Pubblicare un Catalogo profili Facebook di donne single della provincia (uno per Lecco e uno per Monza e Brianza) è stata – sotto ogni punto di vista – un’idea inopportuna ed infelice. Astenendomi in questa sede dall’esprimere giudizi di altro genere in proposito, non mi soffermo a discutere dell’effettivo intento che può aver spinto l’autore a comporlo e pubblicarlo: a lui spettano le spiegazioni, a noi decidere se credergli o meno. Accantono anche le motivazioni avanzate da alcune donne che denunciano una violazione dei propri diritti: in questo ambito la situazione è sicuramente tanto eterogenea quanto lo sono gli obiettivi di chi si dichiara single su Facebook (se è vero che esistono utenti che vogliono attirare l’attenzione, è altrettanto vero e comprensibile che non tutte gradiscano che questa condizione abbia una visibilità amplificata o globale).
Oggettivamente si tratta di una raccolta di informazioni personali reperibili su Facebook, relative a profili femminili di utenti che si sono dichiarate single, sia maggiorenni che minorenni: al social network è infatti consentita l’iscrizione ad utenti con età minima di 13 anni, ma – essendo facile eludere i controlli in merito – è possibile trovare iscrizioni di utenti ben più giovani. In ogni caso si tratta di una fascia di età delicata, in cui la maturità e la consapevolezza delle conseguenze di questa esposizione mediatica non sono affatto scontate e – indipendentemente dall’irresponsabilità altrui – una persona maggiorenne e vaccinata non può non tenerne conto, prima di far uso delle informazioni personali di altre persone.
Poco importa, quindi, che nell’introduzione si legga «Tutti i dati riportati erano presenti in pagine internet pubblicamente accessibili con la sola condizione di possedere un account Facebook». Questa raccolta di dati personali è stata messa in vendita, con il nome di “Catalogo” (che per sua natura è una pubblicazione da sfogliare e da cui “scegliere”), e che in copertina riporta la scritta «Al costo di un singolo drink! Quanto tempo impiegheresti per cercarle tutte?». Inoltre i profili sono corredati da foto, i cui diritti di utilizzo sono dell’utente e di Facebook, nella misura stabilita dall’utente nelle impostazioni che ha fissato per la pubblicazione e condivisione dei contenuti. Non facciamoci ingannare dal fatto che giornali e telegiornali attingono a piene mani dai profili Facebook delle persone di cui parlano in cronaca: la possibilità di diffondere informazioni non contempla ciò che è coperto da diritti di proprietà intellettuale degli utenti.
Testi e immagini condivisi su un social network rientrano a pieno titolo in questa fattispecie, come spiegato dalla giurisprudenza. Rassegnarsi e assuefarsi a questo abuso è sbagliato e rende moralmente complici di chi lo compie. L’articolo 167 del Codice della Privacy prevede fino a tre anni di reclusione per chi esercita un trattamento illecito di danni personali. Anche le Condizioni di uso di Facebook parlano chiaro: l’accesso ai dati condivisi in modalità “pubblica” è per chiunque, ma non è consentito raccogliere contenuti o informazioni degli utenti senza autorizzazione. Se non ne è consentita la raccolta e il trattamento, come potrebbe esserlo la diffusione in una pubblicazione indipendente?