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INPS down, colpa di un click day che non lo era

Chi ha provato oggi ad accedere al sito dell’INPS, dopo varie peripezie, potrebbe essersi imbattuto nel messaggio riportato nell’immagine (la faccina scoraggiata è mia). La stampa ha riferito dei molti problemi lamentati dagli utenti che nelle ultime ore hanno tentato di presentare online la domanda per i bonus baby-sitting e quello di 600 euro previsto dal decreto “Cura Italia” per alcune categorie di lavoratori autonomi e p.iva. A quanto pare si è verificato di tutto: c’è chi non è mai riuscito ad entrare e c’è chi è riuscito ad accedere, visualizzando però dati anagrafici di un altro utente (e ricaricando la pagina web, l’anagrafica cambiava e mostrava dati ancora differenti). Ad un certo punto, in seguito ai disservizi lamentati dagli utenti il sito è stato chiuso, con le dichiarazioni del presidente dell’INPS Pasquale Tridico che ha attribuito a un attacco hacker la causa dei problemi, attacco che – stando alle dichiarazioni – sarebbe stato ricevuto stamattina e anche nei giorni scorsi.

A livello di infrastruttura tecnologica, certamente non è un gioco da ragazzi prepararsi a ricevere milioni di contatti a pochi giorni dalla pubblicazione del decreto, e questa considerazione va a difesa dell’INPS e di chi ne gestisce il sistema deputato a ricevere eccezionalmente quei milioni di domande. Ciò premesso, alcune osservazioni mi sorgono spontanee:

  • faccio un po’ fatica a credere che oggi l’INPS abbia aperto al pubblico la ricezione delle domande per il bonus, nella consapevolezza di essere sotto attacco da giorni e di essere quindi vulnerabile, sottoponendosi al rischio di subire seri problemi;
  • il fatto che un utente abbia potuto accedere a un’anagrafica altrui (nonostante il suo accesso fosse autenticato) e il refresh della pagina lo abbia portato alla visualizzazione di altri dati, più che al pesce di aprile di un fantomatico hacker fa pensare ad un’errata impostazione, di indirizzamento dell’utente o di cache;
  • le idee non erano chiare già in partenza: se da un lato risultava evidente che il meccanismo era quello di un “click day” – che prevede l’accoglimento delle domande in ordine cronologico, per cui il “chi tardi arriva, male alloggia” impone che la domanda vada presentata al più presto possibile – dall’altro lato sul sito web si leggeva la rassicurante indicazione “Tutte le richieste saranno esitate. Vi preghiamo di non ingolfare il sito!”, contraddittoria rispetto al fatto che le coperture definite dal governo non erano sufficienti a soddisfare le domande. Ma lo dicono dall’Inps, quindi… tutti rassicurati.

I fatti sono comunque evidenti, il sito ha avuto problemi, si è ingolfato ed è stato chiuso. Durante l’ingolfamento si sono verificati però problemi di esposizione di dati personali altrui, dati ovviamente riservati e che andavano protetti e tutelati secondo la legge e questo obbliga l’INPS a comunicare entro 72 ore il data breach sia al Garante della Privacy che agli utenti interessati. “Dall’una di notte alle 8.30 circa, abbiamo ricevuto 300mila domande regolari” ha dichiarato il presidente dell’INPS. I problemi sono stati rilevati quando il traffico dati è aumentato

Si poteva risolvere diversamente? Sì, forse potenziando l’infrastruttura. Ma, come dicevo sopra, non è un gioco da ragazzi e il problema non si risolve installando qualche apparato e stendendo qualche cavo in più. Non avendo molto tempo a disposizione, si sarebbe potuto adottare fin dall’inizio la soluzione di scaglionare gli accessi.

Di sicuro non era possibile risolvere tutto con un’autodichiarazione.

PS: a proposito di attacchi… anche gli hacker prendono le distanze!

 
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Pubblicato da su 1 aprile 2020 in brutte figure, news, privacy

 

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La Banca d’Italia e l’avviso sulla moneta scritturale

La Banca d’Italia si è vista costretta a pubblicare un avviso al pubblico per spiegare – a tutti, ma soprattutto a chi ha scritto e letto sul web notizie in materia – che l’unica forma di moneta legale è la moneta emessa dalla Banca Centrale Europea (BCE), pertanto la moneta scritturale che qualcuno ha pensato di poter creare in forma autonoma per utilizzarla come strumento di pagamento dei propri debiti ha più o meno lo stesso valore delle banconote di Monopoly, con buona pace di chi persegue l’obiettivo della sovranità monetaria individuale. Che è talmente individuale da non essere vincolante per il resto del mondo, più che libero di non riconoscere – e quindi non accettare – moneta generata da qualcuno che si trova al di fuori del sistema bancario.

Citare l’esempio di Barcellona – che sta avviando la sperimentazione di una moneta virtuale battuta direttamente dal Comune – appare improprio e non conferma la legittima possibilità di creare moneta, in quanto il test della città catalana fa parte di un progetto per stimolare l’economia “sociale e solidale”, coperto da uno stanziamento di 24 milioni di euro. L’idea è molto simile a quella che ha portato alla “coniazione” di altre monete come il Bristol Pound – moneta complementare riconosciuta dall’amministrazione comunale di Bristol ed emessa dalla banca locale – che non è creata dal nulla, in quanto la sua emissione è garantita da un corrispondente importo in sterline ufficiali depositato in un conto bancario. Lo scopo è il medesimo del progetto avviato a Barcellona: far girare l’economia locale, con particolare attenzione alle attività artigianali e commerciali, con l’utilizzo di una moneta che non sfugge al controllo e alla vigilanza di un istituto bancario, necessario all’estero come in Italia:

Beninteso: qui non si intende discutere in merito agli effetti nocivi del funzionamento del sistema bancario sul tessuto economico e sociale, si sta solo chiarendo che non è possibile aspettarci che qualcuno, a pagamento dei nostri debiti, accetti una banconota fatta da noi, o emessa da qualcuno che non è un istituto bancario.

 
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Pubblicato da su 14 giugno 2017 in news

 

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Banda larga, e i fondi?

Esattamente tre anni fa il Governo annunciò un programma di investimenti da 800 milioni di euro per la banda larga, per poi congelarlo solo 19 giorni dopo. Nei mesi successivi, in quel freezer sono entrati altri denari, ma poi lo stanziamento è stato pesantemente saccheggiato (quasi un anno dopo le risorse furono ridotte a 100 milioni e poi reintegrate fino ad arrivare a circa 450 milioni). Dopo tutto questo tira-e-molla, se qualcuno dice che “Sono saliti a un miliardo di euro i fondi pubblici utilizzabili per estendere la banda larga e larghissima nelle zone a fallimento di mercato, grazie a nuovi contributi che arrivano dalle Regioni”, lo scetticismo è più che legittimo.

D’altronde, siamo qui a sognare la fibra e non siamo in grado di sfruttare nemmeno le potenzialità del rame….

 
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Pubblicato da su 16 ottobre 2012 in Internet, News da Internet, tecnologia, telefonia, TLC

 

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