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Safer Internet Day, per una rete più sicura

Si celebra oggi la diciottesima edizione del Safer Internet Day per sensibilizzare tutti ad impegnarsi per “rendere Internet un luogo migliore e più sicuro per tutti, soprattutto per i bambini e i giovani”. Moltissime le iniziative promosse a tutti i livelli, da quelle locali a quelle nazionali. L’obiettivo di focalizzarsi soprattutto sugli utenti più giovani è motivato dai numeri, resi più indicativi dall’emergenza sanitaria che ha modificato usi e costumi di tutti noi:

1 su 5 si definisce praticamente sempre connesso, 6 su 10 sono online dalle 5 alle 10 ore al giorno. Numeri raddoppiati rispetto allo scorso anno, complici anche i periodi passati a casa, lontano da scuola o da altre attività di socializzazione, durante la pandemia. Per il 59% gli episodi di cyberbullismo sono aumentanti. (fonte: miur.it – generazioniconnesse.it)

Come per la giornata nazionale contro bullismo e cyberbullismo (domenica 7 febbraio), è bene ricordare che i principi e i valori che ci “ricordano” devono valere sempre e non solo in occasione delle giornate dedicate a questi argomenti. Altro aspetto da non ignorare è che si tratta di tematiche particolarmente interessanti per i giovani e per questo l’attenzione è particolarmente rivolta all’ambiente scolastico e il Ministero dell’Istruzione si fa promotore di molte iniziative in questo senso.

Bullismo e cyberbullismo, insieme alla necessità di avere in Internet un luogo migliore e più sicuro, non riguardano tuttavia solo la scuola e questo va tenuto presente soprattutto per quei giovani che in rete si rifugiano per trovare occasioni di socializzazione o di sfogo di cui difficilmente riescono a fare esperienza di persona, senza avvedersi di situazioni potenzialmente rischiose o pericolose.

E anche in questo caso, a costo di essere ripetitivo, torno su quanto scritto in alcuni post precedenti in merito all’uso di Internet da parte dei minori: il compito di chi ha la responsabilità genitoriale è importante, non lasciamoli soli in un cammino “da autodidatta”, ma aiutiamoli e affianchiamoli, anche nel loro percorso di conoscenza delle tecnologie di comunicazione.

La necessità di non lasciarli soli, oltre ad una questione educativa, può anche nascere da aspetti puramente materiali come ha scoperto, letteralmente a proprie spese, la madre di un bambino tedesco di sette anni che – “giocando” con lo smartphone – ha effettuato acquisti online per oltre 2.700 euro.

Chissà che questo genere di rischio non possa generare qualche scrupolo in più, d’altronde alcune persone capiscono più rapidamente, se toccate nel portafogli. Perché le esigenze di una rete più sicura non sono legate solo a cyberbullismo, social network e isolamento sociale dei ragazzi, ma anche a tematiche relative a privacy, identità digitale, dipendenze digitali, truffe online.

 
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Pubblicato da su 9 febbraio 2021 in news

 

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Phishing e doxing: la superficialità può fare male

Avete un account per l’Internet banking? Fate acquisti online pagando con carta di credito o strumenti come PayPal? Fate molta attenzione ai messaggi che vi invitano a confermare i vostri dati personali sul sito di uno di quei servizi, molto probabilmente si tratta di phishing: in tal caso il messaggio è una trappola con un link che, anziché portare al sito che vi interessa, rimanda ad una pagina web fasulla, realizzata appositamente per trarre in inganno gli utenti e indurli a inserire le proprie credenziali.

Inutile dire che così username e password finiscono in mani sbagliate. Dall’altra parte c’è chi può utilizzare l’account a nome di altri e utilizzarne conto corrente e carte di credito, ma c’è anche chi potrebbe rivendere i dati personali altrui sul dark web. E le conseguenze potrebbero non essere solo economiche: come spiega Kaspersky, in alcuni casi i dati altrui possono essere utilizzati a scopo di doxing: il doxing – o doxxing – consiste proprio nella ricerca e nella pubblicazione di informazioni private, personali se non sensibili, per ridicolizzare, denigrare o mettere in pericolo qualcuno.

Questo tipo di informazioni può essere ottenuto in molti modi, da contenuti condivisi superficialmente su social network, ma anche – come detto prima – tramite phishing. E sul dark web c’è un autentico mercato nero di informazioni personali che possono avere tariffe differenziate. Nomi, date di nascita, documenti di identità e codici fiscali possono costare anche meno di un euro, mentre la foto di una persona, un suo documento o una cartella clinica possono costare qualche decina di euro. Si possono trovare anche le credenziali per accedere a un conto corrente, e possono costare molto di più.

Quando ricevete un messaggio e-mail che sembra provenire da una banca, dall’istituto che ha emesso la carta di credito, dall’azienda che vi fornisce l’energia elettrica, dalle Poste o da qualunque mittente che possa sembrarvi affidabile, prima di cliccare sul primo link che trovate, verificate che si tratti effettivamente di ciò che sembra. A volte basta poco, perché il messaggio esteticamente è diverso da quelli autentici, o perché ci sono dettagli rivelatori nel testo del messaggio, che spesso tradisce una scarsa padronanza della lingua italiana. A volte il messaggio è invece ben realizzato, quindi dovete verificare l’indirizzo internet (url) del link che vi è stato indicato.

Guardate l’esempio dell’immagine seguente: l’indirizzo è chiaramente estraneo a Poste Italiane, ma spesso gli utenti non ci fanno nemmeno caso e proseguono a navigare ignari del pericolo. Occhio!

Lo stesso possiamo dire per questa pagina web, che evidentemente non è di Amazon:

 
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Pubblicato da su 7 dicembre 2020 in news

 

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Bullismo e cyberbullismo, due facce della stessa medaglia (violenta)

Se bullismo e cyberbullismo sono le minacce che un adolescente su tre teme di più dopo violenze sessuali e droga, è evidente come la tematica non meriti di essere sottovalutata, né derubricata con la falsa rassicurazione “a me non succede”. Anche perché i dati presentati dall’Osservatorio Indifesa meritano una lettura attenta:

Il cyberbullismo è una forma di bullismo, si tratta sempre di un comportamento violento di prevaricazione, oppressivo e offensivo, messo in atto con strumenti tecnologici (messaggi, social network). In questa rilevazione, le due forme di bullismo insieme raggiungono il 30,97%. Nello stesso “sondaggio”, è un valore comparabile a quello del timore di essere vittime di violenza sessuale. Da questi dati emerge quindi che due adolescenti su tre temono di essere vittime di una forma di violenza, di tipo fisico o verbale, e che nel cyberbullismo possono avere declinazioni più subdole.

Dedicare una giornata – domani, 7 febbraio –  a bullismo e cyberbullismo a scuola (che ne è il teatro principale, ma non esclusivo) può essere di aiuto a sensibilizzare sul problema. Ovviamente, come in qualunque altro contesto, l’attenzione non deve cadere al termine della giornata, ma deve essere mantenuta costante, perché la percezione del problema non è immediata e perché – nel caso del cyberbullismo – c’è scarsa consapevolezza e comprensione dell’impatto che può avere.

Con un sistema di messaggistica e i social si fa presto a minare la reputazione di una persona e, spesso, la soluzione per chi rischia di essere vittima consiste nel capire come gestire la situazione. Gestirla con ironia e contrastare gli attacchi con garbo e gentilezza è spesso la strategia vincente, ma tutto questo ovviamente non è facile, soprattutto per coloro che – per proprio carattere –  non riescono a reagire.

Per questo motivo ad un adolescente non deve mancare il supporto della famiglia. Il dialogo tra genitori e figli non deve mai mancare e gli adulti devono poter sapere ciò che avviene sui dispositivi dei propri figli, non esercitando una mera forma di controllo, ma educando i giovani a sentirsi liberi di condividere in modo consapevole queste informazioni. Il proibizionismo non è mai efficace quanto la condivisione e la consapevolezza.

 
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Pubblicato da su 6 febbraio 2020 in cellulari & smartphone, news

 

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Leoni da tastiera, imparate a difendervi. Da voi stessi

Lo scorso 25 novembre, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donneLaura Boldrini – attuale presidente della Camera – ha esemplificato la violenza riunendo in un tweet alcune tra le peggiori violenze verbali ricevute tramite social network nell’ultimo mese. Insulti senza senso che non necessitano di commento, scritti da persone che in propria difesa non possono addurre oggettivamente alcun tipo di giustificazione, indipendentemente dalla stima o dal disprezzo che possono nutrire verso la persona a cui sono rivolti. Nell’esporre quei messaggi così brutalmente offensivi, Laura Boldrini ha chiesto “Secondo voi questa è libertà di espressione?”

Dall’intervista all’autrice di uno di quei commenti emerge che gli insulti scritti con tanta ferocia erano uno “sfogo”:

boldrini25nov2016-c1

A tale proposito, questo problema mi ricorda il trattamento che Selvaggia Lucarelli riserva ad alcuni dei leoni da tastiera che la insultano su Facebook per ciò che scrive: li rintraccia telefonicamente e chiede loro conto di ciò che hanno scritto, mandando in onda la conversazione nella trasmissione radiofonica che conduce. Spesso la reazione dei malcapitati non è molto diversa da quella riportata sopra, ma questa è la realtà di molti fra quelli che vengono indicati come haters, quegli odiatori che esprimono il proprio astio verso persone che per loro rappresentano o impersonano il motivo della loro insoddisfazione: gente che non è in grado di cogliere la differenza tra uno sfogo inappropriato (quando non deprecabile) espresso in un contesto limitato come una chiacchierata tra quattro amici al bar, e un commento con le stesse parole scritte direttamente ad una persona tramite social network, quindi amplificato da uno strumento di comunicazione che offre una visibilità globale e scatena un effetto branco.

La domanda di Laura Boldrini “Secondo voi questa è libertà di espressione?” fa riferimento agli insulti, ma può anche essere riferirla a quello stesso tweet. E la risposta è no, per entrambe le chiavi di lettura. Libertà di espressione non è, ovviamente, avere la possibilità di scrivere insulti a chi pare a noi. Ma nemmeno mettere alla gogna gli autori di quelle violenze verbali lo è, nonostante sia un fenomeno da contrastare con fermezza e chi se ne rende colpevole meriti di comprendere la reale entità e pesantezza della violenza che commette. Si potrebbe pensare che mettere in mostra i loro nomi e cognomi, con ciò che hanno scritto, possa essere utile a questo obiettivo e in un certo senso lo è, perché quelle persone esprimeranno pentimento e vergogna. Ma questa reazione non avrà effetto su altri che continueranno a comportarsi nello stesso modo, eventualmente protetti da uno pseudonimo che ne renderà meno immediato il riconoscimento, comunque possibile alle forze dell’ordine che hanno facoltà di intervenire dopo aver ricevuto segnalazioni a questo proposito. E non frenerà lo spargimento di odio in Rete o il cyberbullismo.

Con queste reazioni, soprattutto, viene meno l’aspetto educativo: chi si rende colpevole di queste violenze trasmesse attraverso un social network non è altro che l’ennesimo esempio di utente ignaro che utilizza la Rete senza conoscerne tutti gli aspetti, senza consapevolezza alcuna delle conseguenze che possono avere le proprie azioni. Conseguenze che possono colpire altre persone in modo più feroce di quanto non si creda, ma che possono colpire come un boomerang anche lo stesso utente ignaro, nella sua veste di utonto, webete o leone da tastiera, che si espone con leggerezza e non pensa che potrebbe essere denunciato o esposto a sua volta al pubblico ludibrio. Perché nei social network, che sono sottoinsieme di Internet e – ancor più globalmente – del mondo concreto, ognuno è responsabile delle proprie azioni. Mai dimenticarlo.

Sopra ogni altra considerazione andrebbe sempre tenuto ben presente che chi sparge odio (in rete, ma non solo) non rispetta gli altri e non rispetta se stesso. Educhiamo chi ci sta vicino al rispetto. Cominciamo dalle piccole cose e non dimentichiamo di farlo sempre.

 
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Pubblicato da su 28 novembre 2016 in news

 

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Quando vi dicono che è colpa di Internet…

itscomplicated[1]

Quando qualcuno indica in Internet e nei social network la causa principale di tematiche serie che riguardano i ragazzi, come bullismo e cyberbullismo, hate speech (i cosiddetti discorsi d’odio con cui si manifesta intolleranza e odio verso una persona o un gruppo sociale in base a razza, etnia, religione, l’orientamento sessuale o quello politico, identità di genere o altre particolari condizioni fisiche o sociali) e altre problematiche, suggeritegli la lettura del libro It’s complicated di Danah Boyd (potete acquistarlo, o scaricarlo dal sito danah.org), che documenta una ricerca lunghissima (iniziata nel 2005 e conclusa nel 2012) sulle vite connesse di molti ragazzi e le spiega agli adulti.

Il titolo è perfetto: It’ complicated, è complicato, perché affrontare queste problematiche non è affatto semplice e individuare il colpevole in uno strumento tecnologico è facile. Ed è sbagliato. Perché una tecnologia non intacca problematiche sociali e culturali.

 
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Pubblicato da su 28 febbraio 2014 in Internet, ricerche

 

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