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La Netflix della cultura italiana? Ottima idea, ma…

Il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo sta puntando su Chili – azienda privata che distribuisce film e serie TV via Internet – per la realizzazione di una “Netflix della cultura italiana”. Prima perplessità: perché rivolgersi ad un’azienda come Chili quando esiste un servizio pubblico già strutturato su cui si potrebbe investire per dedicare una propria divisione a questo scopo? In parole povere: perché cercare l’appoggio di un privato quando si potrebbe investire su Rai, e in particolare su RaiPlay?

Lo scorso aprile il ministro Dario Franceschini aveva dichiarato in un’intervista:

Stiamo ragionando sulla creazione di una piattaforma italiana che consenta di offrire a tutto il mondo la cultura italiana a pagamento, una sorta di Netflix della cultura, che può servire in questa fase di emergenza per offrire i contenuti culturali con un’altra modalità, ma sono convinto che l’offerta online continuerà anche dopo: per esempio, ci sarà chi vorrà seguire la prima della Scala in teatro e chi preferirà farlo, pagando, restando a casa

Trattandosi di un’idea esposta dal ministro avrei trovato naturale, da parte dello Stato, rivolgersi al servizio pubblico televisivo per la realizzazione di questo obiettivo che, sottolineo, reputo nobile e ammirevole. Leggo invece, su Artribune e tvzoom.it, che la scorsa settimana il Consiglio di Amministrazione di Cassa Depositi e Prestiti ha preso la decisione di investire 9 milioni di euro in un progetto che prevede la costituzione di una joint venture, di cui CdP avrà il 51%, con Chili (che avrà il restante 49%), e a cui parteciperà anche il ministero guidato da Dario Franceschini, che contribuirà con 10 milioni: “Stiamo lavorando, anche in previsione delle risorse del Recovery Fund, su grandi progetti tra cui la nascita della Netflix della cultura italiana e una digital library nazionale, grazie a cui saremo in condizione di trattare con i giganti della rete in una posizione di forza”.

Come riporta Artribune, l’idea è quella di realizzare una nuova piattaforma che promuova la cultura italiana nel mondo, permettendo ai propri abbonati di partecipare agli appuntamenti che avranno luogo in Italia: concerti, prime teatrali, fiere, mostre e altri eventi.

Senza alcun pregiudizio sarei davvero interessato a capire i motivi della scelta di un soggetto privato, dal momento che Rai è già fisiologicamente strutturata per diffondere intrattenimento e cultura: si possono muovere molte critiche (costruttive, sia chiaro) a come viene gestito il servizio pubblico, ma è doveroso riconoscere gli sforzi e gli investimenti che sono stati profusi per realizzare RaiPlay: poco più di un anno fa – il 28 ottobre 2019 – il (ri)lancio di questa piattaforma digitale era avvenuto con toni trionfalistici che annunciavano “un vero e proprio canale over-the-top”. “Quello che presentiamo oggi è un progetto multipiattaforma che può fare solo la Rai a livello internazionale…” aveva sottolineato l’amministratore delegato Fabrizio Salini.

Se queste dichiarazioni non trovano riconoscimento da parte del MIBACT, il cui progetto sarebbe strutturalmente compatibile con questo “canale over-the-top”, significa che il modello RaiPlay è diverso da come ci è stato presentato. Ma rimango dell’idea che, per perseguire un obiettivo di comune interesse come quello indicato dal ministro Franceschini, andrebbero valorizzate e implementate le risorse del servizio pubblico, per evitare di creare doppioni e sovrapposizioni, che portano alla dispersione degli investimenti già effettuati, nonché per destinare fondi a obiettivi più “bisognosi”.

 
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Pubblicato da su 30 novembre 2020 in news

 

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Complimenti per la… convenzione

ComplimentiPerLaConnessione

Quindi il compito di educazione e alfabetizzazione digitale assunto dalla Rai in funzione del proprio ruolo di concessionaria del servizio pubblico nel corso dell’estate verrà affidato ad una sit-com  trasmessa in prima serata con Nino Frassica, Simone Montedoro e Francesco Scali (dall’11 luglio).

Marco Camisani Calzolari e Alessandro Longo, potreste chiedere di mandare in onda le repliche dei vostri interventi a Unomattina?

 

 

 

 
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Pubblicato da su 1 luglio 2016 in news

 

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Canone Speciale Rai, le aziende devono pagare? Una tabella da leggere

Molte aziende – di ogni ordine di dimensioni e di forma giuridica – stanno ricevendo in questi giorni dalla RAI una lettera che informa che le vigenti disposizioni normative impongono l’obbligo del pagamento di un canone speciale a chiunque detenga, fuori dall’ambito familiare, uno o più apparecchi atti o adattabili – quindi muniti di sintonizzatore – alla ricezione delle trasmissioni televisive, indipendentemente dall’uso al quale gli stessi vengono adibiti.

Le vigenti disposizioni normative sono l’art. 27 del RDL 246/1938, l’art. 2 D.L.lt. 458/1944 e l’art. 16 L.488/1999.

Dopo aver riposato gli occhi che avrete debitamente sgranato, constatando che la materia viene regolamentata (oltre che da una Legge del 1999) da una norma letteralmente dell’anteguerra e un’altra risalente comunque all’epoca della Seconda Guerra Mondiale, se avete la responsabilità amministrativa di un’azienda – grande o piccola non importa – vi starete chiedendo se questo canone sia da pagare oppure no.

In questo Canone, a mio avviso, ci sarebbero molti aspetti da approfondire. Quelli che hanno calamitato la mia attenzione, e su cui credo sia opportuno condividere le dovute riflessioni, sono due.

1. Chi deve pagare

La lettera parla di apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni TV, al netto dell’utilizzo che se ne fa, perché muniti di sintonizzatore. In questa categoria, oltre ai semplici decoder e ai televisori muniti di decoder integrato, rientrano – ahimé – anche i cosiddetti Monitor/TV, apparecchi monitor dotati di decoder, spesso commercializzati anche nei punti vendita di elettronica e nei supermercati; se un’azienda ha uno o più apparecchi di questo tipo, ovviamente ricadrebbe nell’ambito di applicazione di questo obbligo di pagamento del canone, se invece l’azienda dispone di monitor normali privi di sintonizzatore, l’obbligo non appare applicabile. Sul sito RAI è presente un prospetto – che riporto nel seguito – in cui è spiegato con chiarezza quali sono gli apparecchi per i quali è necessario pagare il canone, sono indicati nelle prime due colonne.

Tabella_AS[1]

2. Quanto e cosa si deve pagare

Argomento non nuovo, ma lo ripropongo a titolo di riflessione perché riguarda un concetto che può sfuggire a molti. Il canone Rai è un’imposta, la Rai non lo dichiara chiaramente, ma se lo fa sfuggire in una pagina del proprio sito web. Al netto della magra consolazione data dalla deducibilità dal reddito d’impresa (micro-privilegio non accessibile ai privati), questa è un’imposta anche se viene devoluta direttamente alla Rai senza passare dall’Erario. Quindi, per la sua natura di tributo, non è comprensibile che – come si legge chiaramente sul bollettino di c/c postale, in basso a sinistra – l’importo del canone Rai sia comprensivo di IVA che, seppur applicata con aliquota del 4%, è anch’essa un’imposta (quella sul valore aggiunto).

Sarebbe tempo di dare regolarizzazione a questa assurda applicazione di un’imposta applicata su un’altra imposta, e questo vale tanto per il canone Rai quanto per qualsiasi altro tributo elevato a potenza.

Ultimo aspetto, non banale: i bollettini di c/c postale – quelli che ho visto io, almeno – non indicano la scadenza, quindi non specificano un termine entro il quale sia necessario pagare. E questo rende ancora più difficile sanzionare qualcuno per non aver rispettato un termine che non esiste.

 
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Pubblicato da su 25 giugno 2014 in news

 

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EH!?

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La presenza di Mario Monti al microfono di Amedeo Goria è stato un colpo di scena abbastanza prevedibile (ma inaspettato fino a poco tempo fa). La domanda “Quando usciamo dalla crisi?” (formulata da Mazzocchi e rilanciata da Goria), a cui ha fatto seguito una prevedibilissima non-risposta, ci offre la misura dello spessore dei personaggi televisivi retribuiti con il canone Rai.

 
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Pubblicato da su 1 luglio 2012 in media

 

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Rai: canone ordinario solo per il televisore

E’ in due comunicati stampa diffusi nelle scorse ore che la RAI spiega la propria posizione in merito alla recente querelle sul canone da far pagare anche per strumenti diversi dagli apparecchi televisivi.

Questo il primo:

Con riferimento alla questione relativa al pagamento del canone di abbonamento alla tv, si precisa che le lettere inviate da Rai non si riferiscono al canone ordinario (relativo alla detenzione dell’apparecchio da parte delle famiglie) ma si riferiscono specificamente al cosiddetto canone speciale cioe’ quello relativo a chiunque detenga – fuori dall’ambito familiare (es. Imprese, societa’, uffici) – uno o più’ apparecchi atti o adattabili alla ricezioni di trasmissioni radiotelevisive.

Cio’ in attesa di una più’ puntuale definizione del quadro normativo-regolatorio.

Precisazione resa opportuna probabilmente da un maldestro passaparola precedente (dicono), giacché anche gli spot televisivi (comunque fuorvianti, per aver mostrato i moderni dispositivi mobili tra i presupposti del pagamento del canone) facevano riferimento al canone speciale.

Questo è il secondo:

La Rai, a seguito di un confronto avvenuto questa mattina con il Ministero dello Sviluppo Economico, precisa che non ha mai richiesto il pagamento del canone per il mero possesso di un personal computer collegato alla rete, i tablet e gli smartphone.

La lettera inviata dalla Direzione Abbonamenti Rai si riferisce esclusivamente al canone speciale dovuto da imprese, società ed enti nel caso in cui i computer siano utilizzati come televisori (digital signage) fermo restando che il canone speciale non va corrisposto nel caso in cui tali  imprese, società ed enti abbiamo già provveduto al pagamento per il possesso di uno o più’ televisori. Cio’ quindi limita il campo di applicazione del tributo ad una utilizzazione molto specifica del computer rispetto a quanto previsto in altri Paesi europei per i loro broadcaster (BBC…) che nella richiesta del canone hanno inserito tra gli apparecchi atti o adattabili alla ricezione radiotelevisiva, oltre alla televisione, il possesso dei computer collegati alla Rete, i tablet e gli smartphone.

Si ribadisce pertanto che in Italia il canone ordinario deve essere pagato solo per il possesso di un televisore.

Sul sito della RAI, nella sezione dedicata al canone speciale, si legge:

Cos’è e chi deve pagare

Devono pagare il canone di abbonamento speciale coloro che detengono uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni radio televisive in esercizi pubblici, in locali aperti al pubblico o comunque fuori dell’ambito familiare, o che li impiegano a scopo di lucro diretto o indiretto. R.D.L.21/02/1938 n.246 e D.L.Lt.21/12/1944 n.458

Quindi per quanto riguarda il canone ordinario, quello pagato dai nuclei familiari, è tutto chiaro: si paga solo per il possesso del televisore domestico. Il canone speciale deve essere pagato solo dalle aziende che hanno una TV o utilizzano dispositivi differenti allo stesso scopo (un esempio di digital signage: monitor, display o video wall che diffondono segnali televisivi – ricevuti anche via web – presenti nelle reception, nelle sale mensa o in altre aree di un’azienda).

Tutto tranquillo, dunque? E’ da vedere, e vedremo se la risposta ad alcune interrogazioni parlamentari in materia sarà esaustiva. Nel frattempo, nelle FAQ del sito RAI in cui si parla di canone, si dice tutt’altro

 
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Pubblicato da su 21 febbraio 2012 in news, News da Internet

 

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TG decadence


  • Augusto Minzolini ha lasciato ieri la poltrona di direttore del TG1 (che, a quanto pare, occupava con una qualifica leggermente diversa, che ne impedirebbe il licenziamento aprendo la strada del trasferimento)
  • Enrico Mentana ha lasciato oggi la poltrona di direttore del TG La7 (ma è un abbandono verosimilmente passeggero)
  • Gli italiani non credono più ai TG e cercano sempre più un’informazione autonoma tramite Internet e social network
 
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Pubblicato da su 14 dicembre 2011 in news

 

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