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Banda ultralarga, tablet e pc: via al voucher, ma…

Non chiamatelo bonus pc, perché non è solo quello: si apre oggi la fase 1 del piano voucher, mirato a favorire la diffusione di connessioni a banda ultralarga – dove disponibili, ovviamente – e l’utilizzo di nuovi dispositivi come pc o tablet. Non si assisterà al calvario vissuto per il bonus mobilità, perché la richiesta dovrà essere effettuata con modalità completamente diverse. Per accedere al bonus, infatti, è necessario rivolgersi a uno degli operatori accreditati che fanno parte dell’elenco pubblicato da Infratel in fondo a questa pagina: https://www.infratelitalia.it/archivio-news/notizie/piano-voucher-aggiornamenti (sono elencati in ordine sparsissimo, ma tranquilli: è una tabella xls, quindi potete quantomeno riordinarla in ordine alfabetico).

A questa fase 1 possono accedere le famiglie che hanno un ISEE non superiore ai 20mila euro, aderendo ad un’offerta che include l’abbonamento per almeno un anno ad un servizio di connettività a banda ultralarga (almeno 30 Mpbs in download e 15 in upload), a cui si aggiunge un dispositivo, da ottenere in comodato d’uso e che potrà diventare di proprietà del richiedente dopo un anno. Gli aspiranti beneficiari dovranno presentare all’operatore accreditato la domanda di ammissione al contributo, compilata con i propri dati e con la dichiarazione, oltre a quella del valore dell’Isee, di non essere già utenti di una connessione a banda ultralarga.

Non mancano gli aspetti critici:

  • l’AIRES (Associazione Italiana Retailer Elettrodomestici Specializzati), insieme ai rivenditori di prodotti informatici, ha lamentato che questo voucher favorirebbe i provider di servizi di connettività, escludendo peraltro i venditori di tablet e pc, togliendo alle famiglie la libertà di scelta sul prodotto;
  • come si vede dal sito Infratel, i residenti di alcuni comuni, appartenenti ad alcune regioni, sono stati esclusi dalla possibilità di partecipare. Alcune associazioni lamentano inoltre che – mentre a Lombardia e Lazio sono stati destinati rispettivamente il 4,3 % e il 2,64% delle risorse disponibili – il 20% dei fondi andrà invece a beneficio della Sicilia, il 18,6% alla Campania e il 14% alla Puglia;
  • le risorse sono limitate, pertanto – oltre alla ripartizione territoriale – per l’ammissione conterà anche l’ordine cronologico di presentazione delle domande agli operatori.

Non trascurabili, per quanto riguarda l’ultimo aspetto, alcune contraddizioni, una fra tutte: chi si rivolge online agli operatori accreditati potrebbe rivelarsi più tempestivo, e quindi riuscire a ottenere il voucher, a scapito di quelle famiglie digital divise non dotate di risorse adeguate per effettuare questa operazione online, ma che in realtà potrebbero essere quelle più bisognose di un aiuto per dotarsi delle tecnologie previste.

Altro aspetto da considerare – qui come per qualsiasi altro “aiuto di Stato” – è la possibilità concreta che il bonus venga ottenuto da chi non ha affatto problemi economici, ma sia in grado di ottenere formalmente un Isee basso, per condizioni ufficiali diverse da quelle effettive, sottraendo risorse a famiglie realmente bisognose. Ma questi problemi ovviamente si legano a concetti legati a valori come onestà, coscienza ed etica, che alcune persone spesso fingono di rivendicare, senza mai averli fatti propri.

 
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Pubblicato da su 9 novembre 2020 in news

 

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Brexit, conseguenze su economia digitale e innovazione

Su AgendaDigitale c’è l’interessante riflessione “Brexit: le conseguenze sull’economia digitale e l’innovazione” che illustra le ricadute “digitali” del risultato referendario sulla Gran Bretagna e i possibili cambiamenti di scenari e protagonisti nel settore.

E’ tutta da leggere, io evidenzio solo quanto mi ha colpito maggiormente:

  1. A voler vedere il bicchiere mezzo pieno, invece che mezzo vuoto, si può pensare che si aprono nuove prospettive per altre zone che volessero candidarsi a diventare la nuova Silicon Valley europea. Secondo Sacco, le piazza alternative a Londra sono Francoforte, Parigi, Milano. La capitale francese ha il problema dello scetticismo americano, determinato anche dal fatto che non si parla inglese. Francoforte, continua Sacco «è una città molto piccola, non è l’ideale per l’innovazione». Milano, paradossalmente, potrebbe avere una carta da giocare. «Lo dico a malincuore, ma potrebbe essere una valida opportunità». Perché a malincuore? Perché la Brexit è un colpo molto difficile «per tutto il continente, per il progetto europeo, per quello che voleva dire. Non sarà una periodo facile da affrontare».
  2. Carnevale Maffè, invece, ritiene che le due alternative migliori siano Dublino e Francoforte. Milano, e l’Italia, scontano un contesto normativo non certo ideale per il fare impresa, Parigi è penalizzata dal fattore linguistico. Perché Dublino? Perché «l’Irlanda ha una tassazione favorevole sulle attività economiche, parla inglese, uno status giuridico sostanzialmente simile a quello britannico, ad esempio sul fronte della protezione della proprietà intellettuale, già oggi è sede di istituzioni finanziarie e di asset management europee. E’ uno dei candidati più semplici», conclude il docente, che come seconda opzione cita invece Francoforte, che rispetto a Dublino vanta migliori comunicazioni (ad esempio, l’aeroporto).

Da problema a opportunità?

 

 

 

 

 
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Pubblicato da su 27 giugno 2016 in news

 

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