Francamente queste richieste di danni futili del Codacons hanno un po’ stancato. L’ultima è di ieri, in seguito al “down” di circa un’ora da parte di WhatsApp, Instagram e Facebook. Cito dal loro comunicato stampa (aggiungo il grassetto nelle frasi più “pregne”):
In un momento in cui milioni di italiani sono costretti a lavorare in smartworking, disservizi come quello odierno causano pesanti disagi e rallentano l’attività dei cittadini, impendendo di inviare messaggi anche importanti – spiega il Codacons – Anche Instagram risulterebbe coinvolto nei disagi, ma è soprattutto il down di Whatsapp a scatenare le ire degli utenti e a creare i maggiori problemi.
Non è la prima volta che in Italia si registrano simili black out, che in questo periodo di emergenza sanitaria e di smartworking forzato appaiono ancora più gravi – prosegue l’associazione – Per questo chiediamo a Facebook, proprietaria di WhatsApp e Instagram, di risarcire in modo automatico tutti gli utenti italiani coinvolti nel disservizio odierno, studiando assieme al Codacons le forme di indennizzo più adeguate.
E non è la prima volta nemmeno per una richiesta di danni del Codacons a WhatsApp. Lo ha fatto anche nel 2017, ritenendo che l’azienda dovesse “risarcire i propri utenti (…) perché il danno per i consumatori è stato evidente. In tal senso chiediamo a WhatsApp di studiare forme di indennizzo automatico in favore degli utenti italiani coinvolti nel blocco del servizio registrato mercoledì 3 maggio”. Notare la ricorrenza di queste richieste di “indennizzo automatico”. Chi ricorda l’entità dell’indennizzo ottenuto per il “down” del 2017 sa già l’entità del risarcimento che si potrà ottenere per il disservizio di ieri. Chi non lo ricorda può arrivare agevolmente alla medesima conclusione.
Un risarcimento (automatico mi raccomando, ammesso che sia dimostrabile un automatismo da applicare ad un servizio che ognuno usa a propria discrezione) è dovuto quando si verifica una violazione alle condizioni di utilizzo e ai termini di servizio che l’utente ha sottoscritto, magari pagando un canone. WhatsApp però è gratuito e i termini di servizio sono molto asciutti in questo senso:
Non forniamo rimborsi per i nostri Servizi, fatti salvi i casi in cui è richiesto dalla legge.
Le parti di WhatsApp non saranno responsabili nei confronti dell’utente per lucro cessante o danni consequenziali, speciali, punitivi, indiretti o accidentali relativi a, derivanti da o legati ai nostri termini, a noi o ai nostri servizi (comunque causati e in base a qualsiasi ipotesi di responsabilità, compresa la colpa), anche nel caso in cui le parti di whatsapp fossero state avvisate dell’eventualità del verificarsi di tali danni.
Un risarcimento – o rimborso – implica che in precedenza vi sia stato un “esborso”, un pagamento per un servizio. Se non usufruito, il valore va rimborsato. Gli utenti di WhatsApp hanno versato zero. Per cui l’entità di un “rimborso automatico” è presto calcolata.