Solo nel 2010 ha preso parte a I raccomandati, al 60° Festival di Sanremo e in questi giorni lo si vede (sempre insieme all’ormai inseparabile Enzo “Pupo” Ghinazzi) nei promo di Ciak si canta in TV, poi pare sia quasi pronto un programma su RadioDue. Mai come quest’anno mi sembra che Emanuele Filiberto di Savoia stia spopolando in RAI più di tanti altri personaggi televisivi e più di qualunque concorrente uscito da un talent show.
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Web condicio
L’iniziativa del Presidente del Repubblica Giorgio Napolitano, che ha voluto rispondere pubblicamente mediante il sito web quirinale.it a due cittadini in merito al cosiddetto decreto salva-liste, costituisce un segnale di innovazione che non può essere ignorato.
Proseguendo, seppur con piccoli passi, la strada inaugurata con la diffusione del tradizionale messaggio di fine anno anche attraverso il nuovo canale aperto su YouTube, il Quirinale dimostra attenzione verso forme di comunicazione che negli ultimi anni sono andate consolidandosi con successo al di fuori delle istituzioni, cogliendo un’occasione opportuna per diffondere – con una risposta diretta a due cittadini – un messaggio che, ancora una volta, è diretto a tutta la nazione.
Se la formula, infatti, somiglia molto a quella utilizzata in molte rubriche di lettere al direttore riscontrabili su giornali e riviste, la sostanza dei contenuti fa emergere il vero significato dell’iniziativa: nel sito del Quirinale una rubrica di lettere al presidente non esiste e difficilmente verrà creata (il Capo dello Stato impegnerebbe tutte le sue giornate nel rispondere a una parte delle lettere ricevute da tutti gli italiani sui più vari argomenti, ma risulterebbe impossibile farlo con tutti gli italiani, benché ogni mittente si attenderebbe legittimamente di ricevere risposta dal proprio Presidente), ma la scelta di utilizzare il web per parlare di una vicenda molto spinosa (parole utilizzate da Napolitano) rappresenta la volontà di comunicare con i cittadini in modo diretto e senza alcuna mediazione o interpretazione.
Ironia della sorte, tutto ciò nasce in conseguenza della firma apposta dal Presidente su un decreto interpretativo. Ma a parte le battute, come dicevo sopra, costituisce un segnale di innovazione da non sottovalutare e da vedere con favore, a prescindere dall’argomento su cui la vicenda si è focalizzata e che, trattandosi di una soluzione politica, per sua natura accontenta una fazione e riscuote contrarietà dall’altra.
P.S.: nella speranza che nessuno dei due cittadini veda leso il proprio diritto alla privacy per essersi visto menzionare sul sito web del Quirinale con nome e cognome, in firma ad una lettera destinata al Presidente della Repubblica
La versione dei PM sulla condanna a Google
Chi crede necessario conoscere le motivazioni della sentenza di condanna inflitta a Google per la vicenda Google-Vividown può cominciare con l’antipasto fornito direttamente dai PM milanesi nella replica – una sorta di outing giuridico – pubblicata online da L’Espresso.
Punti a mio avviso significativi di quanto dichiarato dai PM:
- la sottolineatura del fatto che Google non ha permesso l’ingresso in aula dei giornalisti;
- il video nei due mesi di pubblicazione online (dall’8 settembre 2006 al 7 novembre 2006) ha avuto 5.500 visualizzazioni, ma poteva essere rimosso almeno un mese prima, dal momento che i primi commenti negativi pubblicati risalgono al 4 ottobre 2006;
- a Google è stato chiesto formalmente di fornire informazioni precise sulle richieste di rimozione del video ricevute dagli utenti, insieme ai dati utili a ricostruire la pagina web, perché il file depositato (un file .doc su cui era stato incollato il contenuto della pagina del video prima della sua rimozione) non risultava adeguato ai fini dell’inchiesta, ottenendo risposte ritenute non sufficienti ad effettuare le necessarie verifiche.
Personalmente, resto dell’opinione che la violazione della privacy – il motivo fondamentale della condanna – sia da addebitare a chi ha prodotto e pubblicato il filmato su Google Video.
Rilevo pareri opposti in merito alla tempestività della rimozione da parte di Google, avvenuta alle 21 del 7 novembre: meriterebbe un’attenta valutazione il fatto che il video sia rimasto online per due mesi quando – come riferito dai PM – esistevano richieste di rimozione formulate ad inizio ottobre, un mese dopo la pubblicazione. Un problema che non si porrebbe se risultasse che la prima segnalazione, con richiesta di rimozione, fosse stata questa:
Da qui (fonte dell’immagine sopra riportata) risulta che esistesse una richiesta risalente al giorno prima, formulata da un utente, ma non riterrei intempestiva la rimozione di un video dopo un giorno da tale segnalazione.
Decreto TV: non ci siamo
Ancora una volta la spanna regna sovrana tra le unità di misura che le istituzioni italiane utilizzano nel promulgare le leggi.
Come scrive Marco, il decreto è ricco di scarsa specificità e vaghezza di termini, che rendono la norma nebulosa e troppo interpretabile. In mezzo a queste lacune, evidenzia Stefano, c’è un bug del testo che, potenzialmente, espone tutti gli intermediari a responsabilità e provvedimenti per eventuali violazioni di copyright realizzate dagli utenti, oltre a non recepire l’esclusione di responsabilità degli intermediari prevista dalla direttiva 2000/31/CE (Commercio Elettronico) e, come osserva l’Associazione Italiana Internet Provider, la norma istituisce in pratica il Grande Fratello di Stato.
Aspettando Reef View
Con lo slogan Vivi le emozioni dei Giochi su Google Maps, Google lancia la versione olimpica di Street View:
Punto di forza di un sito web in 40 lingue dedicato alle Olimpiadi invernali di Vancouver 2010, il nuovo servizio offre informazioni sugli eventi e immagini ottenute immortalando i paesaggi e le piste di Whistler Mountain con la GoogleCamera montata su una motoslitta.
E così Google è arrivata anche sulle piste da sci. C’è da chiedersi quale sarà la prossima meta…
Così l’avrei fatto anch’io
Per gli appassionati di motori, e in particolare del mondo Mercedes, il nuovo spot della SLS AMG può essere esaltante e seducente, con buona pace dei ferraristi rimasti orfani di quel Michael Schumacher che – dopo anni trascorsi presso la scuderia del Cavallino Rampante, in veste di pilota prima e di consulente poi – da quest’anno sarà pilota e testimonial della stella a tre punte ed è protagonista di questa reclame:
Lo spot è stato giudicato da più parti provocatorio e l’effetto è sicuramente voluto e premeditato: non solo l’auto è rossa, ma l’ammiccante Schumacher, nelle immagini, sembra offrire una prestazione che lo mostra in formissima, un balzo in avanti rispetto alle condizioni fisiche rivelate al mondo la scorsa estate, quando annunciò di non poter correre a Valencia con la Ferrari. Lo spot vuole anche essere sensazionale, ma il punto è: Schumacher ha davvero fatto il giro della morte a bordo della SLS? No:
P.S.: Ok, la SLS sarà anche bellissima, ma provate a scendere dopo aver parcheggiato all’autosilo…
Mai fermarsi ai titoli delle news
Testate online e offline stanno dedicando spazio, in questi giorni, ai risultati di una ricerca condotta da alcuni psicologi della Leeds University e pubblicata su su Psychopathology sulle relazioni esistenti tra depressione e uso di Internet. Ecco alcuni titoli relativi alla notizia:
- Troppo Internet porta alla depressione (Corriere)
- Navigare troppo è causa di deprssione (Mr. Webmaster)
- Internet fa venire la depressione (DGmag)
Messa in questi termini, Internet viene descritta (e percepita da chi legge) come una minaccia. Tuttavia, andando alla fonte (ma anche leggendo il testo degli articoli), si comprende qualcosa di differente: i ricercatori britannici evidenziano come esistano persone che, nella propria vita, hanno sostituito una vita sociale fatta di rapporti personali in carne e ossa con interazioni basate sulla rete (instant messaging, chat, social network), offrendo una possibile conferma alla diffusa convinzione che “un uso smodato della rete a sostituzione di una socialità nella norma possa essere legato a disordini psicologici come depressione e dipendenza”.
Nell’ambito del campione analizzato, gli Internet-addicted (dipendenti da Internet) sono risultati pari all’1,2%, un valore preoccupante nella misura in cui, nel Regno Unito, i giocatori d’azzardo patologici sono lo 0,6%.
Lo studio è stato condotto su 1,319 cittadini britannici di età compresa tra 16 e 51 anni e, in conclusione, non definisce in modo univoco un rapporto di causa – effetto: in tutta la ricerca non c’è una risposta affermativa al dubbio sulla possibilità che Internet (causa) generi depressione (effetto), così come non chiarisce se chi soffra di depressione (causa) si sfoghi intrattenendosi maggiormente in rete (effetto).
Non che ne dubitassi, ma da qui a dire che Internet porta alla depressione, ce ne corre… Quindi, se vi capitasse di leggere qualche titolo simile a quelli sopra (o di sentire al TG che Internet vi porterà sul baratro), sappiate che la tara di questa notizia è molto grossa.
E poi come la mettiamo con chi dice esattamente il contrario?
Old news
In queste ore sta circolando in rete la notizia che alcuni ricercatori del Memory & Ageing Research Center dell’UCLA hanno condotto uno studio da cui emerge che effettuare ricerche in Internet stimola il cervello più della lettura di un libro. Finora ne hanno parlato (tra gli altri) ANSA, Rainews24, Key4biz, Libero News, che si sono premurati di precisare che la ricerca sarà pubblicata sul numero di febbraio de The American Journal of Geriatric Psychiatry.
A parte l’assurda roboanza di alcuni titoli (“Internet, meno Alzheimer con Google” – “Google sconfigge l’Alzheimer” e via di questa falcata), la notizia è stata riportata in modo sostanzialmente (e uniformemente) corretto dalle varie testate, che possono però essere rimproverate di superficialità e scarsa tempestività. Già, perché ora chi andrà loro a dire che la ricerca è del 2008 e che l’American Journal of Geriatric Psychiatry l’ha effettivamente pubblicata in febbraio, ma nel 2009?
Un esempio di condivisione creativa
“La cultura rappresenta uno dei più preziosi tra i beni comuni, che necessita di un’adeguata tutela contro ogni forma di diffusione abusiva e illegale.
Lo sviluppo di nuove tecnologie e l’avvento della multimedialità se da un lato costituiscono elementi di grande valore in una società moderna la cui economia è basata anche sul progresso e sull’innovazione tecnologica, dall’altro lato presentano numerose problematiche legate soprattutto alla difficoltà di delimitare il campo d’azione dell’utilizzo dei nuovi sistemi di veicolazione del prodotto culturale, in primis le reti internet“.
Si tratta di considerazioni formulate dal deputato Luca Barbareschi che, in data 11 febbraio 2009, presentò una proposta di legge con Disposizioni concernenti la diffusione telematica delle opere dell’ingegno e delega al Governo per la disciplina dell’istituzione di piattaforme telematiche nazionali. Un provvedimento finalizzato a rafforzare la tutela del diritto d’autore anche nel mondo digitale.
Inaspettatamente, nella prima puntata della trasmissione Barbareschi Sciok andata in onda su La7, il conduttore ha sfoggiato alcune battute tratte da Spinoza.it, senza però citarne la fonte e – dunque – facendole passare come proprie, lasciandosi alle spalle la tutela del diritto d’autore. Il fatto non è sfuggito agli interessati, che hanno protestato per le battute copiate. “Il nostro programma è crossmediale, punta a mettere insieme mezzi diversi» ha spiegato Barbareschi, definendo la trasmissione «un esempio di condivisone creativa».
Una scusa interessante, ma dubito che a scuola gliel’abbiano mai accettata.
Potrebbe anche essere stata una mossa studiata per aumentare la visibilità della sua trasmissione, del resto Barbareschi (che personalmente stimo più come attore che come showman) è sempre capace di stupire…
Anno nuovo, problemi vecchi
Nel giorno in cui il Presidente della Repubblica, nel pronunciare il consueto messaggio di fine anno, inaugurava il nuovo canale aperto dal Quirinale su YouTube (annunciato da un comunicato in cui ha trovato posto la massima “Le nuove tecnologie non conoscono né barriere né frontiere”), sulla Gazzetta Ufficiale veniva pubblicato il testo del decreto milleproroghe, nei cui 11 articoli e 77 commi il Governo ha rinviato una lunga teoria di scadenze come i termini per aderire allo scudo fiscale, quelli degli studi di settore e di altre misure di indirizzo fiscale, nonché i termini legati ai vincoli all’accesso ad Internet via WiFi definiti dalla Legge Pisanu (salvabile per alcuni aspetti, ma da rendere meno farraginosa).
Fermo restando che ora il milleproroghe seguirà l’iter parlamentare (nell’ambito del quale auspico qualche favorevole modifica), sono sempre dell’avviso che la normativa Pisanu rappresenti un esempio non certo positivo dell’approccio che le nostre istituzioni mostrano di avere verso Internet e la tecnologia. Fortunatamente, da qualche tempo, la Polizia delle Comunicazioni ha varato alcune procedure che hanno migliorato la situazione e introdotto agevolazioni sulle modalità di identificazione. Del resto, della necessità di agevolare l’accesso alla Rete e di una revisione della normativa ha parlato recentemente lo stesso Pisanu:
Non pensa che il decreto del 2005 sui punti Internet pubblici e in particolar modo sul Wi-Fi sia da modificare in senso meno restrittivo?
Ritengo di sì, tenendo conto, da un lato, che le esigenze di sicurezza sono nel frattempo mutate e, dall’altro, che l’accesso ad internet come agli altri benefici dello sviluppo tecnologico deve essere facilitato.
Ho sempre ritenuto, inoltre, che le briglie imposte dalla legge Pisanu tendessero a tutelare,per alcuni aspetti, il business dei grandi nomi del mercato italiano delle TLC e proprio per questo motivo, per il 2010, l’Italia avrebbe potuto cogliere l’occasione di lasciarsi alle spalle il problema pensando, appunt, ad una revisione. Tuttavia, per la proroga dei termini di questa normativa non trovo ci sia da strapparsi i capelli, non è una gran sorpresa – come scrive onestamente Dario Denni – ma soprattutto, allo stato attuale, non mi sembra così tragicamente deleteria come appare a coloro che la vedono come una muraglia a cui imputare il mancato decollo del libero accesso alla Rete.
Ritengo che le cause siano varie, una delle più importanti è l’immaturità digitale del nostro Paese e un dato di fatto riscontrato anche (ma non solo) dal sottoscritto è che l’opportunità di avere un accesso WiFi in un esercizio pubblico ha riscosso finora un tiepido interesse su più fronti. Nell’ambito della clientela di un esercizio, purtroppo gli utenti interessati a questo tipo di servizio rappresentano ancora oggi una minoranza e questo fattore non ne incentiva ne’ la domanda, ne’ l’offerta. Esiste inoltre un altro freno, non trascurabile, rappresentanto dalle pratiche burocratiche da espletare e dagli oneri che un esercente deve sostenere per offrire questi servizi. Per non parlare di certi esercenti che non doteranno mai il proprio locale di accesso WiFi perché non vedono di buon occhio un avventore che, dopo la consumazione, tiene occupato il tavolo perché si intrattiene a navigare con il proprio laptop (senza consumare altro e impedendo che quello stesso tavolo possa accogliere nuovi avventori e favorire nuove consumazioni).
Molto spesso chi propugna la massima libertà di accesso a Internet anche via WiFi cita l’esempio degli USA, dove questa tecnologia ha una maggiore diffusione, e di altri Paesi europei in cui non esistono restrizioni come quelle imposte in Italia. Ma non va dimenticato che ora anche oltreoceano si sta pensando ad una proposta di legge mirata proprio all’autenticazione degli utenti su Wifi con conservazione dei log e che – come rileva oggi Massimo Mantellini – ad eccezione dell’esempio francese (in cui c’è una certa diffusione di network attivati da alcuni operatori), nel Vecchio continente le reti WiFi sono scarsamente diffuse.
Io credo che si potrebbe puntare su altri obiettivi e uno potrebbe essere quello di favorire la connettività internet su rete mobile con piani tariffari flat più abbordabili per connessioni con tecnologie UMTS, HSPA e – inun futuro prossimo – LTE.
A reti unificate
Domani, 31 dicembre, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano terrà come di consueto il suo messaggio di fine anno, che sarà trasmesso dalle principali emittenti televisive. E, per la prima volta, anche attraverso il nuovo canale aperto dal Quirinale su YouTube e attivo proprio da domani.
Ci sono tutte le premesse perché parli della Rete in modo costruttivo e propositivo. Speriamo che le aspettative non rimangano disattese.
Da scoop a bufala in poche ore
Potenza della rete: il clamoroso scoop di TMZ, la foto che avrebbe potuto cambiare la storia, illustrata (con il supporto di esperti) come un momento di relax di John Fitzgerald Kennedy in barca con quattro donne nude negli anni ’50, è stato smascherato come bufala nel giro di poche ore.
Su The Smoking Gun i dettagli: la foto originale a colori, invecchiata con poca fatica prima di essere data in pasto a TMZ, faceva parte di un servizio pubblicato nel 1967 da Playboy.
Le Living Stories che ravvivano le news
Lucida e approfondita come sempre, la riflessione di Luca De Biase (Google, Murdoch, giornalismo e lingue biforcute) delinea un quadro abbastanza preciso delle evoluzioni che stanno toccando il mondo dell’informazione e al suo mercato.
In questo quadro in continuo cambiamento mi sembra si inserisca bene (anzi, critengo reerà ulteriore movimento) Living Stories, il nuovo progetto dei Google Labs (condotto in collaborazione con New York Times e Washington Post e aperto ad altri protagonisti dell’informazione) che vuole rivoluzionare l’approccio che gli utenti hanno verso le news:






