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Il bello deve ancora venire, il brutto è sulla porta

Con un tono tanto asettico quanto inquietante, WikiLeaks preannuncia novità di proporzioni sette volte superiori alle rivelazioni relative alla guerra in Iraq, talmente importanti che “nei prossimi mesi vedremo un mondo nuovo, in cui la storia globale sarà ridefinita”.

 
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Pubblicato da su 22 novembre 2010 in Internet, Life, Mondo, mumble mumble (pensieri), news, News da Internet

 

Non è un paese per giovani (aridaje)

Anche in questa occasione il titolo di questo post ha un retrogusto amaro, dovuto ad una questione tipicamente italica:

Agenzia per la sicurezza nucleare: c’è l’accordo su Veronesi presidente – La Stampa

L’Agenzia per la sicurezza nucleare riempie la prima casella, quella del presidente. L’oncologo Umberto Veronesi ha accettato «volentieri» di guidare la nascente struttura. Quasi in contemporanea è giunto il placet istituzionale: nel corso di una riunione al ministero dell’ Ambiente tra i ministri dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, e dello Sviluppo economico, Paolo Romani, è stata espressa «grande condivisione» sulla figura prescelta.

Non parlerò della scelta del Paese sul nucleare, ma sulla scelta di Umberto Veronesi, che non è una sorpresa, dato che se ne parla da mesi.

“Poi però non ci si strappi le vesti sulla fuga dei cervelli”, osserva puntualmente Stefano, ricordando che Umberto Veronesi a fine novembre avrà compiuto 85 anni. E questo è un aspetto da considerare per riflettere sul terzo di quei cinque punti fondamentali che Veronesi ha tenuto molto a chiarire all’indomani del dibattito nato lo scorso luglio luglio (nel primo punto ha assicurato le dimissioni dal Senato in caso di accettazione, per cui dovrebbe essere superfluo chiedergliele ora).

Nel Terzo punto Veronesi aveva scritto: “le mie competenze in qualità di Presidente sarebbero di coordinamento degli esperti in materia di nucleare (prevalentemente fisici), con una responsabilità diretta circa la sicurezza per la salute della popolazione”. Se interpreto correttamente questa posizione, Veronesi sarebbe dunque direttamente responsabile in caso si concretizzassero rischi per la salute.

Il punto è questo: andrà tutto benissimo e non servirà toccare legno, ferro e ogni altro oggetto di scaramanzia, ma questa premessa dice che Veronesi sarebbe ritenuto direttamente responsabile in caso si concretizzassero rischi per la salute. Ma considerando il tempo necessario all’iter di introduzione del nucleare, qualora si verificassero questi rischi, quali conseguenze potrebbero realmente essere addebitate ad un Veronesi per esempio novantenne, per essersi assunto le proprie responsabilità?

Per il resto comincio a condividere le perplessità espresse da qualcuno lo scorso luglio.

Post precedenti:

 

WikiLeaks protegge tutte le sue fonti. Anche finanziarie

La missione che WikiLeaks si è attribuita in questi anni – ma che ha conquistato notorietà globale solo dopo la pubblicazione del video Collateral Murder e di Afghan War Diary, 2004 – 2010 –  implica un paradosso: favorire la trasparenza senza praticarla per se’. Lo ha evidenziato ieri un articolo del Wall Street Journal, in cui si parla del massimo riserbo mantenuto sulle fonti e le reali entità dei finanziamenti su cui il sito può contare, a cui si è riusciti a risalire solo in modo molto superficiale, ossia fino al livello minimo consentito dall’intricato sistema di sostentamento impostato dal fondatore Julian Assange.

Presentandosi come un servizio pubblico multi-giurisdizionale progettato per proteggere informatori, giornalisti e attivisti in possesso di informazioni sensibili da comunicare al pubblico, WikiLeaks non raccoglie solamente informazioni di carattere militare, ma notizie confidenziali di vario interesse: fra quelle in lingua italiana vi si possono trovare ad esempio il famoso Rapporto Caio sulla situazione delle telecomunicazioni in Italia, la Richiesta d’Iscrizione ai Servizi Religiosi della Chiesa di Scientology, alcuni dettagli gestionali sul Comune di Mascali, la trascrizione di un incontro (con registrazione audio) in cui un assessore svela un accordo con i servizi segreti sulla possibilità di divulgare notizie sulla gestione dei rifiuti della propria regione.

Si tratta di informazioni generalmente coperte da segreto per la tutela di determinati interessi, portate alla luce del sole allo scopo dichiarato di favorire la democrazia e un miglior governo:

“Crediamo che la trasparenza nelle attività svolte dai governi porti ad una riduzione dei fenomeni di corruzione ridotto, a un governo migliore e a democrazie più forti. Tutti i governi possono beneficiare di un controllo maggiore da parte della comunità mondiale, così come da parte del loro stesso popolo. Crediamo che questa attività di controllo richieda informazioni.La storia insegna che l’informazione può essere molto costosa, in termini di vita umana e di diritti umani. Ma con i progressi tecnologici – Internet e la crittografia – i rischi legati alla divulgazione di informazioni importanti possono essere ridotti”.

Tutto questo comporta dei rischi e, come ha dichiarato Assange in un’intervista “è molto difficile gestire un’organizzazione costantemente spiata e messa sotto processo”. Per questo comprensibile motivo – e per cautelarsi dalle possibili conseguenze derivanti da eventuali ritorsioni attuate dai soggetti a cui vengono tolti determinati veli – WikiLeaks tutela in modo particolare la gestione delle informazioni relative alle proprie fonti di finanziamento.

A qualcuno – con alle spalle qualche anno in più del sottoscritto, o che conosce la storia – questa vicenda potrebbe apparire come la versione 2010 dei Pentagon Papers, un dossier formato da documentazione top secret raccolta da Daniel Ellsberg e pubblicata dal New York Times nel 1971, che svelò molti retroscena della guerra in Vietnam (una storia ripercorsa da un recente film – documentario), e in effetti WikiLeaks si dichiara allineato ai contenuti della storica sentenza espressa in quel caso dalla Corte Suprema degli Stati Uniti, che statuì: “solo una stampa libera e senza vinvoli può rivelare efficacemente l’inganno in un governo”.

Testate ritenute autorevoli che si occupano anche di giornalismo investigativo (anche il Washington Post non fa mistero della propria ostilità verso il sito fondato da Julian Assange) oggi sembrano profondere un certo impegno nel mettere WikiLeaks all’indice dell’opinione pubblica. Potrebbero invece orientare le proprie risorse nell’affiancare lo staff guidato da Julian Assange, anziché combatterlo: il frutto di questa collaborazione sarebbe la diffusione di informazioni con un notevole valore aggiunto, che gli stessi giornali potrebbero capitalizzare.

 
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Pubblicato da su 24 agosto 2010 in Inchieste, Internet, Life, media, Mondo, mumble mumble (pensieri), news

 

WarrantLeaks

Oggi per Julian Assange qualcuno ha staccato un biglietto di andata e ritorno per il nono cerchio dell’Inferno: dopo la diffusione della notizia che il numero uno di WikiLeaks era ricercato in Svezia per due differenti accuse (molestie e violenza sessuale), la stessa procura che aveva spiccato i due mandati di cattura li ha ritirati.

Difficile credere alla genuinità delle accuse mosse contro il fondatore del sito web che ha pubblicato i documenti segreti sulla guerra in Afghanistan riuniti nell’Afghan War Diary che il Pentagono voleva censurare. La notizia pubblicata dal tabloid svedese Expressen ha l’aria di essere parte di una campagna diffamatoria, che peraltro non sembra aver colto di sorpresa Julian Assange: nella pagina Twitter di WikiLeaks, infatti, è comparso un primo tweet con la frase “Ci avevano avvertito che avremmo dovuto aspettarci sporchi trucchi, ora ecco il primo” con il link  alla traduzione in inglese dell’articolo del giornale svedese. Assange, sempre via Twitter, ha poi dichiarato che “Le accuse sono senza fondamento e il loro rilascio in questo momento è profondamente inquietante”.

Curioso che la vicenda abbia avuto luogo proprio in Svezia: la scorsa settimana Assange, in una conferenza stampa tenuta a Stoccolma, ha ribadito l’intenzione di pubblicare altri 15 mila documenti militari confidenziali sulla guerra in Afghanistan. Alcuni giorni fa, Kristinn Hrafnsson di WikiLeaks ha confermato a France Presse l’intenzione dell’organizzazione di collaborare con la Difesa USA, con particolare riguardo ai nominativi contenuti nei documenti ancora da pubblicare, che potrebbero essere cancellati onde evitare rischi per la vita di quelle persone. Secondo la Hrafnsson, il Petnagono avrebbe “espresso la sua intenzione di aprire un dialogo al riguardo, hanno detto che sono pronti ad aprire una discussione”. Dagli USA è però giunta una smentita da parte del portavoce del ministero della Difesa Usa, Bryan Withman, che ha precisato “non siamo interessati a trattative volte a raggiungere un versione impersonale dei documenti classificati”.

I mandati di cattura verso Julian Assange sono arrivati poco dopo, ma sono stati revocati nel giro di poche ore. Bufala? Campanello d’allarme? Avvertimento? La vicenda sulla ubblicazione dei documenti confidenziali sulla guerra in Afghanistan non finisce certo qui.

 
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Pubblicato da su 21 agosto 2010 in Inchieste, Internet, Life, media, Mondo, mumble mumble (pensieri), news

 

Il Codice Azuni

Ha preso il via oggi – 4 agosto 2010 – l’iniziativa Codice Azuni varata dal ministro Renato Brunetta con lo scopo dichiarato di  favorire un dibattito nazionale e internazionale sul tema della governance di Internet, con un approccio “dal basso”, ispirato al metodo seguito dal giurista sardo Domenico Azuni che raccolse norme, costumi e consuetudini per costituire il Sistema universale dei principi del diritto marittimo d’Europa.

L’idea dovrebbe raccogliere idealmente la proposta lanciata nel 2007 da Vinton Cerf, in occasione dell’Internet Governance Forum allo scopo di aprire un primo dibattito sulla governance di Internet con contributi alla riflessione “sulle problematiche, sulle sfide e sulle opportunità che Internet pone”.

Stefano Quintarelli, che partecipa al tavolo di lavoro del progetto, spiega:

L‘idea è di iniziare a fare una raccolta di contributi dal basso per arrivare poi a una mappatura il più possibile sistematizzata dei problemi, le sfide che la rete pone, e delle opportunità che offre; successivamente come fece Azuni che raccolse le regolamentazioni di tutto il mondo, raccogliere le relative best practices regolamentari mondiali (o loro motivata assenza) e poi cecare di trarre da queste dei riferimenti regolamentari raccomandabili.

Questo primo dibattito (Codice Azuni beta) durerà un mese perché, verosimilmente, le argomentazioni raccolte saranno valutate per essere portate all’IGF che avrà luogo a metà settembre, ma l’iniziativa deve proseguire costruttivamente (e superare quindi la fase beta). Opinioni e contributi vengono raccolti attraverso una mailing list raggiungibile a questo indirizzo e pubblicati su http://mail.azunicode.it/pipermail/rfc/.

Come ha scritto Wolly, che ha realizzato il sito dell’iniziativa, “non lo so se è un operazione di facciata o se è una cosa seria, io propendo per la cosa seria e in ogni caso partecipare è un opportunità, viste le varie proposte di legge che si sono succedute negli anni”. Sottoscrivo, è per questo motivo che diffondo la notizia: il periodo di raccolta dei contributi coincide in pratica con il mese di agosto, intrinsecamente di scarsa attenzione per via delle vacanze estive, ma riuscire a far sentire la voce degli utenti sarebbe un bel goal.

Per governance non si deve intendere solamente un’imposizione legalizzata di muraglie, recinzioni, cancelli o strumenti di controllo: questa iniziativa potrebbe anzi essere un’occasione per trasmettere un orientamento opposto e far pensare a regole in ordine ai diritti degli utenti, alle pratiche applicate da operatori e altri fornitori di servizi, all’accesso ad Internet in banda larga (in Finlandia è un diritto riconosciuto dalla legge, in Italia stiamo ancora aspettando, nonostante una certa promessa formulata proprio del ministro Brunetta), al riconoscimento dei principi della neutralità della rete (in Cile è riconosciuta per legge, negli USA la FCC la sta promuovendo)…

 

Afghan Leakdown

Sono varie e contrastanti le conseguenze della pubblicazione di Afghan War Diary, 2004 – 2010 da parte di WikiLeaks e – a cascata – di New York Times, Guardian e Der Spiegel.

Da un lato c’è chi apprende nuove informazioni su ciò che sta accadendo in Afghanistan da sei anni a questa parte: è noto che ci sia una guerra in corso e che purtroppo durante le operazioni belliche possano verificarsi “errori”, meno nota è la loro entità e le reali conseguenze, dirette o indirette.

Dall’altra parte, chi sta conducendo questa guerra accusa WikiLeaks di aver commesso un atto che indebolisce la democrazia e di aver messo in pericolo altre persone (cosa che la guerra ha comunque già fatto). Posizione supportata anche da alcuni media (qui l’articolo del Washington Post che bolla Wikileaks come un’organizzazione criminale e auspica la sua eliminazione).

Limitarsi alle parole non è sufficiente, ma le autorità USA hanno cominciato a passare ai fatti e colto un’occasione propizia, prendendo la mira su Jacob Appelbaum, un collaboratore di WikiLeaks che – appena tornato negli USA dall’Olanda – ha subìto dagli ufficiali della dogana una perquisizione, un fermo con un interrogatorio mirato e il sequestro dei telefoni cellulari, ottenendo la promessa di subire il medesimo trattamento in occasioni analoghe. In seguito, un incontro con due persone presentatesi come agenti FBI.

Contromisura adottata da Wikileaks, verosimilmente approntata prima di questa vicenda, il file cifrato Insurance: 1,4 GB di informazioni riservate, pronte a fuoriuscire allargandosi a macchia d’olio qualora accadesse qualcosa a Julian Assange o alla stessa WikiLeaks. Linkato nella pagina web dell’Afghan War Diary, il file (molto più corposo di quanto già finora diffuso e pubblicato) è in circolazione sulle reti di condivisione Torrent e quindi disponibile per il download. In caso di switch-off forzato della piattaforma, un oceano di nuovi dati (in molteplice copia) è quindi pronto per essere diffuso anche senza il supporto di WikiLeaks. Basta una password.

 
 

War Diary, 100 Megabyte di rivelazioni

L’operazione messa a segno da WikiLeaks nelle scorse ore (rivelatrice di un mondo di informazioni top secret sulla guerra in Afghanistan) ha molte sfaccettuature: non solo si tratta di uno scoop senza precedenti, ma – come scrive il Guardian – offre realmente “un quadro devastante della fallimentare guerra in Afghanistan”, mettendo in evidenza situazioni ed eventi mai trapelati, tra cui attacchi operati dai Talebani e stragi civili sconosciute e taciute.

Oltre 90mila file (ai 75mila iniziali se ne sono aggiunti altri 15mila), oltre 100 MB di informazioni che, facendo il giro del mondo, offrono al mondo un diario che copre un periodo va dal 2004 al 2009, con il suo triste bilancio di vittime.

Ora le notizie ufficiali, diffuse a livello istituzionale, avranno un sapore incerto per molte più persone di un tempo ed è forse questo il risultato più dirompente dell’insolita azione di intelligence attuata da WikiLeaks, alle cui spalle – dal 2006 – c’è l’australiano Julian Assange, che a Der Spiegel ha dichiarato di voler far capire al mondo la brutalità e lo squallore delle guerra: “Questo archivio cambierà l’opinione pubblica e il modo di vedere le cose delle persone che ricoprono ruoli politici e diplomatici influenti”.

P.S. (leggendo il testo riportato nella figura): Sunday, July 26? Mah…

 
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Pubblicato da su 27 luglio 2010 in Internet, Life, media, Mondo, mumble mumble (pensieri), news

 

Google punta sui mouse

La profilazione degli utenti tramite le ricerche effettuate attraverso Internet potrebbe presto lasciare il posto ad un più innovativo metodo di analisi: Google ha infatti registrato un brevetto denominato “System and method for modulating search relevancy using pointer activity monitoring”, cioè “Sistema e metodo per modificare la pertinenza dei risultati della ricerca mediante ‘attività di monitoraggio del puntatore”, laddove per puntatore si intende un dispositivo di puntamento come mouse, trackball e affini.

Significa che a Mountain View hanno sviluppato un sistema che traccia ed elabora movimenti e click effettuati dall’utente con il mouse, interpretandoli per capire ad esempio quanto vale un contenuto pubblicato via web, non solo dal numero di click che ottiene – quando si tratta di un link – ma anche da quanto tempo, ad esempio, l’internauta lo punta letteralmente con il mouse, oppure se quel contenuto viene puntato, copiato o incollato.

Google avrebbe quindi sviluppato uno strumento per tentare di capire che tipo di attenzione riscuote ciò che è stato pubblicato su una pagina web e non è affatto inverosimile pensare che questo possa essere utilizzato, ancora una volta, per veicolare presso gli utenti i messaggi pubblicitari dei propri inserzionisti.

 
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Pubblicato da su 16 luglio 2010 in Buono a sapersi, computer, Internet, Life, Links, Mondo, mumble mumble (pensieri), news, tecnologia

 

Cosa cerca l’utente in Internet?

“Finalmente una classifica tecnologica nella quale noi italiani sappiamo farci valere” commenta Massimo Mantellini nell’esporre i numeri della ricercaThe State of Social Porn” pubblicata su Woork up da Antonio Lupetti.

Finalmente qualcosa in cui l’Italia può primeggiare, osserverà qualcuno…

 
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Pubblicato da su 25 giugno 2010 in Inchieste, Internet, Life, media, Mondo, mumble mumble (pensieri)

 

Apple punta sul social search

Mercati in fermento: dopo la scossa sul fronte dei produttori di device, con l’acquisizione di Palm da parte di HP, arriva quella data da Apple con l’acquisto di Siri:

Apple continued its migration into Google’s turf on Wednesday with the acquisition of Siri, a mobile application that allows users to perform Web searches by voice command on a cellphone.

Steve Jobs mostra dunque di condividere, parola per parola, l’opinione espressa da Robert Scoble un paio di mesi fa nel post “Why if you miss Siri you’ll miss the future of the Web”.

 
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Pubblicato da su 29 aprile 2010 in Internet, Life, Mondo, mumble mumble (pensieri), news, tecnologia

 

Posta certificata, attesa prolungata

Da un articolo pubblicato da il Sole 24 Ore:

Debutto col botto (con tanto di blackout informatico) per la posta elettronica certificata, Pec. Nei primi due giorni dall’avvio del servizio, 25mila persone hanno completato la fase di registrazione al portale del ministero necessaria a ottenere l’indirizzo email per comunicare con la Pubblica amministrazione.
Mediamente sono stati 20mila gli accessi orari registrati al portale per oltre 400mila contatti. Troppi, tanto che il sito postacertificata.gov.it si è bloccato per la seconda volta (era già accaduto il primo giorno utile per la registrazione).

Probabilmente è per questo motivo – e non semplicemente per un eccessivo numero di connessioni – che il portale www.postacertificata.gov.it non consente di registrarsi, presentando messaggi di errore – alternati alla richiesta di riprovare più tardi – anche durante le ore notturne.

UPDATE delle ore 23.50: attivabile e attivata

 
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Pubblicato da su 28 aprile 2010 in Internet, Mondo, mumble mumble (pensieri), news

 

Se Facebook sa dove trovarti

Entro alcune settimane, Facebook attiverà nuove opzioni di geolocalizzazione, che consentiranno agli utenti di condividere con gli amici (ma anche con gli amici degli amici, eccetera) la propria posizione.

Ovviamente questa opportunità ha senso per gli utenti in movimento, ossia che si connettono a Facebook via cellulare o con un netbook collegato su rete mobile o wireless.

Ovviamente è possibile che queste opzioni vengano utilizzate anche a scopo di marketing e advertising: comunicando la mia posizione, potrei ricevere pubblicità mirata su servizi o esercizi commerciali che si trovano nelle vicinanze, così come potrei essere monitorato insieme ad altre persone, consentendo di identificare una zona più popolata o trafficata rispetto ad altre. Che potrebbe essere evitata da chi non ama l’affollamento, oppure bombardata da chi cerca una location piena di persone a cui sottoporre una proposta pubblicitaria.

Insomma, i risvolti di questa novità possono essere molto interessanti, quanto noiosi e indesiderati. Io ve l’ho detto, voi regolatevi 😉

 
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Pubblicato da su 11 marzo 2010 in Internet, Life, mumble mumble (pensieri), news, privacy, social network

 

BUZZate e troverete aperto

Questo Buzz che si è infilato da un paio di giorni nel mio account Gmail mi ha subito dato l’impressione di essere un grande impiccione: in primis per l’invadenza con cui si è insinuato tra le feature della posta, poi per l’automatismo con cui – senza chiedermi nulla – ha selezionato alcuni dei miei contatti (seguendo un criterio alquanto discutibile) per seguirne gli aggiornamenti.

La stessa cosa è stata evidentemente fatta anche sui loro account, dal momento che mi ritrovo ad essere seguito – inconsapevolmente, ho scoperto – da altri utenti, per cui se ne deduce che – nel poco circoscritto mondo Gmail – le liste dei contatti di ognuno di noi sono aperte e raggiungibili da altri, senza che i titolari abbiano fornito alcun tipo di consenso.

Ora, io non capisco perché per Buzz non sia stato deciso di seguire la stessa filosofia seguita dagli altri competitor (FriendFeed, Facebook, Twitter), ma a scanso di equivoci ho azzerato la situazione (non seguo gli update di nessuno e ho bloccato i miei update verso i miei ignari follower). E finché non si sarà dimostrato più rispettoso verso la mia e l’altrui privacy, la mia posizione verso Buzz rimarrà questa:

 
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Pubblicato da su 12 febbraio 2010 in Internet, Life, Mondo, mumble mumble (pensieri), news, privacy, social network

 

Un esempio di condivisione creativa

“La cultura rappresenta uno dei più preziosi tra i beni comuni, che necessita di un’adeguata tutela contro ogni forma di diffusione abusiva e illegale.
Lo sviluppo di nuove tecnologie e l’avvento della multimedialità se da un lato costituiscono elementi di grande valore in una società moderna la cui economia è basata anche sul progresso e sull’innovazione tecnologica, dall’altro lato presentano numerose problematiche legate soprattutto alla difficoltà di delimitare il campo d’azione dell’utilizzo dei nuovi sistemi di veicolazione del prodotto culturale, in primis le reti internet“.

Si tratta di considerazioni formulate dal deputato Luca Barbareschi che, in data 11 febbraio 2009, presentò una proposta di legge con Disposizioni concernenti la diffusione telematica delle opere dell’ingegno e delega al Governo per la disciplina dell’istituzione di piattaforme telematiche nazionali. Un provvedimento finalizzato a rafforzare la tutela del diritto d’autore anche nel mondo digitale.

Inaspettatamente, nella prima puntata della trasmissione Barbareschi Sciok andata in onda su La7, il conduttore ha sfoggiato alcune battute tratte da Spinoza.it, senza però citarne la fonte e – dunque – facendole passare come proprie, lasciandosi alle spalle la tutela del diritto d’autore. Il fatto non è sfuggito agli interessati, che hanno protestato per le battute copiate. “Il nostro programma è crossmediale, punta a mettere insieme mezzi diversi» ha spiegato Barbareschi, definendo la trasmissione «un esempio di condivisone creativa».

Una scusa interessante, ma dubito che a scuola gliel’abbiano mai accettata.

Potrebbe anche essere stata una mossa studiata per aumentare la visibilità della sua trasmissione, del resto Barbareschi (che personalmente stimo più come attore che come showman) è sempre capace di stupire…

 
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Pubblicato da su 26 gennaio 2010 in media, mumble mumble (pensieri), news

 

Facebook, nuove regole per la privacy. O per il business?

Nella lettera aperta pubblicata oggi e destinata ai 350 milioni di utenti di Facebook, il suo fondatore Mark Zuckerberg spiega i motivi per cui – in nome della privacy e della sua salvaguardia – saranno eliminate le reti geografiche a cui gli iscritti oggi possono agganciare il proprio account, mentre nell’ambito dei profili-utente saranno perfezionate le opzioni sulle informazioni da rendere pubbliche.

Tanto per essere più chiari: un utente di Facebook può dire di appartenere ad un gruppo o ad una rete geografica (regione, nazione, continente). Se nelle impostazioni dell’account (che molti utenti toccano all’atto dell’iscrizione, senza più rivederle) ha acconsentito a condividere determinate informazioni ai membri della stessa rete, più questa rete è vasta (e popolata) e più le sue informazioni saranno diffuse, con il rischio che vengano condivise in modo incontrollato.

Il motivo dichiarato da Zuckerberg è semplice: Facebook è nato in un ambito universitario e pensato per un network molto più circoscritto del globo terrestre, quindi la sua crescita implica che, sui contenuti pubblicati, le possibilità di controllo debbano essere migliorate e affinate.
Come osserva Luca De Biase, il primo riflesso di questo update è che il social network dovrebbe guadagnare spontaneità:
Chi è consapevole della scarsa privacy che c’è su Facebook, tende a pubblicare in modo molto asettico e soltanto cose che possono essere pubbliche. Se invece si fosse davvero convinti che la privacy sarà mantenuta su quello che appare più personale, si potrebbe scrivere con maggiore spontaneità.
Il secondo riflesso – meno evidente, ma probabilmente più importante – è che questa spontaneità è manna per chi utilizza Facebook per svolgere indagini di mercato, attraverso la profilazione degli utenti, più facilmente bersagliabili con pubblicità mirata.

Condivido quanto evidenziato da Luca: non è un segreto, infatti, che Facebook – proprio per la sua vastità – costituisca un eccezionale campione statistico di pronto utilizzo. E non è tutto: ciò che viene pubblicato – proprio in funzione dell’aggancio tra profili-utente e reti, gruppi, pagine pubbliche e via discorrendo – è inoltre appetito dai motori di ricerca: anch’essi si sostengono grazie all’advertising, e c’è chi – come Cuil – ha addirittura intrecciato un legame proprio con il più affollato social network del mondo. Ma anche Google, che ad oggi è il leader del mercato, in questa corsa al social networking non sta certo a guardare.

Per questo motivo, senza criminalizzare alcun sito web e tantomeno Facebook, che è uno strumento che – se usato con buon senso – può essere utile e divertente, vale sempre il suggerimento: è un social network, condividere con prudenza.