Ha chiuso i battenti ieri la versione consumer (cioè quella “aperta al pubblico”) di Google Plus, ma in pochi si sono accorti di questa “dipartita”, perché in effetti pochi ne conoscevano o ricordavano l’esistenza. Google Plus, indicato anche come Google+ oppure G+, è stato l’ennesimo vano tentativo di inseguire Facebook con un social network che, non essendo mai realmente decollato, è stato “farcito” automaticamente di utenti grazie ad un legame automatico con gli account dell’universo Google, con l’inclusione “coatta” degli utenti degli smartphone con sistema operativo Android.
Insomma un social senz’anima, non desiderato e quindi ignorato, la cui fine era inevitabile. Ma non è nella sua scarsa vitalità il vero motivo che ne ha reso opportuna la chiusura. Un altro problema – ben più rilevante – ha spinto il gruppo a chiudere il capitolo Google Plus: un bug che ha reso accessibili al mondo i dati personali legati a 500mila account, una vulnerabilità che l’azienda conosceva da tempo, ma che era stata tenuta nascosta e ammessa solo in seguito ad un’inchiesta del Wall Street Journal.
La falla avrebbe reso potenzialmente consultabili agli sviluppatori di 488 app vari dati personali come nome, cognome, indirizzo civico e mail, sesso, data di nascita, professione. Una finestra aperta dal 2015 al 2018 e chiusa solo nel marzo dello scorso anno, quando Google ha individuato e risolto il problema. senza però renderlo noto. “Per via della limitata entità del problema” dirà poi l’azienda. Per evitare danni di immagine e pesanti sanzioni, pensiamo noi.
Solamente dopo la pubblicazione dell’inchiesta da parte del WSJ c’è stato l’annuncio da parte di Google dell’avvio di una serie di azioni intraprese a tutela delle informazioni degli utenti. La prima della lista? La chiusura di Google+.