Presentare la carta d’identità per aprire un profilo social è un’idea inutile e priva di fondamento – ma soprattutto proporre una legge in tal senso – è semplicemente una colossale perdita di tempo. Dirlo così potrebbe sembrare semplicistico, per cui è opportuno spiegarsi meglio su un argomento che – al momento – per quanto mi risulta ha trovato applicazione solo in un paio di regimi orientali come la Cina e la Corea del Nord.
Leggo che si vuole contrastare innanzitutto l’anonimato online… che effettivamente non esiste. E’ vero che ci sono profili che si presentano con un nickname, ossia uno pseudonimo, ma ogni utente è tracciato e identificabile: il dispositivo con cui ci si connette ad Internet è individuabile in base all’indirizzo IP (una sorta di etichetta che identifica in modo univoco un dispositivo connesso alla rete) e la sua identificazione è possibile chiedendo una rogatoria, in virtù della quale un magistrato ordina all’azienda che gestisce il social network di fornire i dati dell’utente. La rogatoria non può essere chiesta per un “illecito amministrativo” (come gli insulti), si chiede per i reati come l’istigazione alla violenza o all’odio per motivi razziali, etnici, religiosi.

Oltre a quanto detto sopra, va considerato che moltissimi haters guadagnano visibilità proprio perché si presentano “a viso scoperto” con nome e cognome. Quindi anonimato de che? La Polizia delle Comunicazioni è in grado di identificare i leoni da tastiera.
Ah certo, è possibile nascondere il proprio indirizzo IP (è una forma di anonimato riconosciuta dall’ONU a difesa della libertà di espressione e di dissenso), la tecnologia permette di falsificarlo e quindi di aggirare l’identificabilità dell’utente. Ma chi ha questa opportunità non ha nessuna difficoltà ad agire presentandosi in rete come cittadino non italiano, esattamente come chi crea account fasulli per business. La legge di cui si parla, invece, sarebbe applicabile solamente nel nostro Paese, pertanto riguarderebbe solamente i comuni cittadini.
Ma perché rimanere nella superficialità delle restrizioni censorie? Si potrebbero invece allargare tutele e garanzie, difendendo la libertà di opinione, esercitando in parallelo ad un’attività di verifica sui social network affinché mantengano la massima trasparenza sulle modalità di gestione dei dati personali dei propri iscritti e sulla corretta applicazione delle policy relative ai contenuti pubblicati.