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Obama vieta Facebook alle figlie (e allora? Fa bene)

La notizia del divieto di iscrizione a Facebook  deciso da Barack Obama per le proprie due figlie mi sembra un argomento abbondantemente sopravvalutato dai media.

In primo luogo perché la figlia minore – che ha dieci anni – non potrebbe nemmeno iscriversi, dato che Facebook, nel rispetto della legge federale, impone il requisito dell’età minima di tredici anni compiuti. Certo, questo limite può essere aggirato semplicemente dichiarando il falso (e da una ricerca al riguardo è emerso che più della metà dei minori di tredici anni che si sono iscritti lo hanno fatto con la collaborazione dei genitori), ma dalla famiglia del Presidente degli Stati Uniti è lecito attendersi un comportamento esemplare, ossia di esempio.

In secondo luogo, credo che dalla famiglia del Presidente degli Stati Uniti sia semplicemente ovvio attendersi una certa cautela in materia di condivisione di informazioni personali. Non penso al rapporto tra utilizzo di Facebook e rendimento scolastico (da un recente studio di Reynold Junco emerge infatti che utilizzano il social network per condividere informazioni e relazionarsi con altre persone ottengono risultati migliori di coloro che si limitano ad aggiornare il proprio status), ma alle verosimili implicazioni in materia di sicurezza: evitare la pubblicazione di commenti e foto che riguardano vita privata, spostamenti, incontri e altri avvenimenti (che potrebbero avere risvolti non immediatamente percepibili) è semplicemente saggio, dal momento che ci sono dei rischi anche laddove i genitori esercitano un controllo.

In realtà la notizia sembra avere un altro obiettivo. Perché renderla “notizia”, ossia perché Barack Obama ha voluto rendere pubblico il fatto di aver impedito alle proprie figlie di iscriversi a Facebook? Io credo abbia voluto trasmettere un messaggio, diretto ai genitori americani e non, una sorta di esortazione all’educazione alla responsabilità e alla consapevolezza. C’è anche la possibilità che abbia voluto trasmettere un’immagine di rigore da buon padre di famiglia, che può solo giovare In questa notizia non serve spingersi a leggere una doppia morale: è vero che Obama, sia durante che dopo la sua campagna elettorale, ha sempre fatto largo uso di Internet e dei social network come strumento di comunicazione per raggiungere anche la popolazione più attenta alle nuove tecnologie, ma questo non significa l’inesistenza di limiti ragionevoli entro i quali muoversi.

 
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Pubblicato da su 19 dicembre 2011 in Internet, news, privacy, social network

 

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Faccia da Google

Nella competizione tra Facebook e Google+ c’è sempre da aspettarsi qualche novità, anche se il primo – nato sette anni fa, al momento giusto – è difficilmente raggiungibile nel campo dei social network generalisti (ossia non orientati ad una particolare fascia di mercato). Il secondo, comunque, ha un enorme margine di crescita e studia ogni occasione per conquistare utenti. L’ultima novità si chiama Find my face (trova la mia faccia) e permette ad un utente di trovare, nelle cerchie del social network, le foto che lo ritraggono. Guardando più in là del proprio naso (e avendo già superato quello di Facebook, che aveva introdotto la stessa funzione inaspettatamente senza pensare alla privacy degli utenti), Google ha pensato bene di mantenere questa opzione disabilitata per default.

 
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Pubblicato da su 12 dicembre 2011 in Internet, news, News da Internet, privacy, social network

 

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Londra, tutti i cellulari sotto controllo

Quando entrate nell’area metropolitana di Londra, se siete persone attente alla privacy, tenete sempre presente che Scotland Yard è in grado di localizzare, monitorare, intercettare e disabilitare tutti i telefoni cellulari attivi nella propria giurisdizione e che non c’è nessun cartello di preavviso:

Londra, cellulari sotto il controllo di Scotland Yard – The New Blog Times

In capo al Metropolitan Police Service di Londra, meglio noto con il nome della sede di Scotland Yard di Westminster, sta piombando una vera e propria accusa di violazione della privacy, da quando si è scoperto che è in grado di esercitare un controllo pressoché totale sui cellulari attivi nella propria giurisdizione.

 

 
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Pubblicato da su 4 novembre 2011 in Buono a sapersi, cellulari & smartphone, news, privacy, tecnologia, telefonia, TLC

 

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Questo volto non mi è nuovo…

Prendere la fotografia di un illustre sconosciuto, farla esaminare ad un software e ottenere la sua identità in pochi minuti. Fantascienza? Roba da CSI? Niente affatto: il software si chiama PittPatt ed è nato anni fa nell’Heinz College della Carnegie Mellon University, ma oggi è parte di un gruppo il cui nome è noto a chiunque conosca il web (continua a leggere su The New Blog Times)

 
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Pubblicato da su 7 ottobre 2011 in business, Internet, Mondo, mumble mumble (pensieri), news, News da Internet, privacy, security, social network

 

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La spia nel palmo della mano

Si stava meglio quando si stava peggio: quando si diffuse la notizia della memorizzazione frequente e costante, a bordo di iPhone e iPad, della posizione dell’utente in un file non criptato e accessibile senza troppi artifici, molti puntarono il dito contro Apple, accusandola di spiare gli utenti. Poi si è scoperto che anche Google ha inserito in Android una funzione analoga, e allora tutti a dare degli spioni anche a loro, e ad interrogarsi su chi giocasse sporco.

Sta’ a vedere – mi ha detto un giorno un amico – che l’unica a salvarsi da queste accuse è Microsoft… su Windows Phone non si sono mai sentite ‘ste cose“. Adesso sì.

 

 
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Pubblicato da su 28 settembre 2011 in business, cellulari & smartphone, Internet, Life, Mondo, news, News da Internet, privacy, security

 

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Facebook, la concorrenza spinge al miglioramento

Benché la concorrenza (Google+  in primis) sia ancora distante da Facebook (e questo gap non sia facile da superare), il social network guidato da Mark Zuckerberg percepisce sul proprio collo il fiato degli inseguitori. Lo dimostrano le nuove evoluzioni sulle modalità di condivisione dei contenuti e silla privacy.

 
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Pubblicato da su 24 agosto 2011 in business, Internet, news, News da Internet, privacy, social network

 

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C’è poca privacy in quelle cerchie

Dite pure che sono all’antica, ma le Norme sulla privacy di Google+ a me sembrano un po’ nebulose e i punti che lasciano scoperti rappresentano problemi non trascurabili. Essendo però un inguaribile ottimista sono convinto che da Mountain View presto affronteranno queste problematiche e sistemeranno tutto, prima che le cerchie si trasformino in gironi.

 
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Pubblicato da su 12 luglio 2011 in Internet, Life, news, News da Internet, privacy, security, social network

 

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Riconoscimento facciale su Facebook? No, grazie!

Non so bene cosa pensare della nuova funzionalità di riconoscimento facciale introdotta da Facebook, ma istintivamente non mi piace: nel dubbio, a salvaguardia della privacy, mi permetto di suggerire a tutti di modificare un’impostazione del proprio account, gentilmente attivata per default.

Da Facebook, selezionare Account (in alto, sulla destra) e cliccare Impostazioni privacy, poi Personalizza impostazioni. Scendere fino Suggerisci agli amici le foto in cui ci sono io, cliccare il pulsante Modifica le impostazioni e selezionare NO, come nelle figura riportata sotto (click per ingrandire)

 
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Pubblicato da su 9 giugno 2011 in business, Internet, Life, Mondo, News da Internet, privacy, security, social network, tecnologia

 

Nosy network (Facebook spia, ma gli utenti si espongono troppo)

A chi segue con un minimo di attenzione ciò che accade nel mondo e nella Rete, non servivano le dichiarazioni di Julian Assange per comprendere le potenzialità di Facebook come macchina di spionaggio: il database di informazioni personale è ricchissimo, ma ognuno di noi può scegliere di non iscriversi, oppure di farlo senza condividere informazioni personali, di registrarsi e selezionare con attenzione cosa condividere e cosa tenere per se’, o addirittura di eleggere il social network a diario personale, registrandovi vita, morte e miracoli.

In tutte queste opzioni non c’è davvero nulla di male: il male risiede ovviamente altrove, nelle intenzioni e negli obiettivi di chi potrebbe fare un uso non corretto, fraudolento, disonesto o morboso delle informazioni altrui, ed è per questo motivo che è necessario fare attenzione a ciò che si rende pubblico della propria vita privata.

Al netto delle considerazioni di Assange, disponibili nell’intervista da lui rilasciata a Russia Today , e degli ovviamente prevedibili disclaimer di Mark Zuckerberg – a cui conviene evidenziare la non pericolosità del social network che permette a lui e soci di campare più che dignitosamente – non si può non ricordare quanto rilevato tre anni or sono da Tom Hodgkinson sul Guardian in merito a chi effettivamente sostiene il business legato al network di cui Zuckerberg rivendica la paternità.

Oltre al finanziere Peter Thiel, ricorda l’autore dell’articolo, nel board dell’azienda che è alle spalle di Facebook siede anche Jim Breyer, che ha contribuito a finanziare il business con oltre 12 milioni di dollari. Uno dei contributi più significativi (27,5 milioni di dollari) proviene però dalla Greylock Venture Capital, il cui Advisory Partner Howard Cox figura anche nel team di direzione di In-Q-Tel, organizzazione la cui mission viene ostentata già dalla homepage del relativo sito web:

In-Q-Tel identifies, adapts and delivers innovative technology solutions to support the missions of the Central Intelligence Agency and the broader U.S. Intelligence Community.

Comprendendo che Central Intelligence Agency è l’acronimo di CIA e che si parla della più ampia U.S. Intelligence Community, potremmo dedurre l’esistenza di una sorta di legame, seppur non diretto ed esplicito, con i servizi di intelligence americani e concludere che, forse, dietro al business ufficiale del social network più grande del mondo si potrebbero nascondere altri occhi e altre orecchie.

Consideriamo però che, prima di tutto, dovrebbe essere il buon senso a suggerirci di muoverci ovunque, nel mondo reale come in Rete, con la dovuta cautela e senza dimenticare ciò che ci viene offerto al di fuori di Facebook: dai servizi di geolocalizzazione a Google e alla pubblicità contestuale, le dimostrazioni di una privacy sempre più difficile da difendere non mancano.

Il problema nasce – come molte altre cose – fuori dalla Rete: quanti di noi si sono mai fermati a pensare che alcuni momenti della nostra vita possono essere tracciati quotidianamente, ad esempio attraverso l’utilizzo delle carte fedeltà del supermercato, che consentono all’utente di accedere a sconti e promozioni, mentre chi le ha emesse può accede a una serie di preziose informazioni sulle abitudini di spesa degli utenti registrati?

L’aspetto “privacy fuori dal web”, che potrebbe apparire una divagazione, è invece molto pertinente al tema della spiabilità degli utenti di Facebook e di altri servizi disponibili via Internet: dal punto di vista dell’utente, si tratta pur sempre di informazioni condivise con altre persone, non sempre conosciute, ed è una condivisione che ha luogo a motivo di una scelta ben precisa, operata più o meno consapevolmente.

Talvolta, pertanto, prima di puntare il dito contro uno spione, sarebbe opportuno capire se non si è confidato qualcosa di troppo a chi non lo meritava, riflettere sulle conseguenze delle proprie scelte e, nel caso dei social network o di altre innovazioni che caratterizzano il cosiddetto web 2.0, capire cosa valga realmente la pena condividere con altri (dagli amici al mondo intero) e cosa sia meglio mantenere in un ambito più riservato.

[pubblicato oggi dal sottoscritto su The New Blog Times]

 
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Pubblicato da su 6 Maggio 2011 in Buono a sapersi, Internet, Life, mumble mumble (pensieri), news, News da Internet, privacy, security, social network, tecnologia

 

Smartphone spia?

Per impegni personali e di lavoro sono stato un po’ fuori dal blog, ma dal momento che qualcuno mi chiede informazioni sulla vicenda dgli smartphone che geolocalizzano gli utenti, ecco un riassunto indicativo e non esaustivo delle puntate precedenti:

  • Due esperti di sicurezza –  Pete Warden e Alasdair Allan – hanno scoperto e svelato al mondo che dentro iOS, il sistema operativo di iPhone e iPad, c’è un file non criptato denominato consolidated.db che contiene un database SQLite in cui sono memorizzate le coordinate geografiche in cui si è mosso il dispositivo. In pratica, c’è la storia dei movimenti dell’utente che possiede un iPhone o un iPad.
  • Il file – a detta di Steve Jobs – non viene trasmesso ad Apple, ma la memorizzazione è sempre attiva, anche se l’utente disattiva le funzioni di localizzazione.
  • Molti utenti e addetti ai lavori vogliono vederci chiaro e hanno denunciato Apple nella quale minacciando una class action e, già che ci sono, intendono chiedere un risarcimento danni per non avere ricevuto un’adeguata informazione preventiva; nel frattempo, dal Senato USA, una commissione ha fissato un’audizione per il 10 maggio, chiedendo chiarimenti ad Apple e Google (visto che l’argomento tocca anche il gruppo di Mountain View).
Il seguito alla prossima puntata.
 
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Pubblicato da su 26 aprile 2011 in cellulari & smartphone, Inchieste, Internet, Life, Mondo, mumble mumble (pensieri), news, News da Internet, privacy, security, social network, tecnologia, telefonia

 

WiFi, verso la liberalizzazione

La prospettiva di entrare nel prossimo anno con una normativa sul WiFi diversa da quella attuale potrebbe concretizzarsi davvero: Roberto Maroni, Ministro dell’Interno, venerdì scorso ha dichiarato che dal 1° gennaio 2011l’accesso al WiFi pubblico sarà liberalizzato, annunciando il primo passo di un cammino che potrà portare l’Italia a raggiungere – in materia di accesso alla Rete – una disciplina analoga a quella adottata da altri Paesi. In realtà, tutto dipenderà da come proseguirà questo cammino, perché le parole del ministro sono state confortanti, ma non esaustive.

Una nota del Governo informa che “Il Consiglio dei Ministri del 5 novembre 2010 ha approvato un decreto-legge recante misure urgenti in materia di sicurezza, in particolar modo, nelle città e durante le manifestazioni sportive. Il provvedimento inoltre rimuove le restrizioni in materia di accesso alla rete Wi.Fi”. Le ultime due righe del comunicato, che descrive gli ambiti di applicazione del nuovo provvedimento, spiegano: “Infine, pur mantenendo adeguati standard di sicurezza, è previsto il superamento delle restrizioni al libero accesso alla rete WiFi“.

La disciplina dell’accesso alle reti WiFi è contenuta nell’articolo 7 della norma antiterrorismo conosciuta come Decreto Pisanu (poi convertito in legge), che stabilisce l’obbligo – per tutti i soggetti interessati ad offrire un servizio di connettività wireless – di identificazione degli utenti mediante documento di identità e al mantenimento dei log di navigazione. La norma prevede inoltre che il titolare dell’attività che attiva questo servizio debba inoltrare alla questura la richiesta di un’apposita licenza e solamente per questo obbligo era stata fissata una scadenza, definita in prima istanza al 31 dicembre 2007, successivamente prorogata fino all’anno in corso.

In attesa di conoscere i contenuti del decreto legge approvato venerdì scorso, si possono formulare soltanto delle supposizioni: se l’obiettivo del governo fosse quello di non procedere con una proroga al 2011 degli effetti del decreto Pisanu, rimarrebbe in vigore l’obbligo di identificazione con un documento di identità. Per eliminare questa restrizione non sarebbe dunque sufficiente escludere la norma dal decreto milleproroghe (come avvenuto negli ultimi anni), ma si renderebbe necessario un provvedimento che andasse ad abrogare l’articolo 7. Il requisito dell’identificabilità dell’utente potrebbe essere mantenuto solo con nuove disposizioni che – orientate al superamento delle restrizioni oggi in vigore – dovrebbero prevedere l’introduzione di altre forme di tracciabilità.

La spiegazione data dal ministro Maroni preannuncia un percorso in questa direzione: “Per contemperare l’esigenza della libera diffusione del WiFi e quella della sicurezza, valuteremo quali siano gli adeguati standard di sicurezza e dal primo gennaio i cittadini saranno liberi di collegarsi ai sistemi WiFi senza le restrizioni introdotte cinque anni fa e che oggi sono superate dall’evoluzione tecnologica”. Significa che la navigazione degli utenti dotati di laptop, netbook, tablet e smartphone potrà essere tracciata con altri criteri, auspicabilmente rispettosi del diritto alla privacy di ognuno, definiti verosimilmente in un nuovo disegno di legge.

Il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, in seguito alle dichiarazioni liberalizzatrici del ministro Maroni, ha espresso preoccupazione sulla possibilità di tracciare elementi utili ad individuare 16mila reati (le fattispecie finora identificate dalla Polizia Postale), ma contemporaneamente ha dichiarato di ritenere “giusto che un tavolo tecnico in tempi rapidissimi lavori per trovare un punto onorevole di mediazione tra sicurezza e libertà”.

Resta dunque da capire quanto queste forme di controllo possano realmente esprimere efficacia nel reprimere obiettivi terroristici o criminali. Non è evidentemente efficace l’obbligo di identificazione attraverso un documento: un malvivente o un terrorista potrebbe presentare una carta d’identità fasulla, non immediatamente verificabile, con buona pace di chi ha visto nell’articolo 7 del Decreto Pisanu una misura antiterroristica applicabile ad un ambito tecnologico. Ne consegue che chi fa parte di un’organizzazione terroristica o criminale, o ha comunque un’adeguata competenza, può eludere o rendere inefficaci gli strumenti di controllo che lo dovrebbero bloccare.

E forse è proprio con questa consapevolezza che il ministro Maroni, la scorsa settimana, si è confrontrato su questi temi con il responsabile antiterrorismo israeliano in occasione di Israel HLS STOP, la prima conferenza internazionale su politiche ed operatività delle tecnologie di sicurezza. L’evento si è svolto a Tel Aviv presso l’Hotel Dan Panorama, che tra i vari servizi offerti ai clienti consente l’accesso a Internet con WiFi, così come moltissimi altri alberghi e caffé, nonché aree pubbliche di una città che può essere considerata il principale centro economico di un Paese che, con il terrorismo, convive purtroppo da molto tempo e che ha accantonato – in questo ambito tecnologico – la schedatura degli utenti, proprio perché ritenuta una soluzione non efficace.

Ma era proprio necessario cercare un conforto consulenziale ad Israele in merito a questo argomento? Probabilmente no: anche in Italia operano esperti in grado di rispondere alle esigenze legate alle problematiche della sicurezza dell’accesso ad Internet. Sarebbe stato sufficiente avere il loro supporto qualche anno fa per comprendere l’esistenza della possibilità di penetrare in una rete WiFi protetta e la scarsa utilità delle misure previste dal Decreto Pisanu. Oggi potrebbero spiegare al ministro che esistono metodi per navigare in mobilità in modo anonimo anche su reti UMTS.

Ben venga, comunque, l’obiettivo di superare le restrizioni oggi previste per l’accesso alle reti WiFi. Ma non si cada nell’errore di vedere in questa iniziativa la possibilità di far decollare l’accesso a Internet in Italia: il digital divide, come fenomeno tecnologico e culturale, esiste ancora.

[pubblicato alle 00:00 di oggi su The New Blog Times]

 
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Pubblicato da su 8 novembre 2010 in Internet, Ipse Dixit, Life, Links, Mondo, news, News da Internet, privacy, security, tecnologia

 

Le parole sono importanti. Come il WiFi libero

Qualcuno la reputa la notizia del giorno, ma credo sia necessario aspettare: la vera notizia arriverà tra qualche settimana.

Dopo la sua recente visita in Israele, ha detto ancora Maroni, nel corso della quale ha incontrato il responsabile dell’antiterrorismo di Gerusalemme, “ho valutato che si possa procedere all’abolizione delle restrizioni del decreto Pisanu, che scade il 31 dicembre, e dal 1 gennaio introduciamo la liberalizzazione dei collegamenti wi-fi attraverso gli smartphone”. “Da qui a dicembre -ha concluso Maroni- valuteremo quali siano gli adeguati standard di sicurezza e dal 1 gennaio i cittadini saranno liberi di collegarsi ai sistemi wi-fi senza le restrizioni introdotte 5 anni fa e che oggi sono superate dall’evoluzione tecnologica”.

A parte il fatto che l’accesso libero al WiFi non si fa solo tramite smartphone (approssimazione o assurdità? per ora non alzerò il sopracciglio), non c’è nessun motivo per festeggiare. Il ministro Maroni non ha ancora detto nulla sulle misure di sicurezza che saranno introdotte in luogo dell’articolo 7 del Decreto Pisanu: per ora si sa solo che potrebbe non essere più necessaria l’identificazione dell’utente con un documento di identità.

E’ la conclusione più ovvia che si può trarre dalle parole del ministro e dalla frase “pur mantenendo adeguati standard di sicurezza, è previsto il superamento delle restrizioni al libero accesso alla rete WiFi” che si trova nel comunicato stampa diffuso oggi da Palazzo chigi.

Di questi fatti e della prospettiva dell’introduzione di forme di tracciabilità, parlerò più diffusamente lunedì su The New Blog Times.

Per ora buon week-end.

 
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Pubblicato da su 5 novembre 2010 in cellulari & smartphone, computer, Internet, Life, Mondo, news, News da Internet, privacy, security, tecnologia

 

Ma chi ci spia davvero su Facebook?

Ha suscitato scalpore la notizia esclusiva riferita dall’edizione online de L’Espresso e relativa ad un accordo siglato tra Facebook e la Polizia delle Comunicazioni che – primo caso tra gli organismi di pubblica sicurezza in Europa – le consentirebbe di effettuare controlli approfonditi sugli utenti del social network senza dover chiedere nulla alla magistratura. Notizia che, però, è stata vigorosamente smentita dai vertici della stessa Polizia Postale.

In virtù dell’accordo, agli investigatori italiani sarebbe stata dunque concessa una “corsia preferenziale” utilizzabile “soprattutto nella lotta alla pedopornografia, al phishing e alle truffe telematiche, ma anche per evitare inconvenienti ai personaggi pubblici i cui profili vengono creati a loro insaputa”. Obiettivi conseguibili operando – secondo l’articolo – in deroga alle normative che prevedono l’applicazione e il rispetto un iter autorizzativo, come la Protezione Civile per le operazioni di emergenza.

Alla legittimità degli intenti anticrimine di questa iniziativa si contrappongono però alcune condivisibili perplessità, altrettanto legittime: innanzitutto – se l’indiscrezione corrispondesse a verità – sarebbe opportuno capire entro quali confini si potrebbe muovere la Polizia. Va da se’ che l’utilità dell’analisi di un profilo si potrebbe spingere a tutto, dagli status update (incluse le informazioni di geolocalizzazione), alle foto, fino alla cronologia delle chat, configurando un’attività di perquisizione e intercettazione di contenuti digitali paragonabile a quella svolta dalla Polizia sulle intercettazioni telefoniche autorizzate dalla magistratura,  che il Governo da tempo cerca di arginare.

Decisa la smentita del direttore centrale della Polizia Postale Antonio Apruzzese: “Figuriamoci se la polizia si mette a spiare i navigatori di Facebook. Quando la polizia postale o altri organi (Carabinieri, GdF ecc ecc.) nel condurre una indagine si trovano ad intercettare comunicazioni su Facebook, si muovono sempre con l’autorizzazione della magistratura. Anche perché nel caso contrario tutto ciò che si fa non avrebbe alcun valore processuale. Anzi se violassimo la rete senza autorizzazione della magistratura commetteremmo un reato penale“.

Apruzzese puntualizza: “Ai primi di ottobre sono venuti in Italia, dopo lunghe trattative e contatti i responsabili di Facebook al massimo livello accompagnati anche dai loro legali e hanno illustrato le procedure per chiedere ed ottenere l’accesso alla rete per vicende di polizia giudiziaria e, soprattutto per quali casi, in base alla legislazione anglosassone, si possono concedere le autorizzazioni. Hanno spiegato punto su punto, abbiamo stilato le linee guida e girato le direttive a tutti gli organismi di polizia italiana“.

Un incontro durato due giorni, a cui la stampa italiana aveva dato ampia pubblicità e che si era svolto in Italia, con una spedizione proveniente da Palo Alto. In una delle tante note riportate dalle agenzie di stampa il 7 ottobre si leggeva infatti:

A conclusione della due giorni sono state definite le “linee guida” che regoleranno i rapporti tecnico-operativi fra la Polizia Italiana e l’azienda statunitense con particolare attenzione agli aspetti di prevenzione e riduzione degli illeciti commessi online. Il documento riflette l’ottimo rapporto di collaborazione da tempo in atto tra il Servizio Polizia Postale e delle Comunicazioni e i responsabili di Facebook e potrebbe divenire a breve uno standard internazionale. Infatti, unico del suo genere, costituisce una importante innovazione nei rapporti di cooperazione internazionale tra rappresentanti del settore pubblico e privato.

L’articolo esclusivo de L’Espresso potrebbe quindi essere una libera interpretazione di quell’incontro (e questo è ciò che la smentita di Apruzzese induce a credere), oppure il resoconto di un seguito più riservato, con un nuovo incontro tenutosi a Palo Alto, su cui però non esistono ulteriori conferme.

Ciò che è certo è che, per l’ennesima volta, si parla di problemi di privacy in ordine a Facebook, che cadono appena qualche ora dopo la rivelazione di quei 6600 dollari “investiti” dall’azienda per portare a cena rappresentanti della maggioranza politica californiana e convincerli ad abbattere un disegno di legge sulla riservatezza, e qualche giorno dopo la scoperta che la piattaforma ospita da tempo applicazioni-colabrodo che diffondono dati personali a beneficio del mondo del marketing e all’insaputa dell’utente. A questo punto, per chi ancora non ha pensato all’opportunità di gestire in modo opportuno il proprio profilo su un social network, s’impone una seria riflessione.

[oggi su The New Blog Times]

 
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Pubblicato da su 29 ottobre 2010 in curiosità, Internet, Life, Mondo, news, News da Internet, privacy, security, social network, tecnologia

 

La procura di Roma apre un fascicolo su Street View

Reuters riferisce:

La Procura di Roma ha aperto un fascicolo su Google Street View, il sistema che consente di visionare dal proprio computer strade e luoghi in molte parti del mondo, per stabilire se violi la privacy. Lo riferiscono fonti giudiziarie.

Il fascicolo, per ora contro ignoti, ipotizza il reato di violazione della privacy, ed è stato aperto in seguito a una comunicazione del Garante per la privacy, che si è occupato della questione nei giorni scorsi, su eventi sensibili che sarebbero stati captati su reti wi-fi.

Google è rappresentato dagli avvocati Giuliano Pisapia e Giulia Bongiorno.

 

 
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Pubblicato da su 27 ottobre 2010 in Internet, Life, news, News da Internet, privacy, security, tecnologia