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Google Glass in Italia (ma la vendita non è ancora autorizzata)

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Pare che gli attesi Google Glass siano arrivati anche in Italia, commercializzati dalla Mediamarket, non online (come vedete nella figura sopra), ma solo in alcuni dei suoi punti vendita MediaWorld e Saturn. AndroidWorld ha pubblicato le immagini degli occhiali esposti per la vendita al pubblico al modico prezzo di 1.999,99 euro. Un prezzo esoso, considerando che negli USA la versione Explorer Edition viene venduta a 1.500 dollari (1.110 euro) e nel Regno Unito a 1.000 sterline (1.265 euro)

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Anche se a vederli esposti così sembrano davvero in vendita, una comunicazione di Google Italia ripresa dall’Ansa apre qualche dubbio:

Non abbiamo autorizzato la vendita dei Glass nel nostro paese. I Google Glass sono al momento acquistabili solo attraverso il programma Explorer e solo in US e UK, al momento non è nemmeno stato definito un prezzo per il nostro paese.

Vendita? Anteprima con prezzo azzardato? Certamente il dispositivo suscita curiosità e quindi… attendiamo.

UPDATE: nei commenti a questo post, Alessandra ci anticipa un’anteprima italiana per i Google Glass. Il 30 luglio, al Teatro Lirico di Cagliari, alcuni attori in scena indosseranno i Google Glass durante la Turandot di Puccini. L’opera interattiva sarà visibile dai profili social del teatro legati all’evento, dal punto di vista degli attori.

 
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Pubblicato da su 22 luglio 2014 in news

 

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Occhio al futuro

GoogleGlassOculus

In questi ultimi tempi, nel settore della tecnologia, spiccano i business orientati alla wearable technology, la tecnologia indossabile che oggi è già realtà di serie per quanto riguarda gli smartwatch e altri accessori in uso da tempo, e che ora sta puntando dritta agli occhi degli utenti. In particolare si parla molto di due operazioni:

  • l’accordo siglato tra Luxottica e Google per il design dei Google Glass;
  • l’acquisto di Oculus da parte di Facebook.

I primi, per chi non ne avesse ancora sentito parlare sono occhiali per la realtà aumentata, con un piccolo display HD posto in prossimità dell’occhio (che equivale ad uno schermo da 25 pollici visto a due metri di distanza), audio a conduzione ossea, una fotocamera da 5 Megapixel (che può scattare foto e registrare video a 720p), connettività WiFi e Bluetooth e una memoria da 12 GB. Permettono di utilizzare funzionalità simili a quelle degli smartphone (chi li indossa può fare compiere le azioni più svariate). L’accordo con Luxottica rappresenta un matrimonio tra la loro tecnologia e il design, quindi presto potremmo vedere questa tecnologia su occhiali Ray-Ban o Oakley (marchi di proprietà di Luxottica), solo per citare i più sportivi.

Oculus ha progettato un visore per la realtà virtuale, apparentemente ideale per i videogame: indossato, il visore mostra due diverse immagini agli occhi dell’utilizzatore, offrendogli una visione 3D. Il dispositivo è dotato di sensori per rilevare e riprodurre gli eventuali movimenti della testa, e far reagire il “mondo virtuale” di conseguenza. Zuckerberg in questo visore ha visto altro, ossia la possibilità di immergere l’utente nel suo social network per trasformarne l’esperienza per quanto riguarda ogni forma di intrattenimento (per dare all’utente la sensazione di trovarsi dentro un film, nel mezzo di un evento sportivo, o di fronte al docente in un’aula universitaria).

Mirabolanti possibilità per gli utenti, ma soprattutto per le due aziende in campo, che negli ultimi tempi hanno fatto scuola in materia di invasione nella privacy degli iscritti ai loro servizi: questi attraenti dispositivi ampliano a dismisura le loro possibilità di business (e quelle dei loro inserzionisti). Se oggi ci profilano – mediante smartphone o computer – memorizzando i dati delle nostre ricerche, della navigazione e della nostra localizzazione per incrociarli al meglio con le offerte dei loro inserzionisti, domani – mediante un wearable device, dispositivo indossabile – potranno essere ancora più mirati, puntuali e precisi, perché godranno della massima attenzione dell’utente, ancor meno distratto da fattori esterni e quindi più concentrato su quanto percepisce. Il business non è (solo) nella vendita del dispositivo, ma si alimenta con l’indotto dei servizi accessori che gravitano attorno al dispositivo; il legame tra le due entità può non essere immediatamente visibile, ma in realtà è saldo e iindispensabile al buon andamento del mercato in cui si muovono queste grandi aziende.

Come ho avuto modo di dire in passato, la tecnologia non va frenata, ma è necessario conoscerne tutti gli aspetti affinché ognuno possa sfruttarla per perseguire i propri interessi e appia piena consapevolezza tanto dei rischi quanto delle opportunità derivanti dalle innovazioni.

 
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Pubblicato da su 26 marzo 2014 in business, Life, news, wearable

 

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Google Glass, qualcuno si sta svegliando

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La tecnologia non va frenata, ma è necessario conoscerne tutti gli aspetti affinché ognuno sia consapevole sia dei rischi che delle opportunità derivanti dalle innovazioni. I Google Glass non sfuggono a questa esigenza: fin dalla loro presentazione, gli Occhiali di Google hanno suscitato – oltre ad un certo entusiasmo – molte perplessità proprio per la loro attitudine tecnologica all’elaborazione elettronica dei dati e ai possibili problemi di privacy che il loro utilizzo può comportare.

Non si tratta solamente di un paio di occhiali speciali, ma di un dispositivo indossabile collegato a Internet, con sistema operativo Android, dotato di microcamera, microfono e modulo GPS. Dal punto di vista del prodotto è giusto pensare alle opportunità da cogliere: ci sono aspetti di design come quelli sottolineati da Luca (L’occhialeria italiana ci pensa? e Il prodotto, una sfida) e quelli legati allo sviluppo di applicazioni. C’è anche chi tenta di  diventare competitor di Google in questo campo con prodotti più o meno analoghi, come provano a fare l’azienda italiana GlassUp, oppure Epson con il visore multimediale Moverio e Recon con i Jet.

C’è però un fattore molto importante da considerare: il progetto che ha portato ai Google Glass è molto articolato e alle sue spalle c’è un’azienda con molte risorse, economiche e tecnologiche (incluso, ad esempio, il know-how per il riconoscimento facciale) e con alcuni precedenti in tema di mancata tutela della privacy. Per questo motivo le Autorità di protezione dati di diversi continenti, riunite nel GPEN (Global Privacy Enforcement Network), hanno scritto una lettera a Google sullo sviluppo dei suoi Glass.

Tra le questioni sollevate, a cui si chiede risposta, troviamo domande legittima:

  • Quali informazioni raccoglie Google attraverso i “Glass”, i famosi occhiali a realtà aumentata?
  • Con chi le condivide?
  • Come intende utilizzarle?
  • Come viene  garantito il rispetto delle legislazioni sulla privacy?
  • Come pensa Google di risolvere il problematico aspetto della raccolta di informazioni di persone che, a loro insaputa, vengono “riprese” e “registrate” tramite i Glass?

Tutto sommato, i Google Glass non raccolgono informazioni diverse da quelle che già oggi possono essere acquisite da un moderno smartphone. Ma rispetto a quest’ultimo, l’utilizzo è molto più agevole e consente un’acquisizione continua (batteria permettendo) e non facilmente identificabile da chi viene ripreso. Tra le Authority che si sono rivolte a Google c’è anche il nostro Garante della Privacy. Il presidente Soro osserva:

Chiunque  finisse nel raggio visivo di chi indossa questi occhiali potrebbe, a quanto è dato sapere, venire fotografato, filmato, riconosciuto e, una volta avuto accesso ai suoi dati sparsi sul web, individuato nei suoi gusti, nelle sue opinioni, nelle sue scelte di vita. La sua vita gli verrebbe in qualche modo sottratta per finire nelle micro memorie degli occhiali o rilanciata in rete. Ci sono già norme che vietano la messa on line di dati personali senza il consenso degli interessati”.

Il passaggio chiave ricorda un concetto di cui parlo spesso anch’io

 “Ma di fronte a questi strumenti le leggi non bastano: serve un salto di consapevolezza da parte di fornitori di servizi Internet, degli sviluppatori di software e degli utenti. E’ indispensabile ormai riuscire a promuovere a livello globale un uso etico delle nuove tecnologie”.

Last but not least, sarebbe interessante capire se esistono realmente eventuali rischi anche per la salute: trattandosi di un prodotto completamente nuovo, oggi non ne esiste esperienza e quindi non esiste nemmeno uno studio al riguardo. Il loro utilizzo, se comporta movimenti continui e differenti esigenze di messa a fuoco, a me farebbe pensare quantomeno ad uno stress da affaticamento visivo, ma c’è già chi parla seriamente di distrazioni potenzialmente pericolose e disturbi delle capacità cognitive.

Per concludere queste osservazioni con un sorriso, ecco cosa potrebbe accadere indossando i Google Glass senza la dovuta accortezza…

 
3 commenti

Pubblicato da su 19 giugno 2013 in news, tecnologia

 

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