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Canone Speciale Rai, le aziende devono pagare? Una tabella da leggere

Molte aziende – di ogni ordine di dimensioni e di forma giuridica – stanno ricevendo in questi giorni dalla RAI una lettera che informa che le vigenti disposizioni normative impongono l’obbligo del pagamento di un canone speciale a chiunque detenga, fuori dall’ambito familiare, uno o più apparecchi atti o adattabili – quindi muniti di sintonizzatore – alla ricezione delle trasmissioni televisive, indipendentemente dall’uso al quale gli stessi vengono adibiti.

Le vigenti disposizioni normative sono l’art. 27 del RDL 246/1938, l’art. 2 D.L.lt. 458/1944 e l’art. 16 L.488/1999.

Dopo aver riposato gli occhi che avrete debitamente sgranato, constatando che la materia viene regolamentata (oltre che da una Legge del 1999) da una norma letteralmente dell’anteguerra e un’altra risalente comunque all’epoca della Seconda Guerra Mondiale, se avete la responsabilità amministrativa di un’azienda – grande o piccola non importa – vi starete chiedendo se questo canone sia da pagare oppure no.

In questo Canone, a mio avviso, ci sarebbero molti aspetti da approfondire. Quelli che hanno calamitato la mia attenzione, e su cui credo sia opportuno condividere le dovute riflessioni, sono due.

1. Chi deve pagare

La lettera parla di apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni TV, al netto dell’utilizzo che se ne fa, perché muniti di sintonizzatore. In questa categoria, oltre ai semplici decoder e ai televisori muniti di decoder integrato, rientrano – ahimé – anche i cosiddetti Monitor/TV, apparecchi monitor dotati di decoder, spesso commercializzati anche nei punti vendita di elettronica e nei supermercati; se un’azienda ha uno o più apparecchi di questo tipo, ovviamente ricadrebbe nell’ambito di applicazione di questo obbligo di pagamento del canone, se invece l’azienda dispone di monitor normali privi di sintonizzatore, l’obbligo non appare applicabile. Sul sito RAI è presente un prospetto – che riporto nel seguito – in cui è spiegato con chiarezza quali sono gli apparecchi per i quali è necessario pagare il canone, sono indicati nelle prime due colonne.

Tabella_AS[1]

2. Quanto e cosa si deve pagare

Argomento non nuovo, ma lo ripropongo a titolo di riflessione perché riguarda un concetto che può sfuggire a molti. Il canone Rai è un’imposta, la Rai non lo dichiara chiaramente, ma se lo fa sfuggire in una pagina del proprio sito web. Al netto della magra consolazione data dalla deducibilità dal reddito d’impresa (micro-privilegio non accessibile ai privati), questa è un’imposta anche se viene devoluta direttamente alla Rai senza passare dall’Erario. Quindi, per la sua natura di tributo, non è comprensibile che – come si legge chiaramente sul bollettino di c/c postale, in basso a sinistra – l’importo del canone Rai sia comprensivo di IVA che, seppur applicata con aliquota del 4%, è anch’essa un’imposta (quella sul valore aggiunto).

Sarebbe tempo di dare regolarizzazione a questa assurda applicazione di un’imposta applicata su un’altra imposta, e questo vale tanto per il canone Rai quanto per qualsiasi altro tributo elevato a potenza.

Ultimo aspetto, non banale: i bollettini di c/c postale – quelli che ho visto io, almeno – non indicano la scadenza, quindi non specificano un termine entro il quale sia necessario pagare. E questo rende ancora più difficile sanzionare qualcuno per non aver rispettato un termine che non esiste.

 
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Pubblicato da su 25 giugno 2014 in news

 

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PagineBianche, 199 euro per non rimanere “in mezzo alle case”

elencotelefonico

Oggi sono stato contattato da un’operatrice molto cortese – Ilona, dall’Albania – per conto di PagineBianche. Il suo scopo dichiarato inizialmente era quello di verificare i dati aziendali per il loro corretto inserimento sul nuovo elenco telefonico, perché

Da quest’anno le aziende non saranno più inserite insieme agli utenti privati e ai numeri di casa. Inoltre il nome dell’azienda sarà visibile sui motori di ricerca internet perché siamo partner di Google.

Contenendo la mia usuale diffidenza in questi casi, investo un minuto per rispondere alle domande con cui mi viene chiesta conferma dei dati aziendali. Al termine, l’operatrice ripete tutto quanto onde evitare fraintendimenti. Solo a fine riepilogo mi informa del fatto che l’inserimento dei dati aziendali – in una modalità distinta da quella delle utenze domestiche private – comporta un investimento di 199 euro, da sostenere “solamente per il primo anno”. Segue un garbato e civile dialogo chiarificatore, che parte dal presupposto che la cosa non è interessante per l’azienda (mi spiace per il business di PagineBianche – PagineGialle, ma sono anni che ricevo gli elenchi e li lascio nella loro pellicola di cellophane):

No, non sono interessato a fare questo investimento.

Ma infatti, l’investimento di 199 euro lo farà solo quest’anno ed è a costo zero perché lo può scaricare interamente

La ringrazio per le informazioni, ma non intendo farlo.

Ma infatti, la sua azienda che ha la partita IVA deve fare per forza questo investimento, così comparirà nell’elenco.

Nessuno deve fare per forza questo investimento. Non pagherò questi 199 euro e il nome dell’azienda sarà comunque presente nell’elenco, anche se con un aspetto diverso da quello che mi proponete. Non è così?

Sì, ma finirà in mezzo agli indirizzi delle case non nella sua categoria. I suoi clienti non la troveranno.

La troveranno. La ringrazio per le informazioni, non intendo pagare i 199 euro perché il servizio non mi interessa.

Ma infatti, non la troveranno perché cercheranno l’azienda e la troveranno in mezzo alle case. Vuole rinunciare?

Come le ho detto, non sono interessato al servizio.

Allora il nome della sua azienda non sarà nell’elenco sotto la categoria giusta.

Grazie. Buon lavoro.

Grazie. Arrivederci.

L’attività di raccogliere inserzioni pubblicitarie da parte di PagineBianche è più che legittima e molte aziende possono ritenere che valga la pena investire denaro per comparire nell’elenco in modo più evidente. All’azienda in cui ho ricevuto questa telefonata, però, un’inserzione di quel tipo non comporta alcun valore aggiunto, quindi si rivelerebbe una spesa inutile. Non trovo corretto e trasparente l’approccio utilizzato dall’operatrice che, seppur con molta gentilezza, si rivolge all’azienda parlando prima della necessità di una conferma dei dati in vista della pubblicazione del nuovo elenco telefonico e solo alla fine della conversazione informa che si tratta di un inserimento categorico a pagamento.

Se avete un’attività e ricevete una telefonata di questo tipo, prima di accettare o rifiutare ricordate innanzitutto che non siete assolutamente obbligati a pagare 199 euro per comparire in elenco. Accettate solo se pensate che la vostra attività possa trarre beneficio da un’inserzione pubblicitaria sull’elenco telefonico. E comunque ricordate che il nome non sparirà dall’elenco: rimarrà in mezzo alle case.

 
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Pubblicato da su 21 novembre 2013 in news

 

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Microsoft tenta la carta social per il business

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Un’altra acquisizione “miliardaria” movimenta il mondo della tecnologia: il Wall Street Journal ha svelato l’intenzione, da parte di Microsoft, di acquistare Yammer, il social network business-oriented, anticipando forse una notizia che potrebbe essere  ufficializzata in occasione di un evento di cui l’azienda non ha fornito alcun programma, e che molti ritengono possa essere il palcoscenico del debutto di un nuovo tablet targato Redmond dotato di Windows 8.

L’operazione di acquisto di Yammer è molto interessante, al di là dei numeri che potrà muovere (corre voce che il colosso di Redmond possa “staccare” un assegno dall’importo di 1 – 1,2 miliardi di dollari), perché potrebbe essere l’inizio di un’evoluzione in chiave social delle soluzioni aziendali offerte da Microsoft, sia nel campo della produttività individuale (ad esempio nella suite di applicazioni Office), sia in quello dei software gestionali (MS Dynamics AX, NAV e CRM).

 
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Pubblicato da su 17 giugno 2012 in business, News da Internet

 

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