RSS

Archivi tag: editoria

Non solo Google: anche Bing è “intelligente”. Quasi

Google è il motore di ricerca per antonomasia per moltissime persone che non usano altro, al punto che il neologismo googlare significa effettuare una ricerca (con un motore di ricerca). In realtà sulla scena del mercato di cui Google è leader con una quota del 92% circa, si muovono altri “attori non protagonisti” come Bing, il motore di casa Microsoft utilizzato più o meno nel 3% delle ricerche, che ora potrebbe conquistare maggiore interesse in virtù del supporto dell’intelligenza artificiale e distinguersi dalle altre “comparse” (che si chiamano Yandex, Yahoo, Baidu e DuckDuckGo).

Microsoft infatti ha iniziato a rendere disponibile una versione di Bing “potenziata” che sfrutta insegnamenti e progressi del modello di machine learning GPT-3.5, lo stesso che è alla base di ChatGPT. Ma dal punto di vista degli utenti cosa significa dotare Bing di intelligenza artificiale? Significa effettuare una ricerca e ottenere una risposta in linguaggio naturale, quindi non semplicemente un elenco di link, ma un testo in forma discorsiva che può dare il via ad una sorta di conversazione con l’utente.

Google sta facendo la stessa cosa con il software Bard, presentato un paio di settimane fa in un evento ufficiale che però ha avuto uno strascico negativo: l’inesattezza di una risposta è stata evidenziata da esperti e il titolo dell’azienda ha perso il 7% in borsa. Lo scopo di Microsoft, che con la novità in corso di introduzione incalza Google, non è semplicemente contrastarlo come concorrente: l’obiettivo è sviluppare una tecnologia da adottare anche in altre piattaforme Microsoft.

Dalle prime prove che ho avuto l’opportunità di effettuare posso dire “interessante”. Ottenuto l’accesso (per il quale è comunque possibile mettersi in lista d’attesa) è possibile installare Edge in versione Dev Channel che permette all’utente di sfruttare le funzionalità più recenti e avanzate. Tra queste c’è la Chat con cui Bing invita l’utente a parlare, anche in italiano, con l’invito “Ask me anything” (chiedimi qualsiasi cosa).

Raccolto l’invito, ho iniziato a chiedere informazioni ispirandomi a ciò avevo intorno. Ottenendo qualche sorpresa, come ad esempio una frettolosa interruzione della conversazione da parte di Bing 😲

Questo slideshow richiede JavaScript.

Qui invece si scusa in modo educato dopo essere cascato in una “trappola culinaria”

Questo slideshow richiede JavaScript.

Qui ha fornito notizie di attualità prima di comunicare di aver raggiunto il limite massimo del giorno:

Questo slideshow richiede JavaScript.

Bing “dopato” con l’intelligenza artificiale, per le sue potenzialità, potrebbe rivelarsi un alleato efficace nelle ricerche scolastiche.

Come visto soprattutto nell’ultimo esempio, si potrebbe utilizzare questa nuova funzionalità per avere riassunti piuttosto efficaci delle news appena pubblicate evitando così di pagare abbonamenti alle testate giornalistiche online, eventualità assolutamente pericolosa per il settore dell’editoria. Ma Bing potrebbe anche riassumere una notizia attingendo indifferentemente da siti di informazione attendibili e siti non attendibili, generando potenzialmente sia informazione che disinformazione. Eventualità pericolosa per tutti.

 
1 Commento

Pubblicato da su 23 febbraio 2023 in motori, news, ricerche

 

Tag: , , , , , , , , , , , , ,

Kit digitalizzazione: cui prodest?

In un emendamento alla Manovra 2021 troviamo un pacchetto chiamato Kit digitalizzazione, che qualcuno – con pragmatismo poeticamente ammiccante – ha ribattezzato bonus telefono e giga:

Al fine di ridurre il fenomeno del divario digitale, in via sperimentale ai soggetti appartenenti a nuclei familiari con un reddito ISEE non superiore a 20.000 euro annui, non titolari di un contratto di connessione internet e di un contratto di telefonia mobile, che si dotino del sistema pubblico di identità digitale (SPID), per il tramite di Poste Italiane o di altri identity provider abilitati, è concesso in comodato gratuito per un anno un telefono mobile dotato di connettività. Il telefono mobile è dotato dell’applicazione «io» e di abbonamento che consenta la consultazione on-line di due organi di stampa.

Chiariamo subito le idee: prestare per un anno (alle famiglie con i requisiti indicati) uno smartphone con connessione Internet, dotato di app IO e abbonamento a due giornali, non ridurrà il digital divide, che è per il nostro Paese un annoso problema socio-culturale, ancor prima che tecnologico. Inoltre è innegabile constatare che tra le righe, cioè proprio quelle che descrivono il provvedimento, si annidano concetti che sembrano portare in tutt’altra direzione rispetto all’obiettivo dichiarato. Tanto per focalizzarsi sul primo elemento che colpisce: l’abbonamento online per un anno a due organi di stampa ha il retrogusto di un finanziamento pubblico a beneficio degli editori.

Il digital divide è il divario che rileviamo tra utenti avanzati (pochi) e non-utenti (troppi), ossia persone che non sono in grado di utilizzare la tecnologia, per motivi di preparazione, ma anche di dotazione tecnologica (fra cui possiamo sicuramente annoverare le limitate risorse per la diffusione della cultura digitale fin dalle scuole e la scarsa disponibilità di connettività a banda larga). Si tratta di un fenomeno che deve essere contrastato con un’adeguata alfabetizzazione digitale, che dovrebbe coinvolgere tutti, cittadini e istituzioni, e che andrebbe introdotto fra le basi dell’educazione scolastica e affrontato con metodologie di apprendimento intergenerazionale, con attività coordinate tra mondo della scuola, giovani (più preparati), centri di aggregazione per la terza età e mondo della disabilità.

Soprattutto andrebbe compresa la necessità di sostenere l’abbattimento del digital divide con investimenti importanti. La misura di destinare 20 milioni di euro al modesto “kit di digitalizzazione” descritto nella manovra appare abbastanza inutile, considerando il numero di utenze di rete mobile già presenti e attive in Italia (la fonte dei dati che seguono è l’Osservatorio sulle Comunicazioni n.3/2020 dell’Agcom):

Posto quindi che il kit digitalizzazione appare una misura inadeguata a perseguire l’obiettivo dichiarato, la sua attuazione sarà tutta da capire, soprattutto per quanto riguarda le modalità con cui saranno coinvolti i soggetti che parteciperanno al “pacchetto”, dagli editori (quali giornali?) alle compagnie telefoniche (quanti giga?), fino ai fornitori di smartphone (quali modelli?). Non sembra infatti percorribile l’idea che si tratti di un bonus spendibile a discrezione dei beneficiari (la formula del comodato d’uso implica che la proprietà sia altrui e che le condizioni debbano essere uniformi per tutti gli utenti individuati). Si vedrà nel 2021, con tempistiche – anche quelle – tutte da definire.

 
Commenti disabilitati su Kit digitalizzazione: cui prodest?

Pubblicato da su 21 dicembre 2020 in news

 

Tag: , , , , , , , ,

Perché “sospendere” Telegram sarebbe un errore

Situazione controversa per Telegram, non per il suo ruolo di competitor di WhatsApp sul mercato dell’instant messaging, ma per un certo tipo di attività legate ai servizi di chat segrete e di broadcasting offerto agli utenti. Secondo quanto emerso da un servizio giornalistico che Wired ha pubblicato a inizio aprile, i servizi di Telegram vengono utilizzati per scambi di materiale pedo-pornografico e vendite non autorizzate di abbonamenti IPTV. Negli ultimi tempi sono inoltre aumentate esponenzialmente le iscrizioni a canali e gruppi che diffondono abusivamente giornali e riviste online, motivo per cui la FIEG (Federazione degli Editori di Giornali), ha chiesto “un provvedimento esemplare e urgente di sospensione di Telegram” all’Agcom. Un errore, a mio avviso, perché – anche stavolta – si cede alla tentazione di colpevolizzare uno strumento che viene scambiato per l’origine del problema.

Indiscutibile la preoccupazione per i numeri evidenziati: dalle rilevazioni effettuate su dieci canali della piattaforma – dedicati unicamente alla distribuzione illecita di giornali – emerge un bacino di utenza di 580mila iscritti. Il dato è già di per sè considerevole, ma il problema è ben più esteso, considerando l’ulteriore diffusione che ogni utente può generare in autonomia, inoltrando gli stessi giornali ad altri utenti, sia attraverso Telegram che utilizzando altre app di comunicazione.

La “sospensione” di Telegram sarebbe una soluzione al problema legittimamente evidenziato dagli editori? No, sarebbe una pezza temporanea e inefficace, che spingerebbe la feccia a proseguire su altre piattaforme. Pertanto sarebbe bene andare a colpire la feccia, anziché penalizzare uno strumento di comunicazione che viene sfruttato sempre di più anche da organizzazioni pubbliche e private come strumento di divulgazione di informazioni di interesse pubblico (è dei giorni scorsi, ad esempio, l’annuncio dell’apertura di un canale Telegram da parte del Ministero della Salute).

Chi nota la somiglianza con WhatsApp si chiederà: “perché Telegram e non WhatsApp”? Le due applicazioni hanno sia punti in comune che differenze importanti. Le chat funzionano più o meno allo stesso modo, ma su Telegram possono essere organizzate e ordinate in cartelle. Entrambi consentono le chiamate, ma Telegram non permette ancora le videochiamate, però aiuta ad accorciare i tempi dei messaggi vocali, che possono essere ascoltati anche a velocità doppia. Per i gruppi offre altre funzionalità e permette di arrivare a includere 200mila utenti. A questi si aggiungono appunto i canali, che sono dei gruppi di broadcasting, in cui gli iscritti ricevono notizie e aggiornamenti diffusi dal proprietario.

Telegram si basa completamente sul cloud, e questo permette agli utenti di utilizzarlo senza alcun problema su più dispositivi: l’app è disponibile sia per iOS che per Android ed esistono versioni per Mac OS, Linux e Windows. L’utilizzo della crittografia end-to-end protegge la riservatezza delle comunicazioni e proprio per questa sua “corazza” nel 2018 Telegram è stata vietata in Russia. Certo, questa protezione si rivela funzionale ad attività illecite e immorali, ma accanto a questi utilizzi da contrastare ci sono numerosissimi casi in cui Telegram si rivela veicolo di comunicazione per le istituzioni (anche molti enti pubblici lo utilizzano, anche a livello locale, per raggiungere i cittadini con informazioni utili, annunci di eventi, avvisi di emergenze) e non va dimenticato che si rivela anche strumento di libertà di espressione per chi, nel proprio Paese, è stato vittima di repressione o messo a tacere.

Tutto questo deve riportare la visione di Telegram al suo ruolo di strumento di comunicazione, non di “colpevole” per l’esercizio di attività illecite che ne sfruttano le potenzialità. Per fermarle non si deve sospendere Telegram, devono essere individuati i colpevoli: le possibilità ci sono, come dimostrato dalle indagini della Polizia Postale e delle Comunicazioni che lo scorso settembre è riuscita a identificare per la prima volta alcuni “pirati dell’informazione” che agivano anche attraverso Telegram.

Dal resoconto annuale del 2019 pubblicato sempre dalla Polizia Postale, inoltre, emerge in più contesti l’identificazione di colpevoli di attività come detenzione e divulgazione di materiale pedo-pornografico, così come di persone coinvolte in atti di cyberterrorismo. In Italia come nel mondo.

Stanare chi compie reati su Telegram non è impossibile. Per questo è possibile mantenere disponibile uno strumento senza comprometterne gli impieghi utili o virtuosi.

 
Commenti disabilitati su Perché “sospendere” Telegram sarebbe un errore

Pubblicato da su 18 aprile 2020 in news

 

Tag: , , , , , , , , , , ,

Unfair Vanity

unfairvanity

Sono sconcertato dall’idea di Vanity Fair, che ha chiesto su Facebook ai propri lettori quale fosse “la fotografia più giusta per accompagnarci nella settimana di Natale 2016”, proponendo loro di “scegliere tra una tragica immagine della fuga da Aleppo e uno splendido scatto del monte Cervino”.

Probabilmente una simile questione sarebbe stato argomento appropriato nell’ambito ristretto di una riunione di redazione, con l’obiettivo di scegliere un’immagine da mettere in copertina. Proporre al pubblico un simile infelice accostamento, in una sorta di like-contest (versione social del televoto), induce a credere che l’unica priorità sia inseguire il gradimento della maggioranza del pubblico, anziché informare e documentare. Che è un po’ la deriva presa da alcune agenzie di stampa e che mostra un livello di informazione sempre più superficiale ed effimero, vincolato alle logiche di un business basato solo sulla quantità (di lettori, di click) e non sulla quantità.

Eppure rimango convinto che la buona informazione possa comunque avere un mercato sostenibile. Sarebbe sufficiente impegnarsi.

UPDATE: La rara indelicatezza della proposta è stata riconosciuta con onestà dal direttore Luca Dini.

Care lettrici, cari lettori,
stasera abbiamo pubblicato un post di rara indelicatezza: https://www.facebook.com/vanityfairitalia/posts/1325610444125873.
Potrei dirvi che è stato fatto in buona fede, e sarebbe la verità: che interesse avremmo, secondo voi, a metterci alla gogna così? Ma la buona fede non equivale al tasto rewind.
Potrei farlo togliere, come alcuni di voi chiedono. Ma ritengo che sarebbe scorretto. Delle cose fatte bisogna rispondere, non metterle sotto il tappeto.
Non era nostro intento offendere nessuno, e speriamo di essere giudicati dal lavoro che facciamo ogni giorno, non solo da questo momento di imbecillità. Però è mio dovere chiedervi scusa.
Luca Dini

UPDATE nr. 2: Non sarebbe stato male che la questione venisse chiusa con le scuse del direttore. Però quest’ultimo ha poi deciso di completare l’opera in un’articolata spiegazione con il contributo dell’ideatore, nell’intento di restituire dignità all’iniziativa e a chi l’ha concepita. Su cui però pende ormai un’etichetta ben definita:

lucadinivanityfairgigantescacazzata

In ogni caso, in bocca al lupo!

 
Commenti disabilitati su Unfair Vanity

Pubblicato da su 21 dicembre 2016 in news

 

Tag: , , , ,

“La carta non muore”… ma non dimentichiamo che “il futuro è digitale”

FiammaRossaSfondoBianco

Il comunicato sindacale pubblicato oggi dall’assemblea dei giornalisti Conde’ Nast su Wired.it non lascia scampo:

  1. La periodicità del cartaceo passerà da dieci numeri l’anno a due, da affidare completamente a service esterni.
  2. Sei dei 12 giornalisti della redazione (il 50%) sono considerati esuberi.
  3. Al momento la redazione confermata sul progetto Wired Italia è, quindi, formata da sei giornalisti (di cui uno part-time).

Esprimo solidarietà ai giornalisti che dovranno lasciare Wired, ma anche – per motivi diversi – a chi resterà (non è facile rimanere in una realtà che ridimensiona le proprie risorse).

Dubbio di altro tenore: chi si è abbonato sottoscrivendo una (o due) annualità riceverà 12 numeri in sei anni (o 24 in dodici anni)?

Note:

“La carta non muore” viene dalle parole di Felice Usai (deputy managing director di Condé Nast Italia, editore di Wired, che due mesi fa, in un’intervista al Corriere della Sera, disse “Il digitale ci salverà, ma la carta non muore”).

“Il futuro è digitale” viene da una più datata affermazione di Nicholas Negroponte, che con Louis Rossetto ha fondato Wired nel 1993. Avevo già avuto modo di ricordarla all’esordio dell’edizione italiana nel 2009.

 
Commenti disabilitati su “La carta non muore”… ma non dimentichiamo che “il futuro è digitale”

Pubblicato da su 25 giugno 2015 in news

 

Tag: , , , , , , , ,

Edicola Italiana, per molti ma non per tutti

edicolaitaliana

Definita chiosco della stampa digitale (ma anche chiosco digitale della stampa non sarebbe male), Edicola Italiana apre i battenti e si presenta come un servizio online dove è possibile acquistare quotidiani e riviste (e anche con abbonamento) attraverso smartphone, tablet e PC. Un’edicola digitale nata dalla collaborazione di vari editori – riuniti sotto il cappello del Consorzio Edicola Italiana – con l’azienda Premium Store.

Le testate disponibili (tra quotidiani e periodici) sono oltre 60. L’utente può provare il servizio per una settimana, leggendo il proprio quotidiano gratuitamente, e accedendo a mensili e settimanali attraverso abbonamenti All you can eat.

Non ho la possibilità di fare un test completo, ma – stando a quanto descritto – trovo molto interessante poter disporre dell’edizione digitale integrale di un giornale. Dalla lettura delle Faq, tuttavia, mi pare di capire che – nel Paese che vanta più smartphone che cittadini – la fruibilità sia un po’ limitata:

Su quali dispositivi è possibile leggere i contenuti di Edicola Italiana? 

I contenuti sono disponibili tramite pc, tablet Android e IPad.

 

 
Commenti disabilitati su Edicola Italiana, per molti ma non per tutti

Pubblicato da su 21 gennaio 2015 in news

 

Tag: , , , , ,

E-book: il buon anno (non) si vede dal listino

Contrariamente a quanto avvenuto in precedenza, in merito all’IVA sui libri elettronici  l’Italia ha proseguito la propria strada a testa bassa e, dall’inizio del 2015, ha stabilito per gli e-book il passaggio dall’aliquota del 22% al 4%, la medesima applicata ai libri stampati su carta.

tweet ebook franceschini“Bene, ottima notizia”, verrebbe da pensare. La notizia è ottima davvero, ma lo è solo – letteralmente – sulla carta. In virtù della variazione nel regime fiscale applicato, dal 2014 al 2015 sarebbe stato lecito attendersi una diminuzione dei prezzi degli e-book. Tuttavia, come evidenzia un’inchiesta pubblicata su DDay.it, le cose sono andate diversamente:

Banalmente, ci siamo premurati di “catturare” i prezzi degli ebook in un giorno di fine novembre dai principali store online e li abbiamo confrontati con quelli praticati nel 2015: tutto clamorosamente immutato, i prezzi finali sono quasi sempre gli stessi, con qualche aumento e poche limitate riduzioni.

La spiegazione è semplice: fino al 31/12/2014, un e-book che veniva venduto al prezzo finale di 10 euro, aveva evidentemente un prezzo al pubblico formato da circa 8,20 euro + IVA pari ad 1,80 euro (il 22% di 8,20). Il prezzo dello stesso e-book nel 2015 sarebbe dovuto diventare pari a 8,52 euro, non certo rimanere di 10 euro. L’indagine citata evidenzia invece, nella maggioranza delle rilevazioni, prezzi invariati o addirittura aumentati e in questo caso il surplus ingiustificato va ovviamente nelle tasche di chi vende.

Credo che il ministero dei beni culturali, promotore formale della riduzione, abbia modo di favorire un’operazione di sorveglianza sul rispetto della norma.

 
Commenti disabilitati su E-book: il buon anno (non) si vede dal listino

Pubblicato da su 5 gennaio 2015 in e-book & e-reader

 

Tag: , , , , , , , , , ,

E-book, IVA al 4% e Italia in infrazione

La nuova puntata sul tema IVA applicata agli e-book vede l’Italia decisa ad applicare l’aliquota del 4% (come per i libri cartacei), e il conseguente rischio di apertura di una procedura di infrazione da parte dell’Unione Europea che – come spiegato nelle puntate precedenti – concepisce (ostinatamente) l’e-book non come un bene, ma come un servizio, e pertanto dal punto di vista formale e fiscale va trattato come un software. Qui la posizione espressa in merito dal ministro Dario Franceschini:

Si tratta sostanzialmente di una obiezione di coscienza, in cui il nostro Paese si presenta allineato a Francia e Lussemburgo (mentre almeno una decina di Stati UE ritengono che la tassazione degli e-book debba essere differente da quella dei libri) e ha scelto di farlo in un momento alquanto significativo: dal gennaio 2015, al fine di arginare la concorrenza fiscale tra i mercati nazionali, per tutti i Paesi UE si completerà l’entrata in vigore il Sistema comune di imposta sul valore aggiunto.

 

 
1 Commento

Pubblicato da su 11 dicembre 2014 in news

 

Tag: , , , , , , , , , , , , ,

Un e-book non è un libro (in Europa)

ebookBook[1]

Nei giorni scorsi ha preso il via sul web la campagna Un libro è un libro dell’AIE (Associazione Italiana Editori) con l’obiettivo di chiedere l’equiparazione dell’IVA sugli e-book che oggi è al 22%, mentre sui libri cartacei si applica l’aliquota del 4%.

La discriminazione dei libri digitali si riflette sullo sviluppo culturale del nostro Paese:
l’IVA di un libro di carta è il 4%, quella di un ebook è il 22%. Secondo i protagonisti della nostra Gallery l’ebook è un libro e merita lo stesso trattamento. Se anche tu la pensi così, unisciti a noi.

Al netto della preferenza che ognuno di noi può esprimere verso il fascino del libro da sfogliare con l’indice o verso l’e-book nella sua innovatività, nella percezione dell’utente l’unica differenza editoriale tra libro tradizionale ed e-book è il supporto, cartaceo (materiale) o elettronico (immateriale). Quindi, in base a questo presupposto, il principio di eliminare la discriminazione fiscale tra supporti – dal momento che la sostanza è la medesima – è legittimo che sia ampiamente condiviso, perché non avrebbe proprio senso di esistere. Esiste però un problema, per così dire, di forma: a livello formale l’e-book non è un articolo che si acquista.

Dicendo a livello formale parlo di un aspetto oggettivo e non di un concetto interpretabile. “Acquistare un e-book” significa in realtà ottenere una licenza per leggerlo. Non si acquista un libro, ma un diritto, tra l’altro anche piuttosto limitato: l’utente non ha infatti alcun diritto di proprietà sull’e-book, bensì il diritto ad utilizzarlo a vita, senza però poterlo cedere o prestare. E, a dire il vero, anche quel “a vita” è improprio, perché non corrisponde alla vita dell’utente, ma alla vita dell’account.

Un esempio molto chiaro è reperibile su Amazon, nelle Condizioni d’uso Amazon Kindle Store:

Con il download del Contenuto Kindle e con il pagamento dei relativi corrispettivi (comprese le tasse applicabili), il Fornitore di Contenuti ti concede il diritto non esclusivo di vedere, usare e visualizzare tale Contenuto Kindle per un illimitato numero di volte, esclusivamente sul dispositivo Kindle o sull’Applicazione di Lettura, oppure con le diverse modalità previste per il tipo di Servizio, unicamente sul numero di dispositivi Kindle o di Dispositivi Supportati specificati nel Kindle Store ed esclusivamente per tuo uso personale e non commerciale. Il Contenuto Kindle ti viene concesso in licenza d’uso e non è venduto dal Fornitore di Contenuti.

Le condizioni definite da altri rivenditori non sono diverse. I concetti chiave sono in questi termini: servizio e licenza d’uso. Quindi l’applicazione di un’aliquota IVA più alta per gli e-book è indubbiamente un elemento eclatante di differenza dai libri cartacei, ma è solo la punta dell’iceberg, poiché si tratta di una delle conseguenze di una discriminazione definita a livello formale che per l’utente comporta, oltre ad un esborso superiore, anche l’impossibilità di esercitare quei diritti che derivano dal possesso di un libro cartaceo (proprietà, possibilità di cessione, prestito, successione…).

Il sito web che promuove la campagna in realtà si focalizza solo sull’aspetto fiscale, ma la ratio dell’iniziativa si fonda sul presupposto che l’e-book viene considerato come un servizio digitale. Un altro aspetto, inoltre, merita una precisazione: la frase “La discriminazione dei libri digitali si riflette sullo sviluppo culturale del nostro Paese” potrebbe indurre a credere che la discriminazione (non solo) fiscale sugli e-book sia un’anomalia italiana, ma in realtà il problema si pone nei confronti dell’Unione Europea.

Perciò non è pensabile un intervento solamente fiscale e solamente italiano, ma sarebbe auspicabile una ridefinizione complessiva dell’e-book a livello europeo, con il passaggio di stato da servizio a bene e tutte le conseguenze che potrebbero derivarne. La più diretta: un’imposizione ridotta porterebbe ad un prezzo finale inferiore, che gli editori potrebbero (anzi dovrebbero, condividendo quanto ha osservato in proposito Luca Rota) rendere ancor più attraente per il pubblico, contribuendo a fare da volano per volumi di vendita superiori e alla crescita del mercato.

Molti più e-book venduti naturalmente potrebbero anche significare maggiori entrate per lo Stato a livello di IVA: meglio vendere moltissimi e-book con IVA al 4% o pochissimi con IVA al 22%? 😉

 

 
Commenti disabilitati su Un e-book non è un libro (in Europa)

Pubblicato da su 4 novembre 2014 in Buono a sapersi, e-book & e-reader

 

Tag: , , , , , , , , ,

Like? None

CopertinaLike

Il mercato dei periodici cartacei non gode da tempo di buona salute e il mondo dell’editoria si vede ogni giorno sempre più costretto a cogliere nuove sfide nel digitale. Alberto Peruzzo Editore tenta un percorso contrario e lancia la rivista Like, un mensile-guida dedicato ai social media. Il direttore Alessandro Peruzzo motiva così la scelta editoriale:

“Un italiano su due è sui social, ma non tutti ne conoscono il funzionamento, i rischi, le potenzialità. Con la nuova rivista ogni mese garantiremo le notizie più rilevanti e i migliori suggerimenti per approcciare in modo entusiasmante e curioso la vita social degli utenti”.

La tiratura della rivista è di 60mila copie, il prezzo è di 3,90 euro. Il logo ricorda quello di riviste come Life o Epoca, e lo slancio creativo si esaurisce lì. A mio parere la strategia alla base di questa scelta editoriale appare tanto spavalda quanto mal supportata. A conforto della mia opinione, il poco percettibile squilibrio tra la promessa che si legge in copertina “Ti aiutiamo a mettere on line il tuo sito” e ciò che si trova su http://www.peruzzo.com.

 
Commenti disabilitati su Like? None

Pubblicato da su 3 aprile 2014 in curiosità, news

 

Tag: , , , , ,

Amazon Post

WashingtonPostBezos

“Il dovere del giornale resterà quello di rispettare i suoi lettori, e non gli interessi privati ​​dei suoi proprietari. Noi continueremo a seguire la verità ovunque porti, e lavoreremo sodo per non commettere errori. Quando accadrà, ce ne assumeremo totalmente la responsabilità”

E’ quanto scrive Jeff Bezos, fondatore e CEO di Amazon, in una lettera ai collaboratori del Washington Post, il prestigioso quotidiano che ha appena acquistato per 250 milioni di dollari. L’operazione si aggiunge all’acquisizione di Business Insider dello scorso aprile ed è stata condotta da Bezos a titolo personale, ossia non attraverso Amazon. Nella sua inedita veste di editore, il nuovo proprietario ha manifestato l’intenzione di mantenere vertici e organico attuali, ma questo non preclude evoluzioni importanti, che riguarderanno il Washington Post come il mondo dell’editoria:

“Internet sta trasformando praticamente ogni settore nel business dell’informazione, abbreviandone i tempi, erodendone fonti di reddito a lungo affidabili, e consentendo nuove forme di concorrenza, alcune delle quali riducono o abbattono i costi di raccolta delle informazioni. Non c’è una mappa con le strade da seguire, e tracciare un nuovo percorso non sarà facile. Avremo bisogno di inventare, che significa che avremo bisogno di sperimentare”.

Che, a sua volta, significa grandi novità all’orizzonte.

 
Commenti disabilitati su Amazon Post

Pubblicato da su 6 agosto 2013 in comunicazione, Internet, media

 

Tag: , , , ,

La Stampa che cambia

Giunto alla veneranda età di 145 anni, il quotidiano La Stampa annuncia la creazione di tre nuovi ruoli:

  • il Digital Editor (Marco Bardazzi), che coordinerà tutta l’attività digitale della redazione
  • il Web Editor (Dario Corradino) cui farà capo il sito lastampa.it
  • il Social Media Editor (Anna Masera), punto di riferimento sui social media (Facebook, Twitter, eccetera) per la divulgazione dei contenuti della testata e lo scambio con la comunità dei lettori

La novità di spicco è forse proprio quest’ultima funzione, che rappresenta un passo importante nell’evoluzione del giornale. In bocca al lupo ai nuovi Editor.

 
Commenti disabilitati su La Stampa che cambia

Pubblicato da su 7 febbraio 2012 in Internet, news, News da Internet

 

Tag: , , , , , ,

The million e-book man

Mentre in Italia il mercato degli E-book deve ancora capire che strada prendere e oggi rappresenta una quota di mercato pari allo 0,1% delle vendite totali, oltreoceano è già una realtà di rilievo e si sta già consolidando al punto da raggiungere volumi considerevoli, anche sul fronte degli autori indipendenti. Il loro simbolo è John Locke (omonimo del filosofo, di un personaggio di Lost e di molti altri illustri John Locke), un 60enne ex assicuratore che due anni fa ha iniziato a scrivere romanzi e a distribuirli attraverso Kindle Direct Publishing, la piattaforma di self-publishing di Amazon, superando il traguardo di un milione di E-book venduti.

Le chiavi di questo successo, probabilmente, sono nella forma di distribuzione e nella scelta di prezzi di vendita estremamente accessibili: il modello di business della piattaforma consente all’autore di trattenere il 35% del ricavo e quindi, considerando il numero di libri venduti nella Kindle Edition (anche solo quelli con il prezzo di 99 centesimi di dollaro), il suo guadagno oggi ammonta a non meno di 346.500 dollari.

Confesso di non aver letto nemmeno uno dei suoi libri: essendomi limitato alle copertine, non posso però escludere che alcune di queste possano aver attirato lettori…

 
Commenti disabilitati su The million e-book man

Pubblicato da su 23 giugno 2011 in e-book & e-reader, Mondo, news, News da Internet

 

Tag: , , , , ,

 
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: