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L’altra guerra: quella alla disinformazione

Il conflitto in Ucraina – esploso fragorosamente la scorsa settimana, ma iniziato circa otto anni fa – ci viene illustrato e descritto in questi giorni da un flusso impressionante di immagini, video, post, testimonianze dirette e indirette provenienti da radio, tv, giornali e fonti di informazione sul web. La propagazione di tutto questo materiale veicolato dai social network fa riemergere la necessità di affrontare il sempre attuale fenomeno della disinformazione che, agevolata dalla frenesia del contesto, aumenta confusione e disorientamento. Facebook, Instagram, Twitter, YouTube e altri protagonisti si dichiarano impegnati su questo fronte. Ma con quale efficacia?

Risposta breve: l’efficacia sarà sempre scarsa perché, come abbiamo ormai imparato dalla storia recente, è e sarà sempre difficile contrastare le fake news, finché al mondo esisteranno punti di vista differenti, interessi opposti e – soprattutto – soggetti che non si fanno scrupoli a promuoverli in modo ingannevole nei confronti di persone predisposte ad accettarli senza approfondire. Con questi presupposti la disinformazione potrà anche cambiare mezzi e forme di diffusione, ma continuerà a sopravvivere e prosperare.

Ciò che si può fare – e qui inizia la risposta argomentata – è mettere in campo soluzioni per dimostrare che non sempre le informazioni sono attendibili, facendo in modo che non vengano sempre accettate in modo passivo e acritico, ma che possano essere valutate e confrontate in un contesto più ampio. Non esistono più le certezze basate sul “Lo hanno detto tv e giornali” o “L’ho trovato su Internet” e questo è assodato da tempo, ma è ovviamente più semplice credere subito a ciò che si riceve, soprattutto quando si è allineati a idee e pregiudizi coltivati e radicati nel tempo. Nathaniel Gleicher, responsabile delle politiche di sicurezza di Meta (la società che controlla Facebook, Instagram e WhatsApp), ad esempio ha annunciato l’attivazione di un servizio di moderazione e verifica dei contenuti pubblicati in tempo reale, con l’obiettivo di eliminare le pubblicazioni ingannevoli e fuorvianti sul conflitto in Ucraina. Compito non semplice, che può portare anche a errori di valutazione, come è accaduto su Twitter, e ovviamente più sono le notizie e le fonti da controllare, più è difficile verificarle attraverso algoritmi e controlli effettuati da persone in carne ed ossa, con il rischio di eliminare contenuti o account attendibili.

L’impresa si fa ancora più ardua quando una notizia non veritiera viene amplificata dai social dopo essere stata diffusa da testate giornalistiche, come dimostra l’articolo pubblicato il 26 febbraio – e poi rimosso – dall’agenzia russa Ria Novosti relativo all’avvenuta annessione dell’Ucraina alla Russia (ne rimane traccia qui: https://web.archive.org/web/20220226224717/https://ria.ru/20220226/rossiya-1775162336.html).

E’ anche vero che l’informazione può essere inattendibile per errore e anche le “nostre” testate non sono esenti da scivoloni imbarazzanti: ce ne hanno dato prova varie fonti, tra cui il TG2, che ha trasmesso le immagini di una squadra di aerei militari durante una parata militare del 2020, dichiarando che si trattava di caccia che incombevano minacciosamente sulla capitale Ucraina, oppure animazioni tratte da un videogioco (War of Thunder) descritte come immagini di un bombardamento vero e proprio:

Il sensazionalismo e l’obiettivo di arrivare “primi su una notizia” possono portare a una disinformazione pericolosa quanto quella generata dalle fake news, se non c’è accuratezza nell’informazione, ne’ controllo delle fonti. Non esprimo giudizi sulle immagini di giornalisti inviati in Ucraina che indossano elmetti e giubbotti antiproiettile mentre conducono servizi televisivi in cui si vedono civili che si muovono più o meno con disinvoltura senza particolari precauzioni o “come se niente fosse”, poiché non conosco i “protocolli di sicurezza” che devono seguire, ma sicuramente vedere una persona che cammina tranquillamente per strada vicino ad un inviato “in assetto da guerra” davanti ad una telecamera può generare qualche dubbio nello spettatore più attento.

In ogni caso, la pagina web in cui l’EDMO (European Digital Media Observatory) si focalizza proprio sulla disinformazione relativa al conflitto in Ucraina (https://edmo.eu/2022/02/24/fact-checked-disinformation-on-the-war-in-ukraine-detected-in-the-eu-2022/) è in continuo aggiornamento, per fortuna (perché offre possibilità di verifica) e purtroppo (perché persistono necessità di verifica).

 
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Pubblicato da su 28 febbraio 2022 in news, News da Internet

 

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Squid Game, non solo gioie per Netflix

Bridgerton? La Casa di Carta? Briciole! Il titolo della serie più vista al momento è Squid Game, che dalla Corea del Sud si è imposto sugli schermi degli utenti Netflix di tutto il mondo. Un successone che tuttavia si sta rivelando foriero di imprevisti. Primo fra tutti: il sovraccarico del traffico di rete, che ha già spinto qualcuno a battere cassa.

Uscita venerdì 17 settembre, la serie in pochi giorni ha fatto registrare un picco senza precedenti nel traffico streaming (complice anche un enorme passaparola veicolato da social network come TikTok), al punto che il provider sudcoreano SK Broadband ha aperto un’azione legale contro Netflix allo scopo di ottenere un risarcimento – o quantomeno un cospicuo contributo economico – per le conseguenze derivanti dall’incremento nel traffico di rete, che oltre all’aumento nel consumo di banda ha portato ad accresciute esigenze di costi di manutenzione e di gestione dell’infrastruttura di rete del Paese.

Per Netflix non si tratta di un fulmine a ciel sereno: secondo quanto riferito da The Korea Herald, già nello scorso giugno il tribunale si era espresso a favore delle richieste di SK Broadband, attribuendo a Netflix la responsabilità della lievitazione del volume di contenuti trasmessi dalla rete del provider. Per il solo 2020 si parla di un “contributo” stimato in circa 23 milioni di dollari – che dovrebbe essere pagato a favore di SK – dovuto ai nuovi costi di gestione e di mantenimento dell’infrastruttura di rete, aspetti su cui Netflix (al pari di Google per il traffico di YouTube, altro leader del mercato streaming del Paese) non ha mai pensato di contribuire, come invece Facebook, Amazon ed Apple già fanno in Corea del Sud.

Un risarcimento, per il momento, Netflix sa già di doverlo pagare per una svista nel copione: nel primo episodio della serie – in cui 456 persone in difficoltà economiche partecipano ad un pericoloso gioco di sopravvivenza – compare un numero telefonico, che è quello che permette ai personaggi della fiction di iscriversi e partecipare al gioco. Peccato che quel numero esista veramente e che corrisponda all’utenza di un privato cittadino che vive nella provincia sudcoreana di Gyenoggi, sommerso da migliaia di telefonate da tutto il mondo fin dal primo giorno di trasmissione della serie.

In attesa di capire se sarà davvero costretta a pagare di tasca propria le conseguenze del proprio successo, Netflix dallo scorso weekend ha pensato bene di ritoccare due dei suoi tre piani tariffari: si tratta dell’abbonamento Standard, che offre streaming HD fruibile da due dispositivi, che passa da 11,99 a 12,99 euro al mese, e del piano Premium, che consente la visione 4K da quattro dispositivi, da 15,99 a 17,99 euro. Non è invece previsto alcun aumento al piano Base (utilizzabile con un solo dispositivo e senza HD).

 
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Pubblicato da su 4 ottobre 2021 in news

 

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Google down, incidente o attacco?

Lunedì grigio oggi, per i servizi Google che sono rimasti down nel tempo della pausa pranzo italiana: molti di coloro che hanno tentato di accedere a Gmail, Google Drive, Meet, Classroom, Sites, Youtube o altri servizi della famiglia, tra le 12.55 e le 13.45 si sono trovati a piedi e hanno potuto vedere solo un bel messaggio di errore.

Come riportato dalla Dashboard di Google Workspace, i problemi hanno coinvolto gran parte dei servizi del gruppo. Prevedibili i disagi per le scuole che hanno previsto di utilizzare Classroom e Meet per la didattica a distanza e sono rimaste in panne.

Ma cos’è accaduto? Non sono state ancora comunicate spiegazioni, ma ho l’impressione che il problema si sia verificato su un aspetto che riguarda l’autenticazione degli utenti: personalmente ho constatato che comunque, anche in quell’intervallo di tempo, era possibile effettuare una ricerca su Google o guardare un video su Youtube – servizi utilizzabili senza autenticarsi – mentre erano inaccessibili altri servizi che richiedono l’inserimento di username e password.

Il disservizio cade a poche ore di distanza da un altro incidente che si è verificato ai danni dei sistemi di posta elettronica di alcuni dipartimenti USA – tra i quali quelli del Tesoro e del Commercio – colpiti, secondo funzionari del governo USA, da una serie di attacchi hacker sferrati dalla Russia verso alcune agenzie governative d’oltreoceano. Esperti federali e privati sono certi che il mandante dell’attacco sia un’agenzia di intelligence russa.

Indipendentemente dalla reale origine dell’attacco, c’è chi ha collegato i due fatti, ipotizzando una correlazione tra i disservizi Google e l’attacco hacker. Anche a causa di alcuni messaggi “customizzati” comparsi dalle pagine di accesso alla riunioni di Google Meet, ma generati per burla. Oltre al down, anche la beffa…

 
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Pubblicato da su 14 dicembre 2020 in cloud, news

 

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Youtube-DL, l’errore di censurare uno strumento

Chi di voi conosce Youtube-DL? Badate bene a quel “DL”, non è un caso se l’ho scritto così: non parlo di YouTube, la piattaforma di condivisione e pubblicazione di video della famiglia Google, ma di uno strumento che consente il download dei video da YouTube e da altre piattaforme. Il suo nome ha guadagnato popolarità in questo periodo dopo essere stato colpito dagli effetti di un’azione legale della RIAARecording Industry Association of America (l’associazione dell’industria discografica USA), che ha indotto GitHub (piattaforma acquistata da Microsoft) a rimuoverlo perché “colpevole” di violare le normative statunitensi sul copyright.

Il tutto è avvenuto sulla base del DMCADigital Millennium Copyright Act, che permette – a chi ritiene sussista una violazione del Copyright sulle proprie opere – di spedire a un provider di servizi un “avviso di rimozione” dei contenuti ospitati e resi disponibili da quel provider.

Trovo alquanto grave censurare uno strumento. Già, perché siamo tutti d’accordo sulla necessità di neutralizzare e punire chi si comporta in modo illegale. Ma sbaglia completamente strada chi prova a neutralizzare uno strumento, utilizzato a vario titolo e in modo lecito da molti utenti, perché permette semplicemente il salvataggio in locale di un qualunque contenuto distribuito su Internet (che può così essere fruito anche in tempi e luoghi in cui manca la connessione alla rete).

E provano a farlo capire, riuscendo almeno in alcune sedi, utenti e sviluppatori. A onor del vero, Youtube-DL non è sparito dalla faccia della terra digitale: lo si può trovare sul suo sito ufficiale, che però – ovviamente – non indirizza più l’utente verso GitHub. La community degli sviluppatori, in seguito all’azione della RIAA, ha reagito aprendo un’ampia gamma di nuovi repository, proprio su GitHub. Il risultato è l’aumento della popolarità di Youtube-DL, alla faccia della RIAA.

 
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Pubblicato da su 30 ottobre 2020 in news

 

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Fortnite is the new Second Life

Lanciato nel 2017 come videogioco, Fortnite ha assunto in breve tempo un ruolo ben più ampio, tanto da essere scelto come ambiente virtuale per veri e propri eventi. Potrebbe essere l’evoluzione di Second Life?

Il pioniere di quello che non è ancora un trend, ma potrebbe diventarlo, è stato il dj Marshmello, che il 2 febbraio 2019 ha tenuto un breve “concerto” – una decina di minuti – a Pleasant Park (Parco Pacifico, a nord sulla mappa di gioco) visualizzato da 10,7 milioni di utenti. Il rapper Travis Scott il 24 aprile 2020 ha lanciato l’evento Astronomical a Sweaty Sands (Sabbie Sudate) a cui hanno partecipato in 12,3 milioni, al netto degli utenti che hanno seguito il live tramite Twitch e le repliche che si sono tenute nei giorni successivi. Recentemente, inoltre, Fortnite ha ospitato un evento con Dillon Francis, Steve Aoki e deadmau5 ed è stato scelto per trasmettere in anteprima il trailer di Tenet di Christopher Nolan.

Il concetto della piattaforma virtuale che ospita eventi e situazioni reali fa davvero ricordare Second Life, mondo digitale che però aveva il “problema” di essere arrivato “in anticipo di 10 anni“ (per dirlo con le parole dell’amministratore delegato di Linden Lab, l’azienda che ha sviluppato la piattaforma), proponendo una realtà virtuale che non era ancora fruibile con strumenti appositi, come ad esempio un visore. E quando questi strumenti sono arrivati, si è scoperto che Second Life non era adatta a supportarli in modo ottimale. Fortnite sembra aver intercettato le condizioni ideali per raccoglierne una sorte di eredità.

Nonostante qualcuno ne paventi il declino, Fortnite è sicuramente molto redditizio: secondo MusicMagPie per i soli acquisti in game la modalità Battle Royale incassa oltre 3mila euro al minuto e gli eventi attirano sempre milioni di visualizzazioni contemporanee, che si moltiplicano sugli altri canali (YouTube compreso) in cui ne vengono riproposti i video. Sembra che le premesse per traghettare l’entertainment verso il virtuale non gli manchino. Ma a questo punto le possibilità potrebbero essere molte di più: a quando una campagna elettorale su Fortnite?

 
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Pubblicato da su 16 giugno 2020 in news

 

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Google Plus è ancora vivo, per chi non lo ricordasse

googleplus2017

E’ meraviglioso pensare all’affetto con cui viene tenuto in vita Google Plus (Google+), il social network di casa Google che vanta miliardi di membri (secondo alcuni si tratterebbe di oltre tre miliardi di account), molti dei quali inconsapevoli (avendo accettato l’iscrizione mentre configuravano il proprio account Android su tablet o smartphone, oppure mentre aderivano ad altri servizi del gruppo, da Gmail).googleunicoaccount

Nelle scorse ore sono state annunciate alcune novità: torneranno gli Eventi (ma solo al di fuori della G Suite dedicata al mondo business), i “commenti responsabili” (quelli ritenuti inutili verranno nascosti), la possibilità di applicare nuovi filtri alle immagini. A parte quest’ultima caratteristica, nulla di realmente sostanzioso, e d’altronde è già molto ricordarsi dell’esistenza di questo social network lasciato alla deriva (non sono parole mie, le ha scritte Chris Messina, uno dei suoi “padri”, avendovi lavorato come user experience designer).

Mi era già capitato di scriverne e lo ribadisco:

è nato troppo tardi per fare concorrenza a Facebook senza avere reali caratteristiche distintive e, per come è stato realizzato ed evoluto (poco), non può che rimanere molte lunghezze alle spalle del leader

 

 
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Pubblicato da su 20 gennaio 2017 in news

 

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PRISM, riassunto per chi si fosse perso qualcosa

La vicenda che sta colpendo l’amministrazione USA guidata da Barack Obama è complicata, ne tento un riassunto che potrebbe essere utile per capire perché è utile seguire questo argomento.

Premessa: oltreoceano è attiva la NSA – National Security Agency (Agenzia per la sicurezza nazionale), che da tempo ha sotto controllo le comunicazioni dei cittadini USA che si trovano all’estero (e, per determinati casi, di cittadini che dagli USA comunicano all’estero). Questa attività viene condotta con un sistema che si chiama PRISM con la collaborazione di (almeno) nove grandi realtà private che operano nel mondo dell’informatica e offrono servizi di comunicazioni. Si tratta di Microsoft, Yahoo, Google, Facebook, PalTalk, YouTube, Skype, AOL e Apple. Tutto avviene secondo quanto stabilito da una legge USA, il Foreign Intelligence Surveillance Act (FISA).

Attualità: nei giorni scorsi, Guardian e Washington Post – dopo che è stato reso noto che la NSA ha accesso anche ai tabulati con i dettagli del traffico telefonico degli utenti Verizon – hanno pubblicato due inchieste, diffondendo documenti riservati della NSA relativi a PRISM. Secondo il Guardian, anche i servizi di intelligence del Regno Unito possono utilizzare PRISM.

Microsoft, Google e Apple si dichiarano estranee al progetto e di essersi attenute agli obblighi loro imposti dalla legge. Barack Obama, la scorsa settimana, ha precisato che la NSA opera per la sicurezza nazionale, che PRISM non riguarda gli americani ne’ chi vive negli USA, che “nessuno ascolta le vostre telefonate”, ma che “non si può  coniugare la sicurezza al 100% con il rispetto della privacy al 100%”. E comunque, qualcuno, le telefonate le mantiene sotto controllo.

 
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Pubblicato da su 17 giugno 2013 in Mondo, news

 

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YouTube comincia a battere cassa

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Da alcuni rumors in circolazione, si scopre che YouTube presto fornirà anche contenuti premium a pagamento e a questo scopo – come riferiscono l’azienda di advertising Ad Age e il Wall Street Journal– ha contattato un piccolo gruppo di produttori TV per chiedere loro “di presentargli delle applicazioni in grado di creare canali con per il cui accesso gli utenti dovranno pagare”:

Secondo quanto ha anticipato Ad Age, inizialmente ci sarà un piccolo gruppo di “canali”, probabilmente intorno a 25. La suddivisione dei profitti pare orientata al rapporto 45/55 per cento, come già avviene per la pubblicità su YouTube. Anche i partner, a quanto sembra, potrebbero inserire delle pubblicità nei loro canali a pagamento ma non è ancora chiaro in quale forma. Tra l’altro, su canali che si pagano, c’è da fare attenzione a non urtare la suscettibilità degli spettatori: potrebbe trasformarsi in un’arma a doppio taglio.

Questo non significa che YouTube si trasformerà in piattaforma pay, ma che predisporrà canali specifici con accesso a pagamento, estendendo quindi il modello di business pay-per-view di YouTube Live, mentre gli UGC (User Generated Content, ossia i contenuti generati dagli utenti e caricati sulla piattaforma) continueranno ad essere free, con la stessa regolamentazione di oggi.

 
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Pubblicato da su 30 gennaio 2013 in cloud, Internet, media, Mondo, Tv & WebTV

 

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Disney e YouTube si stringono la mano…

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…per dire “correte bimbi, venite da noi”: Disney e YouTube, alleanza strategica

 
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Pubblicato da su 9 novembre 2011 in business, Internet, media, Mondo, news

 

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YouTube sta per lanciare 100 nuovi canali

Da piattaforma di video-sharing a emittente televisiva, da intermediario a media: YouTube si evolve (?) ed è pronta ad offrire un proprio bouquet con cento nuovi canali a partire dal prossimo anno. Un’ulteriore diversificazione del business di Google, che si allarga al fronte attivo dell’industria dell’intrattenimento televisivo (continua su The New Blog Times)

 

 

 
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Pubblicato da su 31 ottobre 2011 in business, Internet, news, News da Internet, tecnologia, Tv & WebTV

 

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