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Facebook, nuove regole per la privacy. O per il business?

Nella lettera aperta pubblicata oggi e destinata ai 350 milioni di utenti di Facebook, il suo fondatore Mark Zuckerberg spiega i motivi per cui – in nome della privacy e della sua salvaguardia – saranno eliminate le reti geografiche a cui gli iscritti oggi possono agganciare il proprio account, mentre nell’ambito dei profili-utente saranno perfezionate le opzioni sulle informazioni da rendere pubbliche.

Tanto per essere più chiari: un utente di Facebook può dire di appartenere ad un gruppo o ad una rete geografica (regione, nazione, continente). Se nelle impostazioni dell’account (che molti utenti toccano all’atto dell’iscrizione, senza più rivederle) ha acconsentito a condividere determinate informazioni ai membri della stessa rete, più questa rete è vasta (e popolata) e più le sue informazioni saranno diffuse, con il rischio che vengano condivise in modo incontrollato.

Il motivo dichiarato da Zuckerberg è semplice: Facebook è nato in un ambito universitario e pensato per un network molto più circoscritto del globo terrestre, quindi la sua crescita implica che, sui contenuti pubblicati, le possibilità di controllo debbano essere migliorate e affinate.
Come osserva Luca De Biase, il primo riflesso di questo update è che il social network dovrebbe guadagnare spontaneità:
Chi è consapevole della scarsa privacy che c’è su Facebook, tende a pubblicare in modo molto asettico e soltanto cose che possono essere pubbliche. Se invece si fosse davvero convinti che la privacy sarà mantenuta su quello che appare più personale, si potrebbe scrivere con maggiore spontaneità.
Il secondo riflesso – meno evidente, ma probabilmente più importante – è che questa spontaneità è manna per chi utilizza Facebook per svolgere indagini di mercato, attraverso la profilazione degli utenti, più facilmente bersagliabili con pubblicità mirata.

Condivido quanto evidenziato da Luca: non è un segreto, infatti, che Facebook – proprio per la sua vastità – costituisca un eccezionale campione statistico di pronto utilizzo. E non è tutto: ciò che viene pubblicato – proprio in funzione dell’aggancio tra profili-utente e reti, gruppi, pagine pubbliche e via discorrendo – è inoltre appetito dai motori di ricerca: anch’essi si sostengono grazie all’advertising, e c’è chi – come Cuil – ha addirittura intrecciato un legame proprio con il più affollato social network del mondo. Ma anche Google, che ad oggi è il leader del mercato, in questa corsa al social networking non sta certo a guardare.

Per questo motivo, senza criminalizzare alcun sito web e tantomeno Facebook, che è uno strumento che – se usato con buon senso – può essere utile e divertente, vale sempre il suggerimento: è un social network, condividere con prudenza.
 
 

Facebook: scripta manent

Da qualche giorno, dai Terms Of Use (le condizioni d’uso) di Facebook sono scomparse alcune frasi di una certa rilevanza e la cosa ha allarmato gli utenti che se ne sono accorti, o che ne hanno avuto notizia. Questo (che posso riportare grazie a quanto segnalato da Giovy) è ciò che diceva la licenza fino all’inizio di febbraio:

You may remove your User Content from the Site at any time. If you choose to remove your User Content, the license granted above will automatically expire, however you acknowledge that the Company may retain archived copies of your User Content. Facebook does not assert any ownership over your User Content; rather, as between us and you, subject to the rights granted to us in these Terms, you retain full ownership of all of your User Content and any intellectual property rights or other proprietary rights associated with your User Content.

In pratica si dice che ogni utente può rimuovere a propria discrezione i contenuti pubblicati e benché l’azienda (Facebook) possa mantenere in archivio copie di tali contenuti, non farà valere diritti di proprietà su qualsiasi Contenuto e l’utente conserva la piena proprietà di tutti i suoi contenuti, inclusi i diritti di proprietà intellettuale o altri diritti di proprietà associati. Una condizione abbastanza chiara, e che ora è stata rimossa.

Il risultato di questa variazione appare altrettanto chiaro, come ha efficacemente riassunto ieri Luca De Biase sulla base di quanto evidenziato anche da Consumerist.com:

A fronte del divertimento di usare la sua piattaforma, Facebook d’ora in poi si appropria dei contenuti degli utenti. E ne può fare ciò che vuole. Per sempre. Anche quando le persone volessero rimuoverli.

Il rumore suscitato in rete da questa modifica delle condizioni d’uso è notevole e non poteva sfuggire a Mark Zuckerberg, il papà di Facebook, che ha fornito le sue  motivazioni, come rileva ancora una volta Luca:

In sostanza, dice Zuckerberg, il cambiamento serve ma non è facile da spiegare. E’ vero che ora i contenuti prodotti dagli utenti non spariscono quando questi si cancellano da Facebook. Ma questo è motivato dal fatto che devono poter restare negli spazi dei loro “amici”. Come una mail ricevuta da una persona resta, anche quando chi l’ha inviata decide di chiudere l’account di posta elettronica dal quale l’ha mandata.
Zuckerberg ammette che tutto questo è complicato. E che gli ci vorranno altri giorni di riflessione per arrivare a spiegare la questione in modo più convincente.
Un utente che elimina il proprio account da Facebook potrebbe anche essere d’accordo sul fatto che i propri contenuti rimangano visibili agli amici, ma a mio avviso il paragone con la posta elettronica regge solo fino ad un certo punto, per tanti motivi, ma per uno in particolare: l’e-mail è una forma di corrispondenza, e in quanto tale mantiene un intrinseco carattere di riservatezza (tutelato dalle normative sulla privacy) e non ha connotati social. Negli intenti dichiarati di Zuckerberg, Facebook è un sistema evoluto di comunicazione tra persone che si conoscono, ma a differenza della posta elettronica, tutto ciò che è stato scritto e pubblicato su quella piattaforma resta su server altrui, mentre la posta elettronica può essere scaricata dai server e mantenuta sul computer dell’utente, che ne può disporre come preferisce.
Per cui – al momento – mi sembra che alle condizioni di utilizzo di Facebook, per quanto riguarda il materiale pubblicato, manchino ancora delle chiare, opportune e doverose precisazioni, non tanto sull’uso che gli utenti possono fare di Facebook, quanto sull’uso che Facebook farà del materiale degli utenti. Precisazioni rese ancor più necessarie dalla prospettiva che i dati degli utenti possano essere utilizzati a scopo di marketing (un aspetto di cui gli utenti dovrebbero essere messi a conoscenza e sottoscrivere esplicitamente).

Fino a quando non ci sarà chiarezza su questo fronte, ma in realtà anche dopo, è opportuno mantenere un atteggiamento consapevole di tutte le possibilità (positive o meno) offerte da questo strumento di comunicazione: molti utenti, quando pubblicano qualcosa, pensano che tanto nel “diario” di FB – che si aggiorna minuto per minuto – tutto scorra e sono convinti che ciò che pubblicano oggi svanirà nel giro di qualche giorno.

Dimenticando che, come disse Caio Titus, verba volant, scripta manent.

 
3 commenti

Pubblicato da su 17 febbraio 2009 in Blogosfera, Internet, media, Mondo, news, privacy

 

Street view non guarda in faccia a nessuno

Street View è inevitabilmente destinato a fare parlare di se’. Il servizio di Google Maps, che offre visioni panoramiche delle strade e consente escursioni virtuali via Internet (una sorta di Grande Fratello in differita su cui già c’è stata qualche polemica), è l’argomento di un documento realizzato dal National Legal and Policy Cente, di cui parla Paolo Attivissimo. Con il documento in questione, il NLPC sembrerebbe voler dimostrare che anche la privacy degli stessi boss di Google è minacciata dalla loro creatura: questa immagine, ad esempio, mette in vetrina il posto auto del co-fondatore Larry Page con tutti i dettagli.

Non solo: senza muoversi dalla propria scrivania, collegandosi a Internet e sfruttando Street View è possibile conoscere senza difficoltà l’itinerario automobilistico più verosimile che lo stesso Page percorre per recarsi al lavoro.

In effetti il nome di Larry Page non compare mai in chiaro, dal momento che l’autore di questo rapporto ha pensato bene di metterci delle pecette nere a beneficio della sua privacy. Peccato che, come ben sappiamo da tempo, anche in un PDF questo espediente sia un tantino inefficace (basta un copia+incolla e il testo diviene leggibile integralmente).

Questa vicenda ha comunque due chiavi di lettura: la prima ci induce a credere che a Google, nella persona dei suoi fondatori, tutto ciò non interessi e il fatto che queste informazioni personali relative a Larry Page siano agevolmente reperibili su Internet potrebbe essere un’ulteriore conferma della loro dichiarata e ostentata vocazione alla trasparenza; la seconda ci suggerisce invece che Street View sia un po’ sfuggito di mano ai suoi genitori e ora la questione richieda mooolta attenzione… Tra l’altro, nei pochi minuti intercorsi da quando ho iniziato a scrivere questo post ad ora, le pagine web del sito NLPC che ho linkato qui sopra sono diventate irraggiungibili.

Comunque ecco qualche altro link su cui si può leggere di questo rapporto.

 
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Pubblicato da su 6 agosto 2008 in Internet, media, mumble mumble (pensieri), news, privacy