La mappa della blogosfera 2010
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Cinguettatore
Twitter parla italiano, nel senso che ora la sua interfaccia è fruibile anche nella nostra lingua. I followers sono rimasti tali, anche se – in applicazione alle regole dell’Accademia della Crusca – hanno perso la “s” del plurale, e forse è meglio così: il rischio poteva essere quello di incappare in “seguaci”e “seguiti”.
Cosa cambia e perché questa notizia è degna di nota? Per chi già utilizza questa piattaforma di microblogging non cambia nulla, perché questa novità ha un altro target: Twitter nel nostro Paese non ha ancora sfondato e tenta di accalappiare nuovi utenti che hanno poca (o nulla) familiarità con l’inglese e ambisce a diventare “una piattaforma di comunicazione globale”.
In realtà, trattandosi di uno strumento molto semplice, anche prima Twitter non richiedeva una gran dimestichezza con l’inglese, ma per molti utenti un sito che parla la loro lingua è un fattore che infonde maggiore sicurezza e dunque può senz’altro contribuire a far raggiungere l’obiettivo dichiarato.
Da più parti leggo che ora Twitter sarebbe in grado di sfidare Facebook sul mercato italiano. Io vedo la sfida semplicemente sul piano di un business da inseguire in parallelo, perché i due servizi non sono realmente in competizione tra loro: mentre Facebook è un vero social network, Twitter è microblogging, comunicazione spiccia a colpi di 140 caratteri per volta a beneficio dei follower(s).
Le due piattaforme hanno però in comune lo stream, che su Twitter ha carattere pubblico (perché permette di diffondere informazioni a chiccessia), mentre Facebook implica un link consensuale tra gli utenti prima di condividere le informazioni. E chissà che le future evoluzioni dello sviluppo di questi servizi non spingano per convergere in un’unica direzione.
Due, tre, anzi quattro (mal contati)
Senza considerare il messaggio (urlato dalle locandine esposte da questa edicola) sulla presunta pericolosità degli alani, direi che l’attendibilità della notizia qui sembra comunque un lusso che non ci si può permettere.
(thru Manteblog – via gigi cogo su FF)
BlogFiction
Ho letto da più parti opinioni sulla vendita di BlogBabel, acquistata da Liquida, dopo un’inserzione pubblicata su eBay e ritirata anticipatamente. Come ho scritto altrove, non entro nel merito della questione; ritirare un’inserzione prima della sua scadenza naturale è una facoltà del venditore, che avrà avuto i suoi buoni motivi per farlo. Però sono convinto che l’asta sarebbe potuta essere una soluzione avvincente.
Probabilmente – è la mia opinabilissima impressione – l’asta è servita a rendere più interessanti le trattative reali che sono poi state portate a termine dal creatore di BlogBabel, che due anni fa fu definito come “L’uono che non fa dormire i bloggers”. E credo sia in virtù di questo perduto potere che oggi Macchianera gli ha tributato una dettagliata BlogFiction, basata su fatti presumibilmente accaduti, ma solo ispirata alla messa in vendita di Blogbabel.
Non credo che la cosa cadrà lì, prevedo (re)azioni.
UPDATE: ecco, appunto.
BlogBabel, asta chiusa
L’offerta su eBay è stata ritirata (poche ore dopo un’offerta da oltre 40mila euro, come testimoniato dalla sorprendente cronologia delle offerte) e ora BlogBabel ha cambiato padrone.
PS: qui si può leggere la spiegazione alla prematura chiusura dell’asta
Pierani c’è
Senza curarsi delle mode della Rete, quindi con mossa saggia e ponderata, Marco Pierani – Responsabile Relazioni Istituzionali di Altroconsumo – oggi ha aperto il suo angolo nel web.
Spiragli sull’obbligo di rettifica
Alcune settimane fa, alla Camera, è stata approvata – in seno al “DDL intercettazioni” – una norma che estende a tutti i “siti informatici” l’obbligo di rettifica previsto per l’editoria. In seguito a questa iniziativa è nata l’idea della giornata di silenzio dei blog.
A quanto si apprende dall’onorevole Antonio Palmieri, però, sembra esserci qualche novità interessante: in collaborazione con Marco Camisani Calzolari e Stefano Quintarelli, l’on. Palmieri ha contattato il senatore Lucio Malan, che ha condiviso e accettato l’idea di presentare un ordine del giorno che renda chiara la reale interpretazione del testo di legge, per chiarire che laddove è stato scritto “siti informatici” si deve intendere che l’oggetto dell’argomento sono i “giornali e periodici diffusi per via telematica e soggetti all’obbligo di registrazione di cui all’articolo 5”, che è in pratica il risultato a cui si è giunti con il wiki aperto allo scopo di rendere meno vincolante il provvedimento.
Ora, fatto salvo il principio che chi pubblica un contenuto deve attenersi alla realtà e non divulgare informazioni non vere, se questa soluzione fosse sufficiente a ridare serenità alla Rete, dovremmo solo auspicare che a blog e siti amatoriali non venga esteso l’obbligo di registrazione 😉
Il problema, però, non si esaurisce qui. Guido Scorza ci ricorda:
Un ordine del giorno parlamentare (qui la ermetica spiegazione contenuta sul sito del Senato) non è altro – ed è bene sottolinearlo – che un atto di indirizzo parlamentare attraverso il quale i rappresentanti del potere legislativo indicano al potere esecutivo (Governo) la propria volontà che una determinata norma di legge venga interpretata in un certo modo. E’ noto, tuttavia, che le leggi le applicano i giudici e che questi ultimi – per fortuna – non sono, almeno per il momento, soggetti al Governo.
Il che significa che l’ordine del giorno, nei fatti, non impedirebbe comunque ad un giudice di imporre, al gestore di un blog o sito web “incriminato”, l’obbligo di rettifica previsto dal provvedimento.
La dimostrazione di buona volontà, data dall’ordine del giorno parlamentare, è un buon segnale. Ma sarebbe più efficace e sicura la strada dell’emendamento. Magari con il supporto dei membri del gruppo parlamentare Intergruppo 2.0, che si dichiarano consapevoli di una grande verità: “prima di legiferare bisogna capire e dialogare”.
La rete italiana secondo Doctorow, nessuna novità
Dopo essersi fatto un giro in Italia Cory Doctorow dal suo BoingBoing spiega ai suoi lettori di tutto il mondo la sua visione di come siamo messi in Italia dal punto di vista della libertà di espressione su Internet. A dire il vero, come lui stesso dichiara, durante il suo soggiorno nel Belpaese ha avuto occasione di fare quattro chiacchiere con Davide Casaleggio, consulente strategico ed editore del blog di Beppe Grillo, e il suo post ne è la esplicita e dichiarata conseguenza.
Non sono novità di queste settimane: purtroppo per queste cose, nel mondo, eravamo già famosi prima. Anzi, prima ancora. E forse si può andare ancora più indietro, ma in definitiva non era necessario che BoingBoing pubblicizzasse Beppe Grillo nel mondo per saperlo…
Facebook: scripta manent
Da qualche giorno, dai Terms Of Use (le condizioni d’uso) di Facebook sono scomparse alcune frasi di una certa rilevanza e la cosa ha allarmato gli utenti che se ne sono accorti, o che ne hanno avuto notizia. Questo (che posso riportare grazie a quanto segnalato da Giovy) è ciò che diceva la licenza fino all’inizio di febbraio:
You may remove your User Content from the Site at any time. If you choose to remove your User Content, the license granted above will automatically expire, however you acknowledge that the Company may retain archived copies of your User Content. Facebook does not assert any ownership over your User Content; rather, as between us and you, subject to the rights granted to us in these Terms, you retain full ownership of all of your User Content and any intellectual property rights or other proprietary rights associated with your User Content.
In pratica si dice che ogni utente può rimuovere a propria discrezione i contenuti pubblicati e benché l’azienda (Facebook) possa mantenere in archivio copie di tali contenuti, non farà valere diritti di proprietà su qualsiasi Contenuto e l’utente conserva la piena proprietà di tutti i suoi contenuti, inclusi i diritti di proprietà intellettuale o altri diritti di proprietà associati. Una condizione abbastanza chiara, e che ora è stata rimossa.
Il risultato di questa variazione appare altrettanto chiaro, come ha efficacemente riassunto ieri Luca De Biase sulla base di quanto evidenziato anche da Consumerist.com:
A fronte del divertimento di usare la sua piattaforma, Facebook d’ora in poi si appropria dei contenuti degli utenti. E ne può fare ciò che vuole. Per sempre. Anche quando le persone volessero rimuoverli.
Il rumore suscitato in rete da questa modifica delle condizioni d’uso è notevole e non poteva sfuggire a Mark Zuckerberg, il papà di Facebook, che ha fornito le sue motivazioni, come rileva ancora una volta Luca:
In sostanza, dice Zuckerberg, il cambiamento serve ma non è facile da spiegare. E’ vero che ora i contenuti prodotti dagli utenti non spariscono quando questi si cancellano da Facebook. Ma questo è motivato dal fatto che devono poter restare negli spazi dei loro “amici”. Come una mail ricevuta da una persona resta, anche quando chi l’ha inviata decide di chiudere l’account di posta elettronica dal quale l’ha mandata.Zuckerberg ammette che tutto questo è complicato. E che gli ci vorranno altri giorni di riflessione per arrivare a spiegare la questione in modo più convincente.
Fino a quando non ci sarà chiarezza su questo fronte, ma in realtà anche dopo, è opportuno mantenere un atteggiamento consapevole di tutte le possibilità (positive o meno) offerte da questo strumento di comunicazione: molti utenti, quando pubblicano qualcosa, pensano che tanto nel “diario” di FB – che si aggiorna minuto per minuto – tutto scorra e sono convinti che ciò che pubblicano oggi svanirà nel giro di qualche giorno.
Dimenticando che, come disse Caio Titus, verba volant, scripta manent.
Un primo passo per l’uomo
L’incontro di Franco Bernabé con i blogger al Mart di Rovereto (museo di cui riveste la carica di presidente del consiglio di amministrazione) rappresenta, a mio parere, un importante segnale di comunicazione. Qualcuno, come temeva Luca De Biase, avrà pensato che fosse una conferenza stampa per i blogger (ma se i blogger non sono giornalisti, la conferenza stampa non ha senso). C’è da tenere conto che non ci sono precedenti: credo si tratti della prima volta che i vertici della principale compagnia telefonica italiana (nonché il più importante Internet Provider) abbiano deciso di confrontarsi, al di là della forma dell’incontro, con una community che non è di giornalisti, non è di analisti, ne’ di azionisti, ma che – anche nella veste di opinion leader – ugualmente rappresenta una fetta del Paese in cui quell’azienda si trova ad operare con i propri importanti (e spesso vitali) servizi.
Seppur invitato non sono riuscito ad andare all’incontro per via di alcuni impegni professionali, ma mi sono accontentato di seguire l’avvenimento in streaming e l’impressione che ho avuto è di aver visto tanti Bernabé.
Al Mart ho visto il Bernabé dell’era post – Tronchetti Provera, che raccoglie un’eredità pesante in termini di immagine nei confronti dell’opinione pubblica perché catalizza su di se’ le malevole (e non sempre ingiustificate) attenzioni di una buona fetta di utenti, consumatori e operatori alternativi, per i quali l’incumbent Telecom Italia è la compagnia telefonica mal privatizzata che detiene la proprietà del principale network TLC italiano che per molti versi è causa dei mali del mercato della telefonia. Non è un fatto personale: uno si può chiamare Tronchetti Provera, Ruggiero, Grillo, Veltroni, Berlusconi, Bonacina, ma se sta ai vertici di Telecom deve accollarsi questo onere.
Ho visto anche un Bernabé tignoso: dice infatti di essere tornato in Telecom “per tigna, per orgoglio, per dimostrare che quello che avevo già pensato potesse essere il futuro di questa azienda è assolutamente fattibile, e non me ne andrò se non dopo aver cercato di realizzarlo”. E questo dopo aver dichiarato che “la scalata a Telecom Italia con i debiti che hanno impoverito la società è stata un delitto contro il progresso del Paese, ha tolto risorse alla Telecom Italia proprio nel momento in cui doveva investire per il futuro. Quando ho criticato l’OPA non l’ho fatto per un interesse di manager, ma perché immaginavo quello che sarebbe successo, e che si è puntualmente verificato”.
C’era poi il Bernabé col pelo sullo stomaco, quello che – dopo le garbate domande presentate dai blogger – ha esclamato “Mi aspettavo domande molto più cattive”.
Alle domande dirette, anche se non cattive, ha però fornito risposte politiche e un po’ opache (caratterizzate cioè da scarsa trasparenza). E qui è affiorato in più occasioni il Bernabé uomo Telecom.
E’ colui che, a chi gli ha chiesto quando si raggiungerà l’atteso traguardo di una copertura del 100% del broad band in Italia, ha minimizzato la questione rispondendo che oggi siamo al 96% e entro breve (ma quanto breve non si sa) raggiungeremo il 98,5%. Al resto si arriverà con altre tecnologie, ha aggiunto Bernabé, precisando che Telecom Italia non può farsi carico dei problemi di chi ha messo su casa in luoghi non appropriati in seguito alla speculazione edilizia. Io spero che con questa frase abbia voluto fare una battuta, ma non è stata comunque delle più felici e ha in ogni caso dimostrato scarsa sensibilità al problema del digital divide.
A chi gli ha chiesto come si pone la sua azienda nei confronti della net neutrality ha poi risposto che si tratta di “un problema importante che va promosso a favore dell’utente, a favore non dei nuovi monopoli della rete, perché altrimenti rifacciamo la storia di Netscape e di Explorer” e aggiungendo la necessità di promuovere tutto ciò che può rendere competitiva la rete anche sul fronte della sicurezza, su cui le telco si devono impegnare perché “quello che si è verificato nella rete negli ultimi anni è anche una riduzione dell’efficacia della rete stessa”, riferendosi al fenomeno dello Spam come ad una piaga epocale (ma glissando sulla questione posta dalla domanda iniziale)
Bernabé dichiara di pensare a Telecom Italia come una stabile public company dopo le turbolenze conseguenti al cambio di gestione, affermando che “il tempo del lavoro dedicato a sistemare i problemi ereditati dalla precedente gestione è finito. E ora possiamo cominciare a lavorare in serenità, sapendo che quello che conta è liberare le forze della rete, per contribuire alla modernizzazione del paese”.
A mio avviso non ci si poteva aspettare di più, dall’amministratore delegato di Telecom Italia, in un incontro che si è svolto a Borsa aperta e di fronte a giornalisti con le orecchie tese (spesso capaci di riferire starnuti che sui mercati finanziari si trasformano in uragani). Ribadisco: l’evento costituisce un importante precedente, un primo passo che nessun altro aveva mai compiuto prima.
Per un Bernabé 2.0 (e soprattutto una Telecom 2.0) è ancora un po’ presto.
Ohiblog!
Avviso a tutti coloro che detengono un weblog. Marco Camisani Calzolari segnala:
“blog” è un marchio registrato
Facendo una ricerca ho scoperto che il termine “blog” è stato registrato nel 2005 da Giochi Prezioni S.P.A.
Tecnicamente potrebbero fare causa per usurpazione di marchio a chiunque lo utilizzi sul proprio… ehm… Diario online.
(cliccare per ingrandire)
Ma per cosa l’avranno registrato? Per una versione 2.0 di Cristal Ball?
Blogbabel dice basta
Non so se la temporanea sospensione di Blogbabel (di cui ho appreso tramite Mantellini) sia una trovata pubblicitaria, come osserva Dario Denni. L’attività di BB, che la si apprezzi o meno, resta uno studio e un progetto interessante. Non voglio entrare nei dettagli di ciò che sta dietro al bailamme della vicenda, mi domando solo se qualcuno non stia soffrendo di ansia da prestazione.
P.S.: ma adesso qualcuno volterà pagina e rivolgerà la propria attenzione verso Wikio? Riconsidererà Technorati?
Antidoping alla classifica
A chi segue con passione le classifiche dei blog, segnalo che quella di Blogbabel non considera più validi gli effetti del simpatico cin-cin virale che faceva gli auguri di buon 2008 a tutti i blogger. Chi è stato linkato e ha gioito per la scalata degli ultimi giorni potrebbe ritrovarsi su qualche gradino più in basso.
UPDATE: alcuni esperti delle dinamiche di queste classifiche mi segnalano che anche questo post (così come quello di Antonio, che mi linka) è stato “potato” da Blogbabel, in conformità alle nuove regole di bonifica. La cosa non genera in me alcun allarmismo ne’ mi fa rosicare, perché assisto sempre divertito alle diatribe sulle classifiche, rispettando chi le segue con interesse. Mi chiedo solo se l’applicazione di questa disciplina anche su questi post di oggi (in cui non ravviso intenti inquinatori) non sia un tantinello restrittiva.