Instagram li manterrà “silenziandoli”, cioè togliendo l’audio, consentendo a chi li ha pubblicati di scegliere un altro brano, non tutelato da Siae. E potrebbe trattarsi di uno dei brani del catalogo Soundreef, gestore indipendente e alternativo a Siae che rappresenta comunque molti artisti italiani, tra cui Laura Pausini, Ultimo, Fedez, Takagi & Ketra, Enrico Ruggeri, Pooh, Boomdabash, Marracash, Gigi D’Alessio, J-Ax, FSK $atellite, Nesli ed editori come Kromakì Music e Smilax Publishing. Oltre 26mila i nomi che fanno parte del catalogo Soundreef, che ogni anno viene scelta da nuovi artisti. Quindi ora sapete che titoli come “La musica sparisce da Facebook e Instagram” sono quantomeno esagerati, anche se il catalogo Siae annovera sicuramente moltissimi artisti.

Siae non l’ha presa bene e definisce “incomprensibile” la posizione di Meta, ma sottolinea che “non accetterà imposizioni da un soggetto che sfrutta la sua posizione di forza per ottenere risparmi a danno dell’industria creativa italiana”. E’ indubbio che i social network protagonisti di questa vicenda guadagnino molto grazie a ciò che gli utenti condividono e un contenuto viene sicuramente arricchito se abbinato ad un brano musicale. Per Siae ogni esecuzione di un brano deve essere remunerata nell’interesse degli autori.

Secondo la posizione dei social network, questa formula è pubblicità per gli autori dei brani e a questo proposito abbiamo un esempio recentissimo che lo dimostra in modo evidente: il brano Bloody Mary di Lady Gaga è del 2011, ma pochi mesi fa è entrato nelle classifiche di mezzo mondo dopo aver registrato una rinnovata popolarità grazie ai numerosissimi video diffusi tramite TikTok (che non risente del problema) e Instagram che hanno legato il brano – soprattutto per il ritornello “I dance, dance, dance with my hands, hands, hands” – al celeberrimo balletto di Jenny Ortega tratto da Mercoledì (sequenza che nella serie aveva come colonna sonora Goo Goo Muck dei The Cramps del 1981, anch’essa tornata ad inaspettata ribalta, seppur con minor clamore).

Secondo alcuni osservatori, la presa di posizione di Meta potrebbe avere radici nell’indagine aperta nei suoi confronti dalla Procura di Milano per evasione e omesso versamento di IVA per 870 milioni di euro: l’ipotesi è che l’azienda intenda negoziare condizioni fiscali più favorevoli facendo leva anche sulla vicenda dell’accordo con Siae, con la quale la trattativa potrebbe riprendere. Nel frattempo, comunque, i brani interessati spariranno dai social… fino a nuovo accordo.

AGGIORNAMENTO:

Soundreef, come indicato nella nota sopra riportata, ha riscontrato che da Facebook e Instagram – inaspettatamente – sono spariti anche i brani che fanno parte del repertorio integralmente amministrato da lei nonché i repertori esteri e sta approfondendo la questione. Che ovviamente avrà un seguito… Alcuni brani nel frattempo sembrano tornati disponibili. Forse appunto quelli rappresentati di Soundreef e altri gestori. L’importante è che Meta sia in grado di individuarli.

 
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Pubblicato da su 16 marzo 2023 in news

 

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Il buongiorno si vede dal mattino… e il buon anno?

Meta ha acquisito Luxexcel, azienda olandese specializzata nella produzione – con stampa 3D – di lenti graduate per smart glass, cioè gli “occhiali intelligenti”. La notizia giunge a breve distanza dall’annuncio, sempre da parte della holding che controlla Facebook, Instagram, WhatsApp e Oculus (non dimentichiamolo), di voler incrementare gli investimenti nelle tecnologie per la realtà aumentata e virtuale. Il gruppo di Mark Zuckerberg mette dunque le sue mani sull’azienda guidata da Fabio Esposito con cui aveva una partnership nel Project Aria, per lo sviluppo di software e hardware per la realtà aumentata, tra cui spicca l’obiettivo di realizzare un dispositivo “da indossare come un normale paio di occhiali”.

Luxexcel è già attiva nello sviluppo di lenti “stampate” integrando tecnologie come display LCD e pellicole olografiche. Puntando a queste tecnologie, Meta intende fare un enorme passo in avanti rispetto alla collaborazione già esistente con Luxottica. Il primo step è stato appunto il lancio dei Ray Ban Stories, un paio di occhiali che, con un’applicazione, permettono agli utenti di ascoltare musica, scattare foto, effettuare chiamate e registrare video da condividere su Facebook. C’è da scommettere che Project Aria proietterà molto di più davanti agli occhi di chi indosserà i nuovi smart glass di Meta-Luxexcel.

Ma la vera domanda è: riusciranno a centrare l’obiettivo mancato dai Google Glasses? Partiti con molte ambizioni, gli occhiali smart di Google una decina di anni fa si erano scontrati con un problema non trascurabile: la privacy. Certo, con il microfono e la telecamera di un paio di “occhiali intelligenti” non si catturano informazioni diverse da quelle acquisite da un moderno smartphone, ma mentre io mi posso accorgere di qualcuno che usa un cellulare per riprendermi, se una persona utilizza un paio di smart glass e non lo dichiara, nessun altro se ne accorge e chiunque si trovi intorno può essere ripreso, identificato e tracciato a sua insaputa. Per questo motivo Google ha limitato il mercato dei suoi occhiali al settore dei professionisti che li utilizzano per ricevere e trasmettere informazioni da remoto, ad esempio per applicazioni di telecontrollo.

Sicuramente sarà necessario prevedere una regolamentazione a questo scopo: potrebbe ad esempio essere reso obbligatorio un segnale visivo quando questi dispositivi sono “attivi”. Ma voi come vi vedreste, indossando un paio di occhiali con un evidente led lampeggiante sulla montatura?

 
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Pubblicato da su 3 gennaio 2023 in news

 

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Instagram saprà la tua età guardandoti in faccia

Per un social network è importantissimo conoscere l’età dei propri utenti, sia per questioni legali (in Italia agli under 14 non è possibile aprire un profilo social) che per presentare agli utenti contenuti appropriati. Come sappiamo, fidarsi dai dati dichiarati all’iscrizione non è sufficiente e per questo motivo Instagram, per capire l’età dei propri utenti, ha annunciato che tenterà la carta del riconoscimento facciale.

Meta, il gruppo di cui Instagram fa parte insieme a Facebook, WhatsApp e altri servizi, potrebbe sicuramente investire in questa tecnologia e non è detto che non lo stia facendo. Per il momento ha preferito appoggiarsi a Yoti, azienda specializzata nel settore, che fornirà una soluzione di intelligenza artificiale con questo obiettivo. La funzione verrà impiegata inizialmente per gli utenti USA e poi verrà verosimilmente estesa al resto del mondo, e questa potrebbe essere la prima fase dell’introduzione di questa tecnologia anche sulle altre piattaforme social, in aggiunta ai sistemi di verifica già utilizzati, come il caricamento della carta di identità – che sappiamo non essere un sistema del tutto affidabile – e la richiesta di un “aiuto da casa”, altrimenti conosciuto come social vouching (la conferma dell’età da parte di tre follower maggiorenni dell’utente).

Chi volesse fare un test e verificarne l’affidabilità, può cliccare questo link: https://yoti.world/age-scan/. Come vedete nell’immagine che apre il post, con me è stato di manica larga 😆

The Verge riporta che le stime di Yoti sono meno accurate per utenti con carnagione scura, di sesso femminile e di età inferiore ai 24 anni, mentre Engadget alza il sopracciglio perché non ci sono informazioni sulla tecnologia utilizzata.

Riuscirà Meta ad impedire ai minorenni di accedere a contenuti per per adulti o servizi come Facebook Dating? Dite di sì? Anche quando davanti alla webcam metteranno la foto del nonno, ignaro di tutto?

 
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Pubblicato da su 28 giugno 2022 in news, social network

 

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Vuoi sapere chi ti stalkera sui social? Lascia perdere

Ultimamente mi è capitato di trovare inserzioni pubblicitarie relative ad app che promettono di svelarvi chi vi sta stalkerando online, cioè chi visita il vostro profilo sui vari social network. Funzionano? Sgombriamo il campo da ogni possibile dubbio: da Instagram e Facebook, oggi, ottenere questo risultato non è possibile, se l’obiettivo è quello di avere nome, cognome e numero di passaggi sul profilo.

Chiariamo un aspetto: tecnologicamente è possibile saperlo, tant’è che LinkedIn offre questa opzione (a pagamento), dando così agli utenti l’opportunità di sapere nome e cognome di chi ha visitato il loro profilo. Instagram e Facebook invece non lo permettono e nemmeno le varie app di terze parti che si possono trovare nei vari store.

Detto questo, facciamo luce per trenta secondi su quelle app/servizi che promettono di darvi informazioni su chi vi stalkera: se scaricate e utilizzate una di queste app non sarete agevolati nel rintracciare chi visita il vostro profilo, anzi… agevolerete chi ha sviluppato l’app nella raccolta di vostre informazioni personali e riservate, mettendole a disposizione di persone che non conoscete, perché queste app richiedono proprio l’accesso diretto al vostro profilo, attraverso le vostre credenziali personali, che non dovreste mai trasmettere a nessuno.

Vale la pena consegnare i vostri dati e le vostre credenziali a degli sconosciuti, che potrebbero addirittura impossessarsi del vostro account, solo per la curiosità di sapere chi visita il vostro profilo sui social network? No, non ne vale la pena. Quindi lasciate perdere.

 
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Pubblicato da su 4 giugno 2022 in news

 

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Un nuovo volto per Instagram? E quindi?

Nuovi colori, nuovi font (caratteri tipografici), nuovo logo, nuove caratteristiche nel layout: Instagram ha preannunciato novità imminenti che giungeranno con un visual refresh. Oh, sia chiaro: non sono parole mie, sono nel comunicato ufficiale.

La concorrenza incalza e i tempi sono maturi per offrire al mercato un prodotto rinnovato. E allora ecco una ventata di rinnovamento: per il logo verrà introdotto un nuovo gradiente che lo modernizzerà; è inoltre in arrivo un nuovo font, che si chiamerà Instagram Sans, decorativo e ispirato al design riconducibile al brand del social network, ma soprattutto pensato per essere più leggibile e universalmente comprensibile anche con lingue che non utilizzano il nostro alfabeto, come arabo, cinese, giapponese, thailandese o le lingue basate sull’alfabeto cirillico. Secondo me inizialmente lo useranno tutti, come ogni novità cool, poi si assesterà su utilizzi più limitati (da parte di coloro a cui piace).

Per quanto riguarda il layout: le foto saranno visualizzate con un altro stile, anche a tutto schermo in formato 9:16 (la declinazione verticale del 16:9) con icone e didascalie in sovraimpressione sulle immagini.

Io non sono certo un utente che apprezzerà festeggiando questo cambiamento: se ricordate, Instagram era nato con tutta una serie di caratteristiche che lo rendevano una sorta di Polaroid in cloud che ne rappresentavano il fascino, ma da quando fa parte del mondo Meta gli è stato imposto di adeguarsi alle logiche di un mercato guidato da altri (TikTok in primis), e non di imporle e cavalcarle. L’unica novità che potrebbe fare tendenza, almeno inizialmente, è il nuovo font.

Ai miei occhi questo visual refresh sembra tanto un face-lifting che aggiunge qualcosa di estetico alla versione attuale, ma in concretezza non vedo novità irrinunciabili… Forse è davvero ora che Elon Musk faccia qualcosa di concreto con Twitter, anche solo per sparigliare un po’ le carte nel mondo dei social network.

 
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Pubblicato da su 24 Maggio 2022 in news

 

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Elon Musk vuole Twitter. E il mondo (social)

L’interesse di Elon Musk per Twitter è il preludio per una “rivoluzione” nel mondo dei social network? Per provare a capirlo è necessario inquadrare i protagonisti di questa storia.

Twitter non è un social network come Facebook o Instagram: l’utente ha a disposizione una piattaforma meno versatile, deve rispettare un limite di 280 caratteri (il doppio di quei 140 caratteri consentiti inizialmente, che rendevano i tweet simili agli SMS), è limitato anche nelle reazioni e la sua parabola è ritenuta in declino. Ma ha circa 200 milioni di utenti giornalieri e 436 milioni di utenti attivi totali. Per questo motivo molto spesso è utilizzato da personaggi pubblici di ogni settore e dalle istituzioni, inoltre viene citato in occasione di notizie di importanza globale e anticipazioni da buona parte delle testate giornalistiche in tutto il mondo, non dimenticando che molte aziende hi-tech (Microsoft, Google, Apple e Meta, solo per citarne alcune di rilevanza mondiale) hanno account ufficiali su Twitter che sono veri e propri canali di comunicazione per trasmettere informazioni e addirittura aggiornare i propri utenti aggiornamenti su eventuali disservizi (se ad esempio c’è un down di Microsoft 365 o di Facebook, gli aggiornamenti della situazione vengono diffusi mediante Twitter).

Elon Musk ha al suo attivo iniziative imprenditoriali da cui sono nate aziende di successo (sviluppate e rivendute, utilizzando i proventi di queste cessioni per finanziare i progetti successivi): gli esempi più noti si chiamano Zip2 (che forniva ai giornali software per guide cittadine online), PayPal (strumento per trasferire denaro – e quindi effettuare pagamenti – online), SpaceX (una vera e propria azienda aerospaziale) e Starlink (un sistema satellitare di connettività a banda larga). Non è invece una sua creazione diretta Tesla (che produce auto elettriche e pannelli fotovoltaici), ma è entrato a farne parte poco dopo la fondazione della società, affiancandone i fondatori in veste di principale finanziatore, entrando poi nel consiglio di amministrazione e diventandone in breve tempo il numero uno che ha portato l’azienda ad essere la realtà che tutti conosciamo.

Potrebbe ripetere questa dinamica puntando su Twitter? Le sue mire in questa direzione sono diventate di dominio pubblico da qualche giorno, subito dopo l’utilizzo di questa piattaforma durante il conflitto tra Ucraina e Russia da parte dei vertici politici di Kiev come canale di informazione nei confronti della popolazione, ma anche per gli scambi intercorsi tra il governo e lo stesso Musk, che a fine febbraio ha spedito in Ucraina alcuni carichi di terminali Starlink per garantire connettività Internet via satellite laddove le armi russe hanno compromesso la rete del Paese.

All’inizio di aprile è stato reso noto che la sua quota societaria in Twitter aveva raggiunto il 9,1%, solo alcuni giorni dopo ha dichiarato che non sarebbe entrato nel consiglio di amministrazione della società. Un dietrofront? Tutt’altro, era l’anticipazione del rilancio: mercoledì scorso ha lanciato un’offerta per un valore di 43 miliardi di dollari, per assumere il controllo totale delle quote azionarie e, quindi, dell’azienda. E lo ha reso noto con un annuncio su Twitter, l’unico social network su cui è attivo e in cui conta circa 82 milioni di follower. In caso di rifiuto dell’offerta, Elon Musk ha dichiarato che sarebbe indotto a “riconsiderare la mia posizione come azionista”. La reazione di Twitter si può riassumere con tre parole: vi faremo sapere.

L’obiettivo dichiarato è assumerne il controllo per trasformarlo nella piattaforma della libertà di espressione: “Credo che la libertà di parola sia un imperativo per il funzionamento della democrazia”. Per questa trasformazione Musk punta a svincolare l’azienda dai mercati azionari per poterla gestire accentrandone il controllo sulla propria persona.

Libertà di parola e democrazia per gli utenti da una parte, controllo assoluto da parte di una sola persona dall’altra. Come si concilieranno? Sul mercato l’obiettivo dei social network è quello di contrapporsi alla leadership di Meta (Facebook, Instagram e WhatsApp). Sorprese in arrivo nell’uovo di Pasqua 2022?

 
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Pubblicato da su 15 aprile 2022 in social network

 

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L’altra guerra: quella alla disinformazione

Il conflitto in Ucraina – esploso fragorosamente la scorsa settimana, ma iniziato circa otto anni fa – ci viene illustrato e descritto in questi giorni da un flusso impressionante di immagini, video, post, testimonianze dirette e indirette provenienti da radio, tv, giornali e fonti di informazione sul web. La propagazione di tutto questo materiale veicolato dai social network fa riemergere la necessità di affrontare il sempre attuale fenomeno della disinformazione che, agevolata dalla frenesia del contesto, aumenta confusione e disorientamento. Facebook, Instagram, Twitter, YouTube e altri protagonisti si dichiarano impegnati su questo fronte. Ma con quale efficacia?

Risposta breve: l’efficacia sarà sempre scarsa perché, come abbiamo ormai imparato dalla storia recente, è e sarà sempre difficile contrastare le fake news, finché al mondo esisteranno punti di vista differenti, interessi opposti e – soprattutto – soggetti che non si fanno scrupoli a promuoverli in modo ingannevole nei confronti di persone predisposte ad accettarli senza approfondire. Con questi presupposti la disinformazione potrà anche cambiare mezzi e forme di diffusione, ma continuerà a sopravvivere e prosperare.

Ciò che si può fare – e qui inizia la risposta argomentata – è mettere in campo soluzioni per dimostrare che non sempre le informazioni sono attendibili, facendo in modo che non vengano sempre accettate in modo passivo e acritico, ma che possano essere valutate e confrontate in un contesto più ampio. Non esistono più le certezze basate sul “Lo hanno detto tv e giornali” o “L’ho trovato su Internet” e questo è assodato da tempo, ma è ovviamente più semplice credere subito a ciò che si riceve, soprattutto quando si è allineati a idee e pregiudizi coltivati e radicati nel tempo. Nathaniel Gleicher, responsabile delle politiche di sicurezza di Meta (la società che controlla Facebook, Instagram e WhatsApp), ad esempio ha annunciato l’attivazione di un servizio di moderazione e verifica dei contenuti pubblicati in tempo reale, con l’obiettivo di eliminare le pubblicazioni ingannevoli e fuorvianti sul conflitto in Ucraina. Compito non semplice, che può portare anche a errori di valutazione, come è accaduto su Twitter, e ovviamente più sono le notizie e le fonti da controllare, più è difficile verificarle attraverso algoritmi e controlli effettuati da persone in carne ed ossa, con il rischio di eliminare contenuti o account attendibili.

L’impresa si fa ancora più ardua quando una notizia non veritiera viene amplificata dai social dopo essere stata diffusa da testate giornalistiche, come dimostra l’articolo pubblicato il 26 febbraio – e poi rimosso – dall’agenzia russa Ria Novosti relativo all’avvenuta annessione dell’Ucraina alla Russia (ne rimane traccia qui: https://web.archive.org/web/20220226224717/https://ria.ru/20220226/rossiya-1775162336.html).

E’ anche vero che l’informazione può essere inattendibile per errore e anche le “nostre” testate non sono esenti da scivoloni imbarazzanti: ce ne hanno dato prova varie fonti, tra cui il TG2, che ha trasmesso le immagini di una squadra di aerei militari durante una parata militare del 2020, dichiarando che si trattava di caccia che incombevano minacciosamente sulla capitale Ucraina, oppure animazioni tratte da un videogioco (War of Thunder) descritte come immagini di un bombardamento vero e proprio:

Il sensazionalismo e l’obiettivo di arrivare “primi su una notizia” possono portare a una disinformazione pericolosa quanto quella generata dalle fake news, se non c’è accuratezza nell’informazione, ne’ controllo delle fonti. Non esprimo giudizi sulle immagini di giornalisti inviati in Ucraina che indossano elmetti e giubbotti antiproiettile mentre conducono servizi televisivi in cui si vedono civili che si muovono più o meno con disinvoltura senza particolari precauzioni o “come se niente fosse”, poiché non conosco i “protocolli di sicurezza” che devono seguire, ma sicuramente vedere una persona che cammina tranquillamente per strada vicino ad un inviato “in assetto da guerra” davanti ad una telecamera può generare qualche dubbio nello spettatore più attento.

In ogni caso, la pagina web in cui l’EDMO (European Digital Media Observatory) si focalizza proprio sulla disinformazione relativa al conflitto in Ucraina (https://edmo.eu/2022/02/24/fact-checked-disinformation-on-the-war-in-ukraine-detected-in-the-eu-2022/) è in continuo aggiornamento, per fortuna (perché offre possibilità di verifica) e purtroppo (perché persistono necessità di verifica).

 
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Pubblicato da su 28 febbraio 2022 in news, News da Internet

 

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Da Facebook a Meta, c’è solo un nome in più

Nel 2015 i fondatori di Google hanno creato una holding chiamata Alphabet per gestire tutte le società e i servizi del gruppo. Nel 2021 – oggi – Mark Zuckerberg ha reso noto che Facebook, Instagram, Messenger e WhatsApp (insieme a tutti i servizi dello stesso gruppo come Quest VR, Horizon VR e così via) faranno capo a una nuova società chiamata Meta, un nome che – nelle intenzioni dichiarate del fondatore – rappresenterà “l’attenzione della società sulla costruzione del metaverso“.

Un nuovo nome non cambia la sostanza e l’evoluzione di tutto quanto è nato da (e intorno a) una versione digitale dell’annuario scolastico (tale era l’origine di Facebook). Soprattutto non cancella quanto è emerso dai Facebook Files e da vicende come il caso Cambridge Analytica. Rinominare la holding come Meta è un’operazione di lifting di facciata e non è un caso che, dopo l’annuncio, in borsa i titoli legati al gruppo di Zuckerberg abbiano iniziato a galoppare.

Effetti concreti di questa “novità”: ciò che fino a ieri veniva identificato come Galassia Facebook, gruppo Facebook, famiglia Facebook verrà riunito sotto un unico cappello, un nuovo “cognome” che potrebbe comparire anche nelle schermate di apertura delle app (al posto di “from Facebook”).

 
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Pubblicato da su 28 ottobre 2021 in news

 

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La tossicità dei social, spiegata (da Facebook)

Qualche settimana fa il Wall Street Journal ha pubblicato un’inchiesta per illustrare lo studio che Facebook ha commissionato ad un gruppo di propri ricercatori riguardo all’impatto di Instagram sui giovani utenti, che ha portato alla luce effetti particolarmente dannosi soprattutto per le ragazze nell’età dell’adolescenza. L’inchiesta, però, fa parte di un corposo dossier chiamato Facebook Files, focalizzato su documenti aziendali riservati che si concentrano su varie tematiche, che riguardano – oltre l’effetto di Instagram sull’utenza più giovane – le modalità di trattamento di opinioni controverse, gli utilizzi fraudolenti e l’approccio al tema “Covid 19 + Vaccini”.

Facebook Inc. è pienamente consapevole che le sue piattaforme sono piene di difetti che possono causano danni, spesso in modi che solo l’azienda comprende pienamente. Questa è la conclusione centrale di una serie del Wall Street Journal, basata sull’analisi di documenti interni di Facebook, inclusi rapporti di ricerca, discussioni online dei dipendenti e bozze delle presentazioni al senior management.

In più occasioni, i documenti mostrano che i ricercatori di Facebook hanno identificato gli effetti negativi della piattaforma. Nonostante le udienze del Congresso, le sue stesse promesse e numerose dichiarazioni attraverso i media, l’azienda non ha risolto nulla. I documenti offrono forse il quadro più chiaro finora di quanto i problemi di Facebook siano ampiamente noti all’interno della società, persino allo stesso amministratore delegato.

(dall’introduzione dell’inchiesta “The Facebook Files”)

Fra le fonti del Journal – lo si è scoperto in questi giorni – c’è Frances Haugen, ingegnere informatico che ha lavorato per l’azienda di Mark Zuckerberg per un paio d’anni, per poi uscirne dopo aver constatato che la sicurezza e la serenità degli utenti sono sempre state messe in secondo piano, per favorire il profitto:

Sono entrata in Facebook nel 2019 perché qualcuno a me vicino è stato radicalizzato online. Mi sono sentita in dovere di assumere un ruolo attivo nella creazione di un Facebook migliore e meno tossico. Durante il mio periodo in Facebook, prima lavorando come lead product manager per la Civic Misinformation e poi per il Counter-Espionage, ho avuto la possibilità di osservare come Facebook abbia ripetutamente affrontato conflitti tra i propri profitti e la nostra sicurezza. Facebook ha sempre risolto questi conflitti in favore dei propri profitti. Il risultato è stato un sistema che amplifica la divisione, l’estremismo e la polarizzazione e mina le società di tutto il mondo. In alcuni casi, questo pericoloso discorso online ha portato alla violenza reale che danneggia e addirittura uccide le persone. In altri casi, la loro macchina di ottimizzazione del profitto sta generando autolesionismo e odio verso se stessi – specialmente per gruppi vulnerabili, come le ragazze adolescenti. Questi problemi sono stati confermati ripetutamente dalla ricerca interna di Facebook.

Lo studio condotto su Instagram negli ultimi tre anni ha effettivamente evidenziato aspetti di rilevanza socio-psicologica come l’ansia e la depressione di cui soffrono molte ragazze, a causa del confronto con l’aspetto fisico ostentato da altre utenti. Per avere un’idea di quanto è emerso dalla ricerca si può partire da un dato alquanto emblematico, riportato da una slide pubblicata nel marzo 2020 nella bacheca interna di Facebook: “Il trentadue per cento delle ragazze adolescenti hanno detto che, quando si sentivano male per il loro corpo, Instagram le faceva sentire peggio”. I risultati della ricerca sarebbero ben noti internamente a Facebook (che ha acquisito Instagram nel 2012 per rimettere le mani sul bacino d’utenza che stava perdendo), per la quale i giovani utenti rappresentano una base fondamentale per il suo fatturato, che ammonta in un anno a oltre 100 miliardi di dollari e proviene dal business delle inserzioni pubblicitarie. Gli utenti fino ai 22 anni di età rappresentano oltre il 40% del totale degli iscritti. Le problematiche più serie rilevate nella ricerca – osservano gli autori nelle proprie conclusioni – riguardano soprattutto Instagram, e non altri social media come TikTok o Snapchat ad esempio, perché si focalizza sullo stile di vita e sul corpo degli utenti, per cui spinge al confronto sociale, cioè a quanto una persona valuta il proprio “valore” e lo rapporta agli altri sul piano del successo, della ricchezza economica e dell’attrattiva.

E’ necessario riportare che, sempre secondo lo stesso studio, la maggior parte degli utenti in età adolescenziale utilizza Instagram come strumento di comunicazione tra amici o per l’intrattenimento personale e, in tal modo, gli effetti dannosi non vengono percepiti, o comunque vengono gestiti ed evitati. Tuttavia i numeri delle “vittime” di questo fenomeno del confronto sociale, da una ricerca condotta tra gli utenti di Stati Uniti e Gran Bretagna, emerge che oltre su Instagram oltre il 40% degli utenti che hanno dichiarato di sentirsi “poco attraenti” ha confidato che tale sensazione è scaturita dall’utilizzo dell’app, da cui però non si staccano per un senso di dipendenza, che si è accentuato durante i periodi di isolamento nell’emergenza sanitaria.

L’obiettivo aziendale è favorire la proliferazione di post, commenti e reazioni, indipendentemente dall’argomento. E con questo presupposto il sistema è stato messo in grado di apprendere quali temi suscitano reazioni contrariate da parte di un utente (sulle quali è più propenso ad esprimersi, scatenando ulteriori reazioni), rendendo ancor più facile il gioco a vari influencer. La dirigenza di Facebook, dovendo scegliere, anziché agire e trovare una soluzione in grado di smorzare i toni per placare gli animi ha preferito lasciare che gli utenti potessero (virtualmente) azzuffarsi tra loro a favore della “crescita delle conversazioni”.

Sul fronte legato a Covid 19 e relativi vaccini, invece, Facebook si è proposta quale strumento di supporto per aiutare gli utenti a trovare il più vicino centro vaccinale e fornire ulteriori informazioni con il Covid Information Center per Instagram e una serie di chatbot attivati su WhatsApp, come dichiarato nel comunicato pubblicato lo scorso marzo. Nell’algoritmo di presentazione di contenuti agli utenti sono state inserite istruzioni per limitare al massimo i post con invito a non sottoporsi a vaccinazione, regola che però è andata a scontrarsi con tute le indicazioni che nell’algoritmo devono favorire la diffusione e la proliferazione di commenti da parte degli utenti. Risultato: ogni post “pro-vax” otteneva (e ottiene) per reazione una valanga di commenti e post contrari alla vaccinazione, reazione che in realtà è stata prevista e ben nota ai vertici dell’azienda. Non solo: tutto questo ha vanificato l’efficacia dei filtri posti a contrasto della diffusione di bufale e fake news. Contromisure? Nessuna.

Ora, un po’ di buon senso: come ho osservato tempo fa, nell’utilizzo dei social network da parte degli utenti più giovani è assolutamente necessario non essere abbandonati dagli adulti, che anzi devono mantenere quella vicinanza e quel supporto che, con il tempo, permettono di cogliere le opportunità creative e di intrattenimento, ma soprattutto contribuiscono alla crescita e la maturazione della consapevolezza delle proprie azioni, così come dei rischi a cui i ragazzi vanno incontro isolandosi in quella sfera virtuale in cui sono inevitabilmente soli, anche quando si illudono di mantenersi in contatto (superficiale) con tantissime persone. Affidare uno smartphone o un tablet a un figlio deve essere una scelta consapevole di tutto ciò che questa responsabilità comporta e non può essere limitata alla spinta del confronto sociale (concetto che ritorna, qui in altro aspetto), quel confronto trasmesso dal “ce l’hanno anche gli altri”, men che meno dalla presunta necessità di dargli uno strumento di intrattenimento per “tenerlo tranquillo”. Sicuramente è più semplice dirlo che concretizzarlo, ma non bisogna mai demordere.

 
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Pubblicato da su 7 ottobre 2021 in news

 

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Social detox

La pausa di riflessione (ah no, è stato un black-out) delle piattaforme social e di messaggistica della “Famiglia Facebook” che ha avuto inizio dal pomeriggio di oggi (lunedì 4 ottobre) potrebbe rivelarsi provvidenziale per dare consapevolezza – almeno ad una certa fascia di utenti – che nel mondo c’è altro. Sicuramente questo incidente non ha impensierito gli irriducibili di TikTok, ma il silenzio totale che per sette ore ha colpito Facebook, WhatsApp, Messenger e Instagram ha fatto sogghignare i fan di altre piattaforme come Telegram e Signal.

Chi si ostina a sognare una transumanza di utenti verso queste app di comunicazione resterà però deluso, più o meno come chi pensa di convertire alla realtà chi abbocca alle fake news: la verità è che influencers e influenced legati ai canali Instagram e Facebook non hanno alcuna intenzione di mollare quella parte di mondo virtuale a cui sono particolarmente affezionati e anzi, come negli episodi precedenti, sono rimasti in trepidante e fiduciosa attesa di poter sfogare appena possibile la propria socialità digitale repressa. Senza rendersi conto che questi episodi di imprevista pace digitale sono ottime occasioni di disintossicazione e di riscoperta della socialità reale, con buona pace del Codacons che in precedenza ha già tentato di dare eccessiva importanza a questo tipo di disservizio.

Ma cos’è accaduto in questa giornata di Facebookdown, MessengerDown, InstagramDown e WhatsappDown, in cui molti hanno riesumato il proprio account Twitter e riscoperto gli SMS, inutilmente illimitati in molti piani tariffari? Tech Crunch attribuisce l’incidente a un problema di DNS (“Domain Name Server”, il sistema che abbina i nomi dei siti web agli indirizzi IP corrispondenti), il cui disorientamento avrebbe comportato un (serio) problema di raggiungibilità dei siti web stessi. Escludendo l’eventualità di un attacco ricevuto dall’esterno (che verosimilmente avrebbe mirato su una delle piattaforme e non su tutte), l’inconveniente tecnico resta l’ipotesi più accreditabile.

 
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Pubblicato da su 4 ottobre 2021 in news

 

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Trump riparte dal blog (aspettando il social)

Con colpevole ritardo mi accorgo solo ora che Donald Trump ha mantenuto la sua promessa di tornare online con una propria “piattaforma di comunicazione”. Per carità, non chiamiamolo social media perché il sito From the desk of Donald J Trump ha tutte le caratteristiche di un blog, quindi non si tratta affatto – come si legge in rete – di una sfida lanciata a Facebook, Instagram e Twitter, ma di un “piano B” per ovviare al piccolo inconveniente della cacciata di Trump dalle popolari piattaforme. Dell’annunciato “nuovo social” si riparlerà quando se ne avranno notizie.

Anche se il sito si presenta già popolato da post pubblicati in precedenza, la sua presenza online è stata resa nota solo ieri, proprio un giorno prima dell’annuncio, da parte dell’Oversight Board di Facebook (il Consiglio di Vigilanza), della decisione (rivedibile in futuro) di mantenere Donald Trump fuori da Facebook e Instagram, dopo il blocco previsto in seguito all’attacco al Campidoglio del 6 gennaio.

Sospensione che è invece già permanente per Twitter e che costituisce comunque una distorsione, dal momento che si tratta di provvedimenti inibitori stabiliti non da un’istituzione, bensì da entità private. Certo, si tratta dei proprietari di spazi aperti al pubblico. Ma proprio in quanto disponibili a chiunque altro, vietarne l’accesso in assenza di un’ordinanza o di un provvedimento istituzionale di altro tipo, rappresenta un’iniziativa discriminatoria, indipendentemente dalle legittime motivazioni che sarebbero invece l’ideale presupposto di una vera e propria ordinanza restrittiva, che potrebbe avere anche maggiore efficacia e riguardare ogni piattaforma di comunicazione online.

Tornando al nuovo progetto web di Trump, osserviamo un dettaglio non trascurabile: nel blog che si presenta come “a place to speak freely and safely” (un posto per parlare liberamente e in sicurezza), i commenti ai post sono disattivati. Ergo, può parlare liberamente e in sicurezza solo l’autore, che – essendo il padrone di casa – ovviamente può fare come meglio crede, ci mancherebbe altro. Ma non si osi pensare che gli “obiettivi social” siano stati accantonati: ai follower è permesso interagire, perché possono cliccare sui pulsantini presenti ad ogni post, per condividerlo (dove? Su Facebook e Twitter, ovviamente) o esprimere il proprio “like” cliccando sul cuoricino (che tenerezza).

 
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Pubblicato da su 5 Maggio 2021 in news

 

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