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Assistenti vocali, orecchie sempre in azione

Agli assistenti vocali come Alexa è possibile chiedere tante cose: le funzionalità si evolvono ogni giorno ma già nel loro standard permettono di fare ricerche sul web, impostare una sveglia, fissare appuntamenti, ascoltare un brano musicale in streaming, per non parlare della gestione dei dispositivi domestici “smart”. Ma, come scrivevo qualche tempo fa, si chiamano Assistenti perché assistono. Anzi: ascoltano, e lo fanno sempre, a scapito della privacy di chi li utilizza.

L’ultima notizia al riguardo viene dalla McKelvey School of Engineering della Washington University di St. Louis, le cui ricerche hanno confermato come Amazon utilizzi tutti i dati acquisiti tramite Alexa per profilare gli utenti e per destinare loro annunci pubblicitari mirati alle loro preferenze. Ma non è una novità: anni fa, da un rapporto pubblicato da Bloomberg è emersa l’esistenza di un team dedicato all’attività di ascolto e trascrizione di ciò che viene detto tramite lo smart speaker. Attività che oggi sono certamente automatizzate e che possono agire su una scala realmente ampia.

Non illudiamoci che questi dispositivi siano predisposti per attivarsi solamente in corrispondenza di una determinata frase. Certo, Alexa mostra di ascoltarci ed eseguire i comandi dopo che la chiamiamo per nome, esattamente come fanno anche Siri (Apple), Cortana (Microsoft), Google Assistant e altri assistenti vocali, come quelli a bordo delle auto. Ma per svolgere quel “compito”, l’assistente che si attiva con una determinata “parola magica” deve essere in grado di sceglierla, di distinguerla, di identificarla in mezzo al rumore, ad altri suoni… e ad altre frasi. Per rendere l’idea propongo sempre questo esempio: quando ci chiamano per nome, da quel momento rispondiamo e concediamo attenzione a chi ci ha chiamato, ma le nostre orecchie e il nostro cervello erano già “accesi” da prima.

Un assistente vocale non fa nulla di diverso e non ha alcuna difficoltà a rimanere sempre in ascolto e farsi microfono e portavoce di tutto quanto avviene tra le mura domestiche. All’insaputa di chi lo utilizza, che però dovrebbe sempre essere necessariamente informato di come vengono trattati i suoi dati personali: di chi sono le orecchie che li ascoltano? Per cosa verranno davvero impiegati? Verranno venduti ad altre organizzazioni a scopo statistico, commerciale, oppure politico?

Quanti di noi ne sono consapevoli?

 
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Pubblicato da su 31 ottobre 2023 in news

 

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Apple ferma il “gruppo di ascolto” di Siri

Apple ha diffuso un comunicato dichiarando di aver sospeso le attività di analisi delle registrazioni audio effettuate attraverso Siri (ne ho parlato due giorni fa), precisando che in occasione di uno dei prossimi update, agli utenti sarà proposta l’opzione di scegliere se partecipare o no al programma, che ha l’obiettivo di migliorare le prestazioni dell’assistente vocale. Ottima iniziativa. Ancor più apprezzabile se fosse accompagnata dalla cancellazione definitiva di tutti i contenuti audio raccolti finora all’insaputa degli utenti. Sarebbe un bel messaggio di attenzione alla privacy degli utenti e un esempio per Amazon e Google.

 
Commenti disabilitati su Apple ferma il “gruppo di ascolto” di Siri

Pubblicato da su 2 agosto 2019 in news, privacy

 

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Si chiamano assistenti perché assistono

Un assistente vocale è sempre all’ascolto: non è predisposto per attivarsi al primo suono che capta, ma in corrispondenza di una determinata frase. Quindi deve essere in grado di sceglierla, di distinguerla, di identificarla in mezzo al rumore, ad altri suoni e ad altre frasi. Non è difficile da capire: quando chiamiamo qualcuno per nome, da quel momento ci risponde e ci concede attenzione, ma le sue orecchie e il suo cervello erano già “accesi” da prima (…in condizioni normali, diciamo). Quindi, la prima cosa da capire e tenere presente quando si ha con sé (o in casa) un assistente vocale o virtuale, è questa: è in ascolto.

Ciò premesso, veniamo alle news: un servizio del Guardian rivela che per Siri – l’assistente vocale di Apple – sono impiegate persone incaricate di ascoltare l’audio raccolto per analizzarlo e catalogarne parole e frasi, allo scopo di migliorare il servizio fornito e le funzionalità della dettatura vocale. Apple dichiara che l’analisi viene effettuata su meno dell’1% delle richieste ricevute da Siri, di non associare queste registrazioni all’ID Apple degli utenti e che tutti i “revisori” sono tenuti al rispetto di rigidi vincoli di riservatezza”.

Perché anche Siri è sempre in ascolto. Ascolta i comandi che l’utente gli trasmette, ma anche le conversazioni. Può attivarsi “da solo”, perché capta una parola che assomiglia a “Hey Siri”. Se uno ha al polso un Apple Watch e alza il braccio mentre parla, anche in quel caso Siri può “svegliarsi”. L’articolo del Guardian riporta la preoccupazione di un dipendente per la gestione delle informazioni raccolte, perché possono consistere in dati personali e sensibili: “Ci sono stati innumerevoli casi di registrazioni contenenti colloqui privati tra medici e pazienti, trattative d’affari, discussioni su attività apparentemente criminali, incontri sessuali e così via. Queste registrazioni sono legate ai dati dell’utente e ne mostrano posizione, dettagli dei suoi contatti e dati relativi all’app”.

La privacy policy di Apple indica che Siri e la funzione Dettatura “non associano mai queste informazioni al tuo ID Apple, ma solo al tuo dispositivo tramite un identificatore casuale”. La fonte del Guardian però rimane perplessa per lo scarso controllo sulle persone che lavorano al servizio, per la mole di dati che possono analizzare in libertà e per la possibilità concreta di identificare comunque qualcuno in base ad alcuni dati forniti in modo accidentale: indirizzi, nomi, numeri telefonici sono i più semplici e, banalmente, possono facilmente essere riconducibili ad una persona.

Niente di diverso da ciò che accade con Alexa, assistente vocale di Amazon: come sappiamo da un rapporto pubblicato da Bloomberg, l’azienda ha un team di dipendenti e collaboratori che ascoltano e trascrivono ciò che viene captato. Analogo discorso vale anche per il Google Assistant. E, come ho avuto modo di ricordare su queste pagine un paio di mesi fa, le informazioni personali a disposizione di Google a questo proposito sono decisamente molte.

E’ sempre necessario che l’utente, per quanto riguarda i propri dati personali, sia correttamente e completamente informato sulla loro destinazione (di chi sono le mani e le orecchie in cui finiscono?) e sul loro utilizzo, sia esso di carattere tecnico, commerciale, politico o di qualsivoglia altra natura. E’ stato appurato che esistono aziende che hanno uno o più team di persone dedicate ad ascoltare e analizzare dati personali raccolti dal loro assistente vocale.Il fatto che questo si scopra solo attraverso un’inchiesta giornalistica – e non dalle condizioni del servizio – non è esattamente tranquillizzante, per chi ha a cuore la riservatezza delle proprie informazioni.

 
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Pubblicato da su 31 luglio 2019 in news, privacy

 

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