Ho sempre letto con interesse ciò che scrive Alessandro Longo, perché cerca sempre – riuscendovi, a mio avviso – di far comprendere al lettore ciò di cui sta parlando, anche se l’argomento è intrinsecamente tecnico e il lettore non sempre lo è. Il fatto che ora assuma la guida di Tekneco in veste di direttore responsabile, mi spinge a mandare innanzitutto a lui un grosso in bocca al lupo, e a voi l’invito a leggerlo.
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Notizie tecnoscandalistiche
Ci sono molti criteri validi che è possibile seguire per il confezionamento di una notizia scientifica o di sapore scientifico. In ogni caso sarebbe anche importante non passare dalla scienza alla fantascienza, ma c’è chi lo fa senza accorgersene.
Un esempio è una notizia data da varie testate nei giorni scorsi, partita da BBC News, che giovedì scorso ha titolato First human ‘infected with computer virus’.
Ripresa con sollecitudine anche da noti giornali italiani come Repubblica e il Corriere della Sera, la notizia ha sostanzialmente trasmesso il messaggio che un uomo è stato infettato dal virus di un computer. Una notizia che descrive un’ipotesi improbabile e fuorviante, perché un tag RFID passivo può portare con se’ solo dati (pochi o tanti che siano) ed è dunque impossibile che esegua un’azione, ne’ malevola, ne’ benevola.
Un virus, eventualmente, potrebbe colpire i dispositivi destinati a leggere tali informazioni, ma non l’essere umano che ospita il chip. Con molta chiarezza Graham Culey tecnology consultant di Sophos (azienda specializzata in soluzioni antivirus e di sicurezza) lo ha spiegato osservando: “Gli scienziati dovrebbero essere responsabili di come presentano la propria ricerca, invece di alimentare minacce per arrivare ai titoli sui giornali”.
Per la cronaca, il giornalista della BBC Rory Cellan-Jones – autore della notizia originale – in seguito alle critiche ricevute da esperti e addetti ai lavori si è premurato di scrivere alcune precisazioni, facendo sostanzialmente marcia indietro sui toni allarmistici utilizzati per parlare delle ricerche del dottor Gasson. Sulle testate che avevano citato la BBC non ho ancora visto nulla, auspicabilmente per mia disattenzione.
Da Google, Sony e Intel nasce GoogleTV
Le mire espansionistiche di Google non conoscono confini e spingono gli interessi di business della profittevole raccolta pubblicitaria anche all’intrattenimento televisivo. D’altro canto, nonostante oggi sia possibile vedere la TV su vari dispositivi (dal PC allo smartphone), nulla batte la godibilità di uno schermo di dimensioni ragionevoli da godersi comodamente seduti.
Da questi interessi nasce la GoogleTV, un dispositivo HD prodotto dall’alleato Sony dotato di una CPU Atom di Intel (fa parte della stessa famiglia di processori che equipaggia i netbook) e un bel lettore per DVD e Blu-ray Disc. L’utente troverà a bordo il sistema operativo Android e il browser Chrome per accedere ad Internet e ovviamente ad Android Market, ricco di app, giochi e – verosimilmente – contenuti fruibili mediante il nuovo device.
ZombieTV
La città in cui vivo è annoverata tra i comuni lombardi in cui oggi – entro le 10.00 – Rai2 e Rete4 sarebbero dovuti passare definitivamente al digitale terrestre. Questo, almeno, è quanto mi risulta.
Per quale motivo stasera, a casa mia, vedo ancora benissimo entrambi i canali con segnale analogico?
iMushrooms
La storia dell‘iPhone 4G misteriosamente sfuggito ad Apple in aprile (con lo scoop di Gizmodo, il furto seguito dal pagamento di una sorta di riscatto, il nebuloso episodio dello smarrimento in una birreria, la lettera di Apple che sottintendeva la conferma che si trattasse davvero di un prototipo), mi aveva indotto a ipotizzare che tutto potesse essere frutto di un’operazione di comunicazione e di marketing, perché sulla disattenzione dell’azienda di Steve Jobs nutrivo alcuni dubbi.
Ora che l’apparecchio è misteriosamente ricomparso due volte – una in Vietnam, nelle foto pubblicate da un forum e ampiamente riproposte in rete, e una in un video in cui viene smontato da Smartphonemedic – ho qualche dubbio in più. Anche stavolta l’hype aumenta e non è un caso che la Worldwide Developer Conference 2010 sia sempre più vicina: per l’inizio giugno, in occasione dell’evento che sarà ospitato al Moscone Center di San Francisco, si prevedono novità. Come il nuovo sistema operativo iPhone OS 4.0, verosimilmente presentato sull’ultimo modello dello smarphone Apple. Che potrebbe chiamarsi iPhone 4G, o iPhone HD.
Wall Street precipita e risale. Colpa di un brutto typo?
Stando a quanto riferito da CNBC, il terremoto (finanziario) che si è verificato oggi a Wall Street ha avuto il suo epicentro sulla tastiera del pc di un trader:
According to multiple sources, a trader entered a “b” for billion instead of an “m” for million in a trade possibly involving Procter & Gamble, a component in the Dow. (CNBC’s Jim Cramer noted suspicious price movement in P&G stock on air during the height of the market selloff).
Noio vulevam savuar…
Talvolta può capitare di vedere al TG un pregevole servizio giornalistico e rimanere basiti:
Da notare la divertita reazione degli intervistati, non si capisce se dovuta alla presunta ironia della domanda o al non classificabile livello di conoscenza dell’inglese di chi maneggia il microfono.
Borning Post
Oltreoceano esistono due realtà di informazione – entrambe con una conquistata e riconosciuta autorevolezza – che hanno molte assonanze nel loro nome: The Washington Post e The Huffington Post (di Post, negli USA ne esistono altri, ma parlo di assonanze). Il primo, quotidiano molto autorevole, è stato fondato nel 1877 e si è guadagnato un’enorme popolarità all’inizio degli anni ’70 con l’inchiesta sul caso Watergate. Il secondo è un blog, è nato nel 2005, pubblica articoli – o meglio, post – di grandi personaggi e in poco tempo è balzato in cima alla classifica Technorati.
In Italia, con ambizioni di innovazione nel campo dell’informazione, oggi nasce Il Post.
Informazione online, qualità da Pulitzer
Correva l’anno 1997 quando la commissione per l’assegnazione del premio Pulitzer cominciò a rendersi conto delle realtà di informazione online che già si facevano strada.
Da quel momento alla reale apertura al web trascorsero ben undici anni. Ma è solo nel 2010 che l’informazione online riesce ad ottenere questo riconoscimento, prestigioso e ambito da chi si occupa professionalmente di giornalismo: per la categoria Investigative Reporting, infatti, insieme a Barbara Laker e Wendy Ruderman della tradizionale testata Philadelphia Daily News, si è aggiudicata il Pulitzer Sheri Fink di ProPublica, che ha condotto un’inchiesta – pubblicata anche dal The New York Times Magazine – su alcuni casi di eutanasia praticata su alcuni pazienti ritenuti non trasportabili presso il Memorial Hospital di New Orleans in seguito alle conseguenze dell’uragano Katrina.
Il premio non è andato a degli outsider del giornalismo. ProPublica, tecnicamente e finanziariamente, ha spalle larghe e ben coperte: come editor-in-chief c’è Paul Steiger, che in passato è stato direttore del Wall Street Journal e che ora guida una testata che pubblica i propri contenuti con licenza Creative Commons e realizza inchieste di pubblico interesse che possono essere liberamente ripubblicabili, contando sulla copertura finanziaria garantita dai filantropi californiani Herbert e Marion Sandler.
E questo dimostra tra l’altro, semplicemente, che ciò che conta è la qualità del giornalismo e non il supporto – cartaceo o elettronico – che contribuisce alla sua diffusione.
Sentenza Google-Vividown, pubblicate le motivazioni
Attese per un doveroso chiarimento, ecco le motivazioni della sentenza formulata dai giudici sul caso Google – Vividown – qui reperibile grazie ad un documento pubblicato dal quotidiano La Stampa.
Qualora si tratti di argomentazioni oggettivamente e opportunamente documentate (premessa doverosa), mi sembrano motivazioni più pesanti di quanto le prime notizie lasciassero supporre, perché mi sembra si parli – in sostanza – di un interesse verso il business spinto oltre i limiti della moralità, sfociato nel non rispetto dei principi della privacy, che sarebbero stati ignorati anche per quanto attiene le normative vigenti.
In un passaggio si legge che “appare evidente come il governo della società italiana sia stato – dall’America- volontariamente indirizzato dai legali rappresentanti alla esclusiva gestione dei profitti economici con totale e deliberata omissione di qualsiasi attivita’ (anche di consulenza legale, attinente alle questioni proprie del diritto italiano o comunque comunitario) che potesse – in qualche modo – ostacolarne gli incrementi”.
Riassumere il tutto è un’impresa molto difficile. Ciò che intravedo è che alla base della condanna ci sarebbe un’informativa sulla privacy – con richiesta di manifestazione di consenso – pubblicata in modo volutamente poco leggibile da Google, per raggiungere l’obiettivo di deresponsabilizzarsi da eventuali violazioni, ma trasmettere comunque agli utenti un invito a pubblicare contenuti senza porsi troppi problemi, al fine di massimizzare gli accessi.
L’avvocato Guido Scorza, tuttavia, analizza qui le 111 pagine di quella che definisce “una sentenza piccola piccola”, in quanto basata su motivazioni pretestuose e insufficienti. I legali di Google assicurano che ricorreranno in appello, poiché affermano con sicurezza che la società – anche sotto il profilo delle norme sulla privacy – avrebbe agito correttamente. E se così fosse accertato, le motivazioni della sentenza – come l’impianto accusatorio – sarebbero davvero poco consistenti, anzi molto discutibili.
Notizie sulla Net Neutrality
Sabato scorso, 2024 – la trasmissione di Radio24 su Rete, telecomunicazioni e tecnologia curata da Enrico Pagliarini – si è focalizzata su due argomenti: il primo è stato Skype, che a mio avviso non ha bisogno di presentazioni, il secondo è stato la neutralità della rete, introdotto dal sottoscritto. In realtà ho potuto offrire un contributo solo parziale (l’intervento è stato drasticamente ridotto rispetto a quanto previsto inizialmente), ma ritengo significativo che il tema inizi a interessare anche i media, anche se stiamo parlando di una trasmissione radiofonica già orientata a trattare argomenti non proprio comuni.
Ciò di cui si è parlato in radio è nel podcast della trasmissione. Per approfondire l’argomento con l’attualità di questi giorni, vi segnalo invece un paio di articoli:
Déjà vu sul peer-to-peer (e tre)
La musica passa anche da una tastiera, sia quella di un organo Hammond, sia quella di un computer, che permette di suonarla grazie a schede audio e software, o di scaricarla da Internet: nei giorni scorsi, in due occasioni (un’intervista a Panorama e in un intervento a “Ventura football club” su Radiouno), Roberto Maroni – ministro, ma anche tastierista della band Distretto 51 – ha parlato del download di contenuti musicali, affermando provocatoriamente che non disdegna scaricare musica dalla Rete in quanto – parole sue – “non la considero un’azione illegale”.
Il polverone sollevato da questo presunto tentativo di sdoganare il peer-to-peer, infatti, è sostanzialmente una replica del clamore da lui stesso sollevato nel 2006, quando rilasciò dichiarazioni più o meno identiche, e rida’ giustizia al lieve e quasi impercettibile brusìo che il ministro ottenne nel 2008, quando ribadì le medesime convinzioni. Trovandoci oggi nel 2010, se il trend è confermato, prevedo che le prossime rivelazioni provocatorie in campo di p2p si avranno nel 2012.
Per quanto riguarda le notizie vere e proprie sull’argomento, vi rimando all’articolo pubblicato su The New Blog Times.
Google non pubblica sul web l’Abruzzo del dopo-terremoto
Leggo da una notizia ANSA che CNR Media ha chiesto a Google di aggiornare mappature e immagini di Maps e Street View, che ritraggono ancora intatte L’Aquila e le zone dell’Abruzzo colpite dal terremoto, perché “con Google Street View – riferisce l’agenzia – si vedono camminare persone per le strade della città abruzzese. Alcune di queste che ancora oggi si possono vedere sorridere forse nella realtà sono morte”.
E’ certo che le immagini del dopo-terremoto provenienti dal satellite GeoEye esistano già da tempo, dal momento che due giorni dopo il sisma erano già disponibili per la visualizzazione con Google Earth. Questa, ad esempio, è un’immagine di Onna dopo il terremoto:
L’update delle immagini satellitari di Maps è dunque un’operazione fattibile e relativamente semplice per Google, lo dimostra l’avvenuto aggiornamento di quelle di Haiti, colpita dal terremoto tre mesi fa.
E’ invece decisamente meno semplice aggiornare quelle di Street View (ottenute inviando un’auto dotata di fotocamere in grado di effettuare scatti a 360°), che però – per assecondare osservazioni e motivazioni sollevate da CNR Media – credo possano semplicemente essere rimosse. A meno che non si voglia chiedere a Google di sguinzagliare nuovamente la sua equipe e farla procedere in mezzo alle macerie immortalando con foto panoramiche la situazione attuale.
Personalmente credo che un’operazione di aggiornamento fotografico, non necessariamente curata da Google ai fini di Street View, potrebbe – forse – avere un senso per esigenze operative di sicurezza o di ricostruzione (obiettivo primario per conseguire il quale potrebbe avere senso anche conservare le immagini su L’Aquila prima del terremoto). Diversamente, non riuscirei ad individuare il confine tra l’intento documentativo e il cattivo gusto nel voler vedere su Internet le immagini particolareggiate e dettagliate delle conseguenze di un terremoto: ritengo che la documentazione – anche fotografica – prodotta e diffusa da chi si è recato sul posto e dai media sia ampiamente sufficiente a far comprendere al mondo le proporzioni della tragedia.
Blockbuster in crisi. Colpa di Internet?
Un articolo di Angelo Aquaro pubblicato ieri su Repubblica dice: Blockbuster verso fallimento per colpa di internet.
La Società – spiega l’inviato da New York – “oggi naviga in acque così cattive che avrebbe deciso di aggrapparsi al salvagente del Chapter 11, la legge Usa che disciplina la bancarotta”. Motivo della crisi: “Gli esperti sono d’accordo: Blockbuster, già colpito dalla tv via cavo, è stato strangolato dalla rete”.
L’articolo sintetizza la questione in termini sostanzialmente corretti, anche se più che della Rete, a mio avviso, la catena è rimasta vittima della propria immobilità e dall’incapacità di comprendere e cavalcare il cambiamento del mercato: NetFlix, RedBox e video on demand disponibili da iTunes, Amazon e dalle tv via cavo sono soluzioni che si sono conquistate una loro fetta di mercato, in cui anche Google intende entrare e dire la propria. Mentre la concorrenza innovativa cresceva, Blockbuster ha perso l’occasione di innovarsi in modo efficace e competitivo: se l’accordo con Motorola non sembrava già in partenza una scelta particolarmente azzeccata (per partner e soluzione), il lancio del suo set-top-box appare ora un goffo tentativo di salire in corsa su un treno già partito da tempo.
Oggi Blockbuster si presenta con un pesantissimo stato di insolvenza con debiti per un miliardo: se riuscirà nell’obiettivo di non crollare, dovrà assolutamente adottare nuove strategie e cambiare modello di business, nella speranza che non sia troppo tardi.










