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Musica SIAE fuori da Meta. Ma resta Soundreef

(Aggiornamento al termine del post)

E’ noto che su Facebook e Instagram sia possibile pubblicare post, stories e Reel aggiungendo come colonna sonora un brano musicale scelto dal vasto catalogo proposto dagli stessi social network. Ma da quel catalogo stanno per sparire quasi tutti i brani di artisti italiani perché è saltato l’accordo tra Meta – l’azienda che c’è dietro a Facebook e Instagram – e SIAE, la Società Italiana degli Autori ed Editori (meglio nota come SIAE), l’ente che tutela il diritto d’autore e la proprietà intellettuale di molti artisti italiani.

L’accordo saltato riguarda le condizioni economiche per il rinnovo della licenza con SIAE. Per questo, spiegano da Meta, “avvieremo la procedura per rimuovere i brani del repertorio Siae all’interno della nostra libreria musicale. Abbiamo accordi di licenza in oltre 150 paesi nel mondo e continueremo a impegnarci per raggiungere un accordo con Siae che soddisfi tutte le parti“. Significa che Facebook eliminerà i contenuti già esistenti contenenti brani musicali che rientrano nel catalogo Siae, mentre Instagram li manterrà “silenziandoli”, cioè togliendo l’audio, consentendo a chi li ha pubblicati di scegliere un altro brano, non tutelato da Siae. E potrebbe trattarsi di uno dei brani del catalogo Soundreef, gestore indipendente e alternativo a Siae che rappresenta comunque molti artisti italiani, tra cui Laura Pausini, Ultimo, Fedez, Takagi & Ketra, Enrico Ruggeri, Pooh, Boomdabash, Marracash, Gigi D’Alessio, J-Ax, FSK $atellite, Nesli ed editori come Kromakì Music e Smilax Publishing. Oltre 26mila i nomi che fanno parte del catalogo Soundreef, che ogni anno viene scelta da nuovi artisti. Quindi ora sapete che titoli come “La musica sparisce da Facebook e Instagram” sono quantomeno esagerati, anche se il catalogo Siae annovera sicuramente moltissimi artisti.

Siae non l’ha presa bene e definisce “incomprensibile” la posizione di Meta, ma sottolinea che “non accetterà imposizioni da un soggetto che sfrutta la sua posizione di forza per ottenere risparmi a danno dell’industria creativa italiana”. E’ indubbio che i social network protagonisti di questa vicenda guadagnino molto grazie a ciò che gli utenti condividono e un contenuto viene sicuramente arricchito se abbinato ad un brano musicale. Per Siae ogni esecuzione di un brano deve essere remunerata nell’interesse degli autori.

Secondo la posizione dei social network, questa formula è pubblicità per gli autori dei brani e a questo proposito abbiamo un esempio recentissimo che lo dimostra in modo evidente: il brano Bloody Mary di Lady Gaga è del 2011, ma pochi mesi fa è entrato nelle classifiche di mezzo mondo dopo aver registrato una rinnovata popolarità grazie ai numerosissimi video diffusi tramite TikTok (che non risente del problema) e Instagram che hanno legato il brano – soprattutto per il ritornello “I dance, dance, dance with my hands, hands, hands” – al celeberrimo balletto di Jenny Ortega tratto da Mercoledì (sequenza che nella serie aveva come colonna sonora Goo Goo Muck dei The Cramps del 1981, anch’essa tornata ad inaspettata ribalta, seppur con minor clamore).

Secondo alcuni osservatori, la presa di posizione di Meta potrebbe avere radici nell’indagine aperta nei suoi confronti dalla Procura di Milano per evasione e omesso versamento di IVA per 870 milioni di euro: l’ipotesi è che l’azienda intenda negoziare condizioni fiscali più favorevoli facendo leva anche sulla vicenda dell’accordo con Siae, con la quale la trattativa potrebbe riprendere. Nel frattempo, comunque, i brani interessati spariranno dai social… fino a nuovo accordo.

AGGIORNAMENTO:

Soundreef, come indicato nella nota sopra riportata, ha riscontrato che da Facebook e Instagram – inaspettatamente – sono spariti anche i brani che fanno parte del repertorio integralmente amministrato da lei nonché i repertori esteri e sta approfondendo la questione. Che ovviamente avrà un seguito… Alcuni brani nel frattempo sembrano tornati disponibili. Forse appunto quelli rappresentati di Soundreef e altri gestori. L’importante è che Meta sia in grado di individuarli.

 
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Pubblicato da su 16 marzo 2023 in news

 

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Il nulla diventa virale

Ma davvero siamo arrivati al punto in cui le testate giornalistiche cavalcano la viralità di una non-notizia che deriva da una messinscena preannunciata (in Muschio Selvaggio)? Davvero questa vicenda trova spazio su RaiNews – struttura informativa della TV di Stato e quindi sostenuta da denaro pubblico – e su altre testate giornalistiche (incluse alcune finanziate con contributi pubblici diretti o indiretti)?

Non cito gli articoli che parlano di ciò che si è visto durante lo spettacolo trasmesso in TV, ma quelli che evidenziano una vicenda che in un mondo normale non interesserebbe a nessuno, che ruota intorno a cosa si sarebbero detti Chiara Ferragni e Fedez in seguito a quanto avvenuto nell’esibizione di Rosa Chemical alla serata finale del Festival di Sanremo. E STICAZZI? Possiamo mettere un freno a questa dispersione di denaro dei contribuenti?

Nulla da eccepire nei confronti di chi volesse esprimere un’opinione sull’esibizione, ovviamente. Ognuno deve poter dire ciò che pensa. Ma dare attenzione ad un banale siparietto avvenuto dopo, a telecamere spente, che senso ha? Dov’è il diritto di cronaca in questo nulla cosmico?

 
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Pubblicato da su 13 febbraio 2023 in facezie

 

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Fake news: non punibile se non è credibile?

Ricordate la bufala dell’arresto di J-AX e Fedez per possesso di sostanze stupefacenti? La notizia – rivelatasi falsa – in poche ore fece il giro del web e per questo i due interessati sporsero denuncia per diffamazione nei confronti dell’autore. La Procura di Milano – è notizia delle scorse ore – ha chiesto l’archiviazione dell’inchiesta perché la diffusione di quella falsa notizia (segue citazione della motivazione) «si colloca nel contesto della disinformazione che spesso caratterizza l’ambito delle notizie dedicate al cosiddetto gossip con la spettacolarizzazione del pettegolezzo» e perché l’autore, notoriamente, non è credibile. E’ una buona notizia? No, non lo è per nessuno, nemmeno per il “non credibile” autore.

Breve riassunto della vicenda: la “cosa” fu pubblicata e diffusa mediante il sito Rollingstone.live, il cui nome e logo inducevano a identificarlo con l’edizione italiana di Rolling Stone, ma con la quale non aveva nulla da spartire. L’autore era Ermes Maiolica, nome ampiamente conosciuto nel mondo delle fake news, che aveva firmato quella pubblicazione come Pikkolo Angielo. A quale scopo? La spiegazione l’aveva data lui stesso proprio all’edizione legittima di Rolling Stones, lo scopo era lo stesso delle altre bufale: pubblicare notizie palesemente fasulle “per ridicolizzare quelle realistiche, per vaccinarci un po’ tutti contro il fenomeno delle fake news”. Chiaro? Probabilmente sì. Condivisibile? No, ma di questo – poco dopo – se ne è reso conto anche lo stesso Maiolica, che ha definito il suo articolo “un esperimento sociale fatto coi piedi”, come si legge in un articolo pubblicato da Open.

A oltre quattro anni di distanza da quell’episodio, il fenomeno delle fake news non si è affatto ridimensionato, direi anzi che si è mantenuto stabile e alimenta un business considerevole. Le proporzioni sono tali da aver indotto la Commissione Europea a pensare alla realizzazione di uno specifico Osservatorio (European Digital Media Observatory). Coloro che prima non cadevano nelle trappole della disinformazione, continuano a non cascarci perché sanno fare buon uso di quegli strumenti (culturali e personali) che già prima impedivano loro di abboccare, mentre chi ci credeva continua semplicemente a farlo ancora oggi. La presunta missione di “vaccinatore” (che molti hanno tentato di condurre in buona fede e con grandi speranze) non ha avuto successo e chi ha tentato di portarla avanti, creando notizie false ritenendole palesemente confutabili, non ha fatto i conti proprio con l’aspetto della credibilità e quello della viralità.

Prendendo l’esempio di questo specifico episodio, se un lettore viene raggiunto da una notizia pubblicata con il logo di una rivista conosciuta e di una certa autorevolezza nel settore, il primo fattore che spicca è l’ingannevolezza della presentazione che, così “confezionata”, supera i confini di quella satira che invece si può esprimere con elementi di differenza (ad esempio con una testata che avrebbe potuto presentarsi come FakingStone, oppure RollingFake). Certo, chi legge non dovrebbe limitarsi al titolo, ma approfondire. Ma non sono sicuramente poche le persone che, anche leggendo l’articolo, per buona fede o ingenuità non si renderanno conto che si tratta di una notizia falsa e quindi credere che sia vera.

Questi aspetti ci fanno capire quanto l’argomento sia dunque da trattare con una certa attenzione: questa vicenda si focalizza sull’interpretazione della non-credibilità dell’autore di una notizia e chi ritiene che il tema dell’informazione vada affrontato con serietà non può accettare che possa costituire un precedente, importante al punto da mettere in discussione un fenomeno così rilevante e trasversale. Ritengo inoltre che finora sia stato ampiamente sottovalutato un dato di fatto: le dinamiche dei social network sono un volano efficacissimo per rendere virale la diffusione di una notizia che, senza il loro supporto, rimarrebbe confinata ad un numero limitato di lettori.

Ermes Maiolica non è più autore di fake news “educative”, ora si occupa di spiegare le dinamiche della disinformazione nelle università in veste di docente di comunicazione a contratto e ha ricevuto un riconoscimento accademico dall’Università “La Sapienza” di Roma. Ma, come dicevo inizialmente, la richiesta di archiviazione non è ancora una buona notizia per lui: il magistrato ha precisato che, benché per l’atto la procura non intenda procedere a livello penale, rimane «il diritto al risarcimento del danno» con un’azione da proseguire in sede civile. Non resta quindi che i due interessati si convincano della sua buona fede e del genuino pentimento che ha espresso in più occasioni per ritirare ogni denuncia. In bocca al lupo!

 
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Pubblicato da su 8 novembre 2021 in news, truffe&bufale

 

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Ferragnez arruolati da Giuseppe Conte. E allora?

A coloro che si scandalizzano per la scelta del presidente Giuseppe Conte di chiedere la collaborazione di Fedez e Chiara Ferragni – in quanto personaggi con notevole visibilità – per “esortare la popolazione, soprattutto quella più giovane, nell’utilizzo delle mascherine”, vorrei ricordare la vastità della loro platea, l’obiettivo che deve raggiungere una campagna di sensibilizzazione e che ogni epoca ha i suoi influencer: due anni fa Roberto Burioni dichiarò in un’intervista che gli sarebbe piaciuto vedere Fabio Rovazzi testimonial pro-vax, seguendo l’esempio del capitano della nazionale di pallavolo Ivan Zaytsev, “che ha vaccinato il figlio e ha messo la foto sui social”. D’altronde, quanti di noi sapevano che Elvis Presley nel 1956 fu chiamato ad un ruolo analogo per sensibilizzare la popolazione ad aderire alla campagna di vaccinazione contro la poliomielite? Da 58mila casi, nell’arco di dieci anni si arrivò a 910, un risultato difficile da raggiungere rimanendo nell’ambito di una comunicazione tradizionale a livello sanitario.

Qual è l’obiettivo di una campagna di sensibilizzazione? Raggiungere e convincere il maggior numero di persone possibile. E, francamente, dal momento che il fine è il contributo ad una causa che riguarda la salute pubblica, questo è uno dei mezzi più efficaci. Attenzione, questa non deve essere considerata semplicemente come una prova del fallimento della comunicazione di istituzioni e fonti autorevoli: chi si occupa di intrattenimento e spettacolo ha più presa sul pubblico di quanta ne possa avere una figura accademica. Da sempre. Per la ricerca di un testimonial, ciò che conta è quanto pubblico attrae.

 
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Pubblicato da su 20 ottobre 2020 in news

 

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