![twitter-integration[1]](https://blog.dariobonacina.net/wp-content/uploads/2015/02/twitter-integration1.jpg?w=300&h=205)
Accordo siglato tra Twitter e Google: Bloomberg News lo rivela prima della sua ufficializzazione spiegando che presto i tweet potranno comparire tra i risultati delle ricerche effettuate attraverso Google. La visualizzazione potrà avvenire as soon as they’re posted, quindi subito dopo la pubblicazione.
La partnership ripete una collaborazione già aperta nel 2009 e chiusa per insoddisfazione due anni dopo, mirata a veicolare i messaggi anche al di fuori da Twitter e che, a seconda dei punti di vista, per i risultati ottenuti nelle ricerche potrebbe essere sia una contaminazione che un arricchimento. Dal mio punto di vista non arricchiranno niente, solo Twitter, che verrà pagato da Google per l’accesso al database.
Tag: accordo, collaborazione, google, ricerche, twitter
![social-google-plus-square-button_318-25250[1]](https://blog.dariobonacina.net/wp-content/uploads/2015/01/social-google-plus-square-button_318-252501.jpg?w=150&h=150)
2,2 miliardi di utenti iscritti, oltre un miliardo di utenti attivi. Sono i numeri che Google snocciola per il suo social network Google+ (Google Plus) che – secondo un’analisi condotta dall’utente Edward Morbius e rilanciata da molte testate – potrebbe invece vantare solamente sei milioni di utenti realmente attivi.
In breve: dei 2,2 miliardi di iscritti, solamente il 9% avrebbe condiviso un contenuto pubblico sulla piattaforma. Di quel 9%, solamente il 6% avrebbe pubblicato qualcosa nel 2015. Metà di queste pubblicazioni sarebbero in realtà commenti a video pubblicati su YouTube, mentre la rimanente metà sarebbe per Morbius il volume di utenti effettivamente attivi del social network. In quest’ottica, ottimisticamente, non si andrebbe oltre i sei milioni.
L’analisi è dichiaratamente superficiale (non considera commenti o post di tipo non-public), ma l’autore la ritiene abbastanza indicativa dell’ordine di grandezza del volume di utenti.
In realtà l’insieme degli utenti reali di Google+ è un’entità particolarmente difficile da quantificare, dal momento che esiste un profilo Google+ pronto (e spesso attivato inconsapevolmente) per ogni utente di ogni servizio Google, a partire da Gmail. Consideriamo inoltre che ogni utente Android – per sfruttare il marketplace Google Play Store – deve possedere un account Gmail e viene garbatamente invitato a far parte di Google+ (memtre configura lo smartphone e in altre occasioni).
Google+, semplicemente, potrebbe quindi rappresentare solo l’area social di un mondo effettivamente affollato di utenti. Ma, tra questi, è molto difficile identificare i dormienti e distinguerli dagli attivi.
Tag: facebook, google, morbius, network, plus, social, utenti

Google sta per diventare MVNO (operatore virtuale di telefonia mobile) negli USA. Tecnicamente utilizzerà le reti mobili Sprint e T-Mobile, ampliando la copertura offerta dai due network reali con l’appoggio delle reti WiFi pubbliche.
Secondo quanto riportano il Wall Street Journal e The Information l’ingresso nel mercato dei servizi di telefonia mobile (il progetto condotto da google in questo senso si chiama Nova) potrebbe avvenire entro fine anno. L’ampliamento telefonico del business di Google, ovviamente, ha altre implicazioni: oltre alla geolocalizzazione attraverso i dispositivi Android, le azioni di monitoraggio e profilazione degli utenti potranno avvenire anche in base ai dati delle conversazioni telefoniche (durata, destinazione, orario e altre informazioni caratteristiche). D’altronde, big data means big business.
Google sarà interessata a valutare questa possibilità su altri mercati nazionali? Assolutamente sì, sicuramente nei Paesi in cui è già presente ed esistono ulteriori possibilità di sviluppo. Guardando dentro casa nostra, ad oggi il mercato italiano degli operatori alternativi potrebbe essere definito diversamente florido (consultando l’elenco degli operatori si nota che il numero delle cessate attività non è affatto trascurabile). Verosimilmente, l’interesse verso un Paese in cui il numero degli smartphone accesi si avvicina sempre più a quello dei residenti è alto e un’azienda come Google ha sicuramente qualche marcia in più per muoversi bene in questo settore.
Tag: business, consapevolezza, google, Internet, mobile, mvno, operatore, privacy, profilazione, smartphone, tablet, telefonia, virtuale

Dicembre, tempo di bilanci e di classifiche. Questi sono i risultati – provvisori – dei termini più ricercati dagli utenti italiani nel 2014.
Tag: 2014, belen rodriguez, bing, clio make up, ebola, google, iphone 6, italia, kim kardashian, meteo, motori, oroscopo, peppa pig, ricerca, ricerche, superenalotto, termini, world cup, yahoo
”Molti pensano che i nostri più grandi concorrenti siano Yahoo! o Bing. Ma il nostro più grande rivale nel settore dei motori di ricerca è effettivamente Amazon”
È quanto ha dichiarato Eric Schmidt – presidente di Googke – in occasione di un evento dedicato alle startup a Berlino.
Considerando che i due gruppi si sfidano anche nella logistica, la contrapposizione non potrà che ampliarsi…
Tag: amazon, bezos, bing, google, microsoft, motore, ricerca, schmidt, search

Da ieri circola la notizia di un clamoroso furto di password ai danni degli utenti di Gmail: si parla di circa 5 milioni di utenze, i cui dati di accesso sarebbero stati pubblicati da un utente del forum russo Bitcoin Security.
Nel comunicare la notizia, molte fonti indicano di rivolgersi al sito isleaked.com, per le opportune verifiche. Il sito è stato messo online a nome di Egor Buslanov, con un dominio registrato in data 8 settembre 2014, proprio due giorni prima della pubblicazione su Bitcoin Security (dati verificabili attraverso qualunque servizio whois disponibile in rete). Non fornisce alcun elenco, ma chiede all’utente di inserire il proprio indirizzo e-mail promettendo un celere responso. La homepage di default è scritta in russo, con versioni in inglese e spagnolo.
Questi presupposti – insieme a quanto sto per aggiungere – mi sembrano sufficienti ad essere guardingo e a non affrettarmi a sfruttare questo servizio. Per consapevole autolesionismo tecnologico ho inserito personalmente i dati di un account Gmail. Il responso è stato positivo, tanto che isleaked.com – per dimostrarsi attendibile – mi ha anche indicato i primi due caratteri della password che gli risulta trafugata. Peccato che non fossero affatto corrispondenti a quelli della password reale (ne’ attuale, ne’ precedente).
Questo risultato inattendibile, insieme al fatto che la verifica si basa sul fatto che un utente debba comunicare il proprio indirizzo e-mail ad uno sconosciuto, suggerisce di utilizzare la dovuta cautela e di rivolgere attenzione altrove. Certo, il rischio più immediato potrebbe essere limitato a ricevere un po’ di spam aggiuntivo, ma personalmente penso di poterne comunque fare a meno.
L’Online Security Blog di Google ieri ha pubblicato un articolo in cui si spiega che, fra tutti i dump pubblicati in rete (ottenuti dalla combinazione di dati provenienti da fonti esterne a Google), le combinazioni username+password che possono realmente consentire l’accesso ad un account altrui sono meno del 2% e, in ogni caso, i sistemi anti-hijacking di Google sono in grado di bloccare buona parte dei tentativi di accesso fraudolento. Considerando che l’ecosistema Google in fatto di privacy è imbattibile (nel senso che loro sono maestri assoluti nel raccogliere ed elaborare informazioni personali altrui), penso che l’affidabilità di questi sistemi sia quantomeno verosimile.
Avete il dubbio che il vostro account possa essere stato compromesso? Non pensateci due volte: cambiate password, scegliendone una forte e sicura (come ricordavo qualche giorno fa), perché…
Il rischio aumenta quando la password è semplice e non è stata generata con gli opportuni criteri di complessità (ad esempio quelli illustrati nell’articolo Scegliere password più sicure su Mozilla Support, oppure in Creazione di una password forte a cura di Google Support). Oppure se il servizio di password reset è impostato con risposte prevedibili o facilmente reperibili.
Tag: bitcoin forum, consapevolezza, egor buslanov, furto, gmail, google, identità, password, sicurezza

Pare che gli attesi Google Glass siano arrivati anche in Italia, commercializzati dalla Mediamarket, non online (come vedete nella figura sopra), ma solo in alcuni dei suoi punti vendita MediaWorld e Saturn. AndroidWorld ha pubblicato le immagini degli occhiali esposti per la vendita al pubblico al modico prezzo di 1.999,99 euro. Un prezzo esoso, considerando che negli USA la versione Explorer Edition viene venduta a 1.500 dollari (1.110 euro) e nel Regno Unito a 1.000 sterline (1.265 euro)
![Google-Glass-Saturn[1]](https://blog.dariobonacina.net/wp-content/uploads/2014/07/google-glass-saturn1.jpg?w=222&h=300)
Anche se a vederli esposti così sembrano davvero in vendita, una comunicazione di Google Italia ripresa dall’Ansa apre qualche dubbio:
Non abbiamo autorizzato la vendita dei Glass nel nostro paese. I Google Glass sono al momento acquistabili solo attraverso il programma Explorer e solo in US e UK, al momento non è nemmeno stato definito un prezzo per il nostro paese.
Vendita? Anteprima con prezzo azzardato? Certamente il dispositivo suscita curiosità e quindi… attendiamo.
UPDATE: nei commenti a questo post, Alessandra ci anticipa un’anteprima italiana per i Google Glass. Il 30 luglio, al Teatro Lirico di Cagliari, alcuni attori in scena indosseranno i Google Glass durante la Turandot di Puccini. L’opera interattiva sarà visibile dai profili social del teatro legati all’evento, dal punto di vista degli attori.
Tag: glass, google, mediamarket, mediaworld, saturn
![Nokia-X2_feat[1]](https://blog.dariobonacina.net/wp-content/uploads/2014/06/nokia-x2_feat1.jpg?w=300&h=205)
Microsoft ha presentato il nuovo Nokia X2, dotato di sistema operativo Android. A bordo sono presenti servizi e app come Outlook.com, Skype e OneDrive. Non potendo integrare Explorer nel sistema operativo di casa Google, come browser offre Opera.
Il display è WGVA da 4,3 pollici , il processore è dual core (Qualcomm Snapdragon da 1,2 GHz), ha 1 GB di RAM, fotocamera frontale VGA e posteriore con sensore da 5 Megapixel, batteria da 1800 mAh e supporto al dual-SIM. Se è vero che costerà 99 euro, è altrettanto vero che – per essere uno smartphone low cost – si presenta con caratteristiche interessanti. Nella speranza che il prezzo accessibile non pregiudichi la qualità
Tag: android, budget, economico, google, microsoft, nokia, smartphone, x2
A inizio anno Google aveva messo le mani su Nest Labs per 3,2 miliardi di dollari. Ora è disposta a sborsare 555 milioni di dollari per Dropcam (nell’operazione, però, l’acquisitore risulta essere proprio Nest Labs).
Nest Labs si occupa di rilevatori e termostati controllati in rete, Dropcam è sul mercato dei sistemi di sorveglianza tramite telecamere e sensori di movimento. Le due operazioni sembrano complementari e dimostrano l’interesse di Google per la domotica e la sicurezza domestica. Guardando il tutto un po’ più dall’alto, appare sempre più evidente che l’obiettivo del gruppo sia un ulteriore allargamento del mercato, naturalmente in settori di particolare interesse per gli utenti, che presto potrebbero essere in grado di utilizzare soluzioni targate Google per sorvegliare e controllare la propria abitazione – con i dispositivi che vi sono installati – da smartphone e tablet.
Di termostati e telecamere abbiamo già parlato, è noto a cosa servano, ma è da capire che potenzialità offrono in termini di raccolta e trasmissione di informazioni. Ma anche i rilevatori di fumo di Nest Labs sono in grado di rilevare e comunicare dati utili ad elaborare statistiche, così come i Tabs di Dropcam. Pertanto non è inverosimile pensare che a Google – ormai leader nell’attività di profilazione degli utenti a scopo di marketing e pubblicità – possano interessare i dati raccolti a casa nostra da questo tipo di dispositivi.
Tag: consapevolezza, domotica, dropcam, google, labs, nest, privacy, sicurezza domestica, tabs
Internet offre enormi possibilità di comunicazione ed è un eccellente veicolo pubblicitario, eppure in Italia – il cui tessuto economico è costituito in prevalenza da piccole e medie imprese – è decisamente sottosfruttato: secondo quanto rilevato da Google, solo il 34% delle PMI ha un sito web e tre su dieci si avvalgono di soluzioni di e-commerce. Niente di nuovo, quel 34% corrisponde a dati diffusi ad ottobre 2013 dopo un’indagine svolta da Doxa Digital per Google.
Poco importa che le PMI attive sul web siano un terzo o la metà, come invece è stato calcolato a fine 2013 sempre da Doxa per Groupon (il cui sondaggio non ha però coinvolto aziende di produzione), e credo sia poco rilevante che, pochi mesi fa, secondo Eurostat le PMI con un proprio sito web fossero il 63% (dato quasi specularmente opposto a quello indicato da Google). Questo dimostra solo che ogni indagine fa emergere risultati che sono conseguenza del campione preso in esame, al netto del punto di vista di chi la conduce.
Al di là di quanto ha indicato Google e che molte testate riprendono – modificando qualche parola rispetto a ciò che somiglia molto ad un comunicato stampa – è importate rilevare che esiste un potenziale da sfruttare per il Made in Italy. Lo dimostrano aziende che hanno saputo cogliere questa occasione con una strategia vincente che ha permesso loro di incrementare produzione e fatturato e questo non riguarda solamente grandi nomi o aziende multinazionali. In questo senso sono molto interessanti, ad esempio, le storie di YourMurano (sito di e-commerce per il ricercato vetro di Murano certificato col marchio d’origine garantita, descritto in questo articolo con data futuribile) o della Torrefazione Caffè Carbonelli (passata da un mercato pressoché locale al mondo intero, moltiplicando il fatturato, grazie al commercio elettronico), che dimostrano che anche le realtà artigiane possono trovare spazio di crescita al di fuori dei loro confini.
Tag: affari, business, commercio elettronico, doxa, e-commerce, google, Internet, made in Italy, web

In questi ultimi tempi, nel settore della tecnologia, spiccano i business orientati alla wearable technology, la tecnologia indossabile che oggi è già realtà di serie per quanto riguarda gli smartwatch e altri accessori in uso da tempo, e che ora sta puntando dritta agli occhi degli utenti. In particolare si parla molto di due operazioni:
- l’accordo siglato tra Luxottica e Google per il design dei Google Glass;
- l’acquisto di Oculus da parte di Facebook.
I primi, per chi non ne avesse ancora sentito parlare sono occhiali per la realtà aumentata, con un piccolo display HD posto in prossimità dell’occhio (che equivale ad uno schermo da 25 pollici visto a due metri di distanza), audio a conduzione ossea, una fotocamera da 5 Megapixel (che può scattare foto e registrare video a 720p), connettività WiFi e Bluetooth e una memoria da 12 GB. Permettono di utilizzare funzionalità simili a quelle degli smartphone (chi li indossa può fare compiere le azioni più svariate). L’accordo con Luxottica rappresenta un matrimonio tra la loro tecnologia e il design, quindi presto potremmo vedere questa tecnologia su occhiali Ray-Ban o Oakley (marchi di proprietà di Luxottica), solo per citare i più sportivi.
Oculus ha progettato un visore per la realtà virtuale, apparentemente ideale per i videogame: indossato, il visore mostra due diverse immagini agli occhi dell’utilizzatore, offrendogli una visione 3D. Il dispositivo è dotato di sensori per rilevare e riprodurre gli eventuali movimenti della testa, e far reagire il “mondo virtuale” di conseguenza. Zuckerberg in questo visore ha visto altro, ossia la possibilità di immergere l’utente nel suo social network per trasformarne l’esperienza per quanto riguarda ogni forma di intrattenimento (per dare all’utente la sensazione di trovarsi dentro un film, nel mezzo di un evento sportivo, o di fronte al docente in un’aula universitaria).
Mirabolanti possibilità per gli utenti, ma soprattutto per le due aziende in campo, che negli ultimi tempi hanno fatto scuola in materia di invasione nella privacy degli iscritti ai loro servizi: questi attraenti dispositivi ampliano a dismisura le loro possibilità di business (e quelle dei loro inserzionisti). Se oggi ci profilano – mediante smartphone o computer – memorizzando i dati delle nostre ricerche, della navigazione e della nostra localizzazione per incrociarli al meglio con le offerte dei loro inserzionisti, domani – mediante un wearable device, dispositivo indossabile – potranno essere ancora più mirati, puntuali e precisi, perché godranno della massima attenzione dell’utente, ancor meno distratto da fattori esterni e quindi più concentrato su quanto percepisce. Il business non è (solo) nella vendita del dispositivo, ma si alimenta con l’indotto dei servizi accessori che gravitano attorno al dispositivo; il legame tra le due entità può non essere immediatamente visibile, ma in realtà è saldo e iindispensabile al buon andamento del mercato in cui si muovono queste grandi aziende.
Come ho avuto modo di dire in passato, la tecnologia non va frenata, ma è necessario conoscerne tutti gli aspetti affinché ognuno possa sfruttarla per perseguire i propri interessi e appia piena consapevolezza tanto dei rischi quanto delle opportunità derivanti dalle innovazioni.
Tag: advertising, aumentata, business, facebook, glass, google, luxottica, oculus, privacy, pubblicità, realtà, virtuale
Google ha messo le mani su SlickLogin, azienda israeliana specializzata in applicazioni che permettono il login – ossia l’accesso – attraverso password audio o sonore.
Il funzionamento di una password audio è abbastanza semplice: da un’app installata su un dispositivo mobile (smartphone o tablet) si analizza un segnale audio emesso da un computer dotato di altoparlanti. Quello specifico segnale deve corrispondere a quello generato dinamicamente da un altro computer in un preciso istante. In pratica il procedimento è simile a quello che, ad esempio, genera certe password temporanee emesse da una banca per confermare le operazioni di Internet Banking, la differenza è che – invece di inserire un codice alfanumerico, ricevuto via SMS o ottenuto da un token – si deve confermare un suono.
Tag: audio, google, password, security, sicurezza, slicklogin, sonore

Chi ha un account Google e lo utilizza sul proprio smartphone Android gradirà conoscere questo interessante giochino: si chiama Location History (Cronologia delle posizioni), una soluzione utilizzata da Google per tracciare e registrare gli spostamenti di un utente. Per chi si ricorda di Google Latitude (lanciato nel 2009), nulla di nuovo. Ma tenendo presente che questo servizio esiste da oltre un paio d’anni e può essere attivato o disattivato liberamente dall’utente, sarebbe interessante sapere quanti utenti lo hanno attivo sul proprio account e – soprattutto – se ne sono consapevoli.
Alla pagina https://maps.google.com/locationhistory/b/0/ l’utente può visualizzare – giorno per giorno – la mappa dei propri spostamenti e gestire l’eventuale cancellazione della cronologia, o l’esportazione degli itinerari giornalieri in file formato KML, leggibili da Google Earth. Nella dashboard del servizio l’utente può trovare tutte le statistiche al riguardo che, pur essendo approssimative, espongono un elevato numero di informazioni, raccolte attraverso una serie di fonti: innanzitutto GPS, WiFi e Cell-ID, ma non solo:
Altri sensori disponibili del dispositivo, ad esempio l’accelerometro, la bussola, il giroscopio e il barometro, vengono inoltre utilizzati per migliorare l’esperienza complessiva di identificazione della posizione. Ciò comprende, tra l’altro, l’incremento della durata della batteria e il miglioramento della precisione della posizione.
Tag: consapevolezza, cronologia, earth, geolocalizzazione, google, hostory, latitude, location, maps, posizioni, privacy

Oggi sono stato contattato da un’operatrice molto cortese – Ilona, dall’Albania – per conto di PagineBianche. Il suo scopo dichiarato inizialmente era quello di verificare i dati aziendali per il loro corretto inserimento sul nuovo elenco telefonico, perché
Da quest’anno le aziende non saranno più inserite insieme agli utenti privati e ai numeri di casa. Inoltre il nome dell’azienda sarà visibile sui motori di ricerca internet perché siamo partner di Google.
Contenendo la mia usuale diffidenza in questi casi, investo un minuto per rispondere alle domande con cui mi viene chiesta conferma dei dati aziendali. Al termine, l’operatrice ripete tutto quanto onde evitare fraintendimenti. Solo a fine riepilogo mi informa del fatto che l’inserimento dei dati aziendali – in una modalità distinta da quella delle utenze domestiche private – comporta un investimento di 199 euro, da sostenere “solamente per il primo anno”. Segue un garbato e civile dialogo chiarificatore, che parte dal presupposto che la cosa non è interessante per l’azienda (mi spiace per il business di PagineBianche – PagineGialle, ma sono anni che ricevo gli elenchi e li lascio nella loro pellicola di cellophane):
No, non sono interessato a fare questo investimento.
Ma infatti, l’investimento di 199 euro lo farà solo quest’anno ed è a costo zero perché lo può scaricare interamente
La ringrazio per le informazioni, ma non intendo farlo.
Ma infatti, la sua azienda che ha la partita IVA deve fare per forza questo investimento, così comparirà nell’elenco.
Nessuno deve fare per forza questo investimento. Non pagherò questi 199 euro e il nome dell’azienda sarà comunque presente nell’elenco, anche se con un aspetto diverso da quello che mi proponete. Non è così?
Sì, ma finirà in mezzo agli indirizzi delle case non nella sua categoria. I suoi clienti non la troveranno.
La troveranno. La ringrazio per le informazioni, non intendo pagare i 199 euro perché il servizio non mi interessa.
Ma infatti, non la troveranno perché cercheranno l’azienda e la troveranno in mezzo alle case. Vuole rinunciare?
Come le ho detto, non sono interessato al servizio.
Allora il nome della sua azienda non sarà nell’elenco sotto la categoria giusta.
Grazie. Buon lavoro.
Grazie. Arrivederci.
L’attività di raccogliere inserzioni pubblicitarie da parte di PagineBianche è più che legittima e molte aziende possono ritenere che valga la pena investire denaro per comparire nell’elenco in modo più evidente. All’azienda in cui ho ricevuto questa telefonata, però, un’inserzione di quel tipo non comporta alcun valore aggiunto, quindi si rivelerebbe una spesa inutile. Non trovo corretto e trasparente l’approccio utilizzato dall’operatrice che, seppur con molta gentilezza, si rivolge all’azienda parlando prima della necessità di una conferma dei dati in vista della pubblicazione del nuovo elenco telefonico e solo alla fine della conversazione informa che si tratta di un inserimento categorico a pagamento.
Se avete un’attività e ricevete una telefonata di questo tipo, prima di accettare o rifiutare ricordate innanzitutto che non siete assolutamente obbligati a pagare 199 euro per comparire in elenco. Accettate solo se pensate che la vostra attività possa trarre beneficio da un’inserzione pubblicitaria sull’elenco telefonico. E comunque ricordate che il nome non sparirà dall’elenco: rimarrà in mezzo alle case.
Tag: aziende, consapevolezza, elenco, google, motore, pagine bianche, pagine gialle, pubblicità, ricerca, trasparenza