RSS

Archivi tag: whatsapp

Telelavoro, smart working, didattica a distanza. Ci voleva il coronavirus?

Necessità di limitare gli spostamenti, scuole chiuse, zone rosse, rischi di contagio: la diffusione epidemica del nuovo coronavirus obbliga ad alcuni cambiamenti nello stile di vita, resi necessari dalle varie misure di contenimento, adeguate giorno per giorno da chi ha la responsabilità di salute e ordine pubblico. Questi cambiamenti hanno portato alla “scoperta” di opportunità già esistenti, ma finora ignorate da molti per impreparazione o refrattarietà culturale, cioè il telelavoro, lo smart working e la formazione a distanza.

I primi due spesso sono confusi ed erroneamente identificati nello stesso concetto, ma anche se possono avere alcuni punti in comune, si tratta di due approcci diversi:

  • il telelavoro (lavoro a distanza) permette di lavorare altrove rispetto al posto di lavoro, solitamente a casa propria, con l’ausilio di strumenti tecnologici che consentono di mantenere un collegamento con la sede lavorativa, nel rispetto degli orari stabiliti dal datore di lavoro, che possono favorire anche la contemporaneità lavorativa con altri colleghi;
  • lo smart working permette di non essere legati ad un unico luogo in cui svolgere il proprio lavoro; può trattarsi di casa propria, di una sede staccata o anche di una panchina al parco; a differenza del telelavoro non ci sono obblighi sul rispetto dell’orario, ma obiettivi da raggiungere. Per favore, però, evitiamo l’etichettatura lavoro agile: si tratta di una prestazione lavorativa (o collaborazione) gestita autonomamente.

La recente crescita italiana di queste attività svincolate dal posto di lavoro è conseguenza dell’emergenza sanitaria di questo periodo. Certo non è sempre possibile avvalersi di queste possibilità in un Paese di piccole e medie imprese, molte delle quali con attività manifatturiera, ma con lo sviluppo dei servizi non è impensabile estenderne la diffusione. Fino allo scorso anno in Europa gli italiani che lavoravano in una di queste forme erano il 4,8%. Per fare un confronto rapido: nei Paesi Bassi si sfiora il 36% di lavoratori che sfruttano queste possibilità, in Svezia il 35%. Vedremo se e come evolverà la situazione in questo senso.

Ma anche il mondo dell’istruzione può – anzi deve – evolversi in questo senso, e qui credo che l’argomento meriti una migliore messa a fuoco. Le scuole chiuse stanno facendo emergere esigenze importanti, non solo perché gli studenti si devono mantenere in esercizio (e quindi gli insegnanti devono assegnare compiti a casa in modo alternativo a quello consueto), ma anche perché si deve seguire quella programmazione che la sospensione e la chiusura dell’attività scolastica hanno interrotto. In quest’ottica, le nuove tecnologie della comunicazione possono essere di supporto alla didattica a distanza. Ma le nostre scuole sono pronte a questo? Insegnanti e studenti sono dotati di risorse e strumenti adeguati?

Quando si è parlato dell’utilizzo degli smartphone a scuola ho avuto modo di evidenziare:

In buona parte delle nostre scuole oggi mancano infrastrutture tecnologicamente adeguate (soprattutto in termini di connettività – ad Internet e interna – e di attrezzature) e sul fronte degli insegnanti è necessario provvedere ad una formazione idonea all’acquisizione di competenze mirate in tal senso. Naturalmente attuare tutto questo non è possibile senza provvedere ai necessari investimenti in questa direzione, un presupposto fondamentale per porre le basi di un serio processo di alfabetizzazione digitale.

In mancanza d’altro, troviamo insegnanti volenterosi che inviano materiale didattico ai propri studenti tramite mail o messaggi WhatsApp, tentativo lodevole all’insegna del “si fa quel che si può”. Ma questa non può essere LA soluzione, anche se supera in modo rudimentale due considerevoli lacune: la mancanza di una piattaforma scolastica per la didattica a distanza e il digital divide culturale di una parte degli insegnanti e degli studenti (e no, nel 2020 la frase “non sono tecnologico” non ha più giustificazione: con uno smartphone sono tutti pronti a chattare e diventare leoni da tastiera, a scattarsi selfie, a pubblicare “stati” e “storie” con foto ritoccate e filtrate, a utilizzare app più o meno utili… ma nel momento in cui c’è una funzione seria e utile da imparare con pochi click, sembra che nessuno sia in grado di farlo).

Le scuole possono trovare una soluzione sfruttando vari supporti: il primo è quello del Ministero dell’Istruzione, che ha messo loro a disposizione la pagina web Didattica a distanza, che offre l’opportunità di utilizzare materiali multimediali Rai per la didattica, Treccani scuola, Fondazione Reggio Children – Centro Loris Malaguzzi e di piattaforme per la formazione a distanza.

Una proposta a mio avviso interessante è inoltre quella di INDIRE – Istituto Nazionale Documentazione Innovazione Ricerca Educativa: sul loro sito web è disponibile edmondo, che viene presentato come “un mondo virtuale 3D online, dedicato esclusivamente a docenti e studenti per l’innovazione della didattica in classe”. Una sorta di Second Life declinato al mondo della didattica, dove questo tipo di mondo virtuale può trovare un’applicazione sicuramente proficua.

Va però ricordato che Indire, inoltre, ha organizzato un’iniziativa di solidarietà tra scuole con il supporto delle reti Movimento “Avanguardie educative” e Movimento delle “Piccole Scuole”, che si presentano pronte alla collaborazione con docenti e dirigenti scolastici degli istituti scolastici che ne faranno richiesta per offrire la propria esperienza nell’utilizzo di tecniche didattiche e strumenti innovativi. L’iniziativa si chiama “La scuola per la scuola” e vi hanno già aderito molti istituti.

Non mancano le soluzioni offerte da due grandi aziende tecnologiche, come Google e Microsoft, attive in questo settore rispettivamente con GSuite for Education e Office 365 Education A1. In tutta onestà, però, sarei molto riluttante ad utilizzare la piattaforma di e-learning di Google: è un’azienda che ha come core business l’utilizzo di dati a scopo di profilazione, per cui non mi meraviglierei se sfruttasse i dati acquisiti dagli studenti italiani per le proprie attività. Verificherei bene le condizioni di utilizzo dei dati conferiti alla piattaforma, prima di avere sorprese.

Per questo motivo – e vista la nulla attenzione al software libero, che le istituzioni dovrebbero invece promuovere – probabilmente punterei su una soluzione come Weschool, una validissima piattaforma per la didattica integrata, che consente a studenti e professori di condividere qualsiasi tipo di contenuto, collaborare a lavori di gruppo, giocare, fare esercizi e ottenere feedback in tempo reale. Nella piattaforma è possibile trovare video, articoli, corsi, video quiz, libri di testo, prodotti collaborativi, lavori di gruppo.

Per quanto riguarda “semplici” strumenti di condivisione di lezioni, si possono sicuramente citare ad esempio Jitsi.org , Zoom.us, Big Blue Button. Esistono inoltre risorse “pronte all’uso” come quelle reperibili su Risorsedidattiche.net e Redooc.

Sicuramente esistono altre soluzioni, tutto sta a vedere quali rappresentano meglio le esigenze di insegnanti e studenti. Questo spazio rimane disponibile per eventuali segnalazioni: si tratta di voler seriamente iniziare e proseguire un percorso. Forse il nuovo coronavirus ha dato lo stimolo per partire.

 
2 commenti

Pubblicato da su 8 marzo 2020 in news

 

Tag: , , , , , , , , , , , , , , , , , , , ,

Di cognome Facebook

Novità per i componenti della famiglia Facebook: all’insegna di una maggiore trasparenza, Instagram e WhatsApp cambieranno nome. Nessuna rivoluzione, solo una aggiunta di cognome: si chiameranno Instagram from Facebook e WhatsApp from Facebook.

Già mi sembra di sentire in sottofondo un brusio a base di “chissenefrega” e “sticazzi”, ma la notizia è più significativa di quanto possa apparire in superficie, perché questa scelta conferma indirettamente una situazione già nell’aria, legata al declino di Facebook. L’aggiunta di quel “from Facebook” ai nomi delle due app – la cui popolarità è tuttora in crescita – appare infatti una sorta di “rivendicazione”, un po’ come se Mark Zuckerberg volesse segnare il territorio presso il pubblico delle piattaforme che fanno parte del suo gruppo.

Sento ancora il brusio degli annoiati. Ok non è tutto: in effetti la notizia, se la lasciassimo così, avrebbe ben poco di succoso, se non fosse per un altro aspetto. Questa formalità del “riconoscimento familiare” sarà il preludio ad un’evoluzione ben più consistente, cioè la fusione delle tre piattaforme in un unico hub, come preannunciato da Zuckerberg in occasione di F8. L’obiettivo del gruppo è unificare i sistemi di messaggistica e “farli parlare tra loro”, ovvero mettere in comunicazione tra loro gli utenti di Messenger, dei direct message di Instagram e di Whatsapp, abbattendo le barriere all’interoperabilità.

Il cantiere è già aperto da tempo e forse è proprio a causa di questi lavori in corso sulle piattaforme che, di tanto in tanto, le app sembrano soffrire di blocchi o rallentamenti generalizzati. L’ultimo disservizio sembra essersi verificato nel pomeriggio di ieri, come segnalato da utenti negli Stati Uniti e in Europa, e fa seguito ad altri episodi che si sono verificati alcune settimane fa e in marzo. L’obiettivo dell’unificazione sembra irrinunciabile, ma per la sua concretizzazione sarà necessario attendere.

Nel frattempo il marketing si muove su quel “from Facebook” che, nelle intenzioni dell’azienda, dovrebbe portare gli utenti di Instagram e WhatsApp a rivalutare Facebook, riconsiderandola come la piattaforma di riferimento. Ma non è da escludere che questa mossa possa essere controproducente: sapere che le due app fanno parte della stessa famiglia del social network che è stato al centro di scandali sulla compravendita di informazioni e dati personali (come nel caso che ha coinvolto Cambridge Analytica) potrebbe non essere una consapevolezza tranquillizzante.

 
1 Commento

Pubblicato da su 5 agosto 2019 in comunicazione, news, social network

 

Tag: , , , , , , , ,

Giusto vietare le chat “insegnanti-genitori”?

Stop alle chat tra insegnanti e genitori: a Monte San Savino (AR) non sarà più possibile utilizzare WhatsApp come strumento di comunicazione con la scuola. Motivo: il continuo susseguirsi di messaggi di testo, note vocali, foto e video genera grande confusione. Pertanto si dovrà tornare al convenzionale rapporto con i rappresentanti di classe, su cui convergeranno le comunicazioni tra scuola e famiglie.

Bene, ma non benissimo. Per principio io sono contrario ai divieti di utilizzo della tecnologia a scuola, tanto più nella nostra scuola italiana, così bisognosa di investimenti in risorse nel digitale. Sono però altrettanto contrario all’utilizzo di strumenti tecnologici senza l’appropriata educazione ad un impiego virtuoso e utile. In questo senso, WhatsApp e qualunque altra app di messaggistica mainstream (medesimo discorso vale anche per Telegram, per dire) si prestano ad un uso indipendente e disinvolto perché sono strumenti di comunicazione diretta ampiamente diffusi presso tutte le categorie di utenti per la loro immediatezza, nonché per il fatto di essere gratuiti.

Certo, nel contesto di un gruppo “Insegnanti – famiglie” potrebbe essere sufficiente fissare e rispettare alcune regole basilari per limitare la dispersività delle conversazioni, ma la dinamica delle chat favorisce il superamento di quei limiti che dovrebbero permettere di mantenere il dialogo nell’ambito dei binari prefissati: è alquanto difficile pensare di stabilire quali siano gli argomenti trattabili e quelli da evitare, perché ognuno ha una personale concezione del buon senso (talvolta molto limitata) e in un gruppo eterogeneo di persone può essere sorprendentemente facile trasformare in pochi secondi una conversazione garbata in una caciara H24.

Senza rinunciare all’impiego virtuoso della tecnologia, esistono già strumenti utilizzabili nelle comunicazioni tra scuola e famiglia. Fra questi, ad esempio, c’è già il registro elettronico consultabile anche da app, in cui la scuola può agevolmente inserire comunicazioni da far pervenire direttamente ai genitori. Questo strumento potrebbe essere integrato con una piattaforma di messaggistica in grado di dare la possibilità agli insegnanti di inserire, sempre per fare un esempio, messaggi che non prevedano risposta (alla stessa stregua di un post con i “commenti chiusi”), oppure che diano la possibilità di rispondere o inserire altri messaggi in determinati orari (non di lezione).

In mancanza di serie alternative a quanto utilizzato in precedenza, il divieto stabilito rischia di scatenare la sotterraneità delle polemiche, con i genitori che proseguiranno ad utilizzare la chat senza la partecipazione degli insegnanti, anzi potendo parlare “tranquillamente” alle loro spalle. E con una tecnologia in attesa solo di essere sfruttata cum grano salis nel modo migliore possibile.

 
Commenti disabilitati su Giusto vietare le chat “insegnanti-genitori”?

Pubblicato da su 3 settembre 2018 in istruzione, scuola

 

Tag: , , , , , , , ,

WhatsApp “vietato ai minori di 16 anni”, l’ultimo dei vostri problemi

A chi avesse appena appreso con sconforto che WhatsApp nell’Unione Europea sarà “vietato” ai minori di 16 anni, ricordo quanto già indicato dal sottoscritto lo scorso gennaio: al netto della possibilità, da parte dei genitori, di autorizzare il proprio figlio ad utilizzarlo (purché abbia almeno 13 anni), il problema di fondo non è la possibilità di usare o non usare lecitamente l’applicazione (che comunque non chiede l’età a nessun utente all’atto dell’iscrizione), ma la consapevolezza – spesso non piena – di ciò che significa utilizzare questo tipo di servizi:

Quindi, laddove non arrivasse il buon senso – quel buon senso che dovrebbe spingere ogni genitore alla consapevolezza di ciò che fanno i figli di cui sono responsabili – arriva una legge per ricordare ai genitori di interessarsi e occuparsi responsabilmente anche dell’attività svolta online dai propri figli (dal momento che ciò che fanno offline, cioè nel cosiddetto “mondo reale”, è oggettivamente e indiscutibilmente di loro interesse e responsabilità).

A questo proposito può inoltre risultare interessante leggere il parere espresso in merito dall’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adoloscenza, relativo ad ogni tipo di servizio online, presentato con queste parole:

“Non è opportuno abbassare la soglia dei 16 anni prevista dal Regolamento” osserva la Garante Filomena Albano. “I diritti di ascolto, partecipazione, espressione e quello di essere parte della vita culturale e artistica del Paese previsti dalla Convenzione internazionale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza devono dar vita a una ‘partecipazione leggera’ dei minorenni. In altre parole, non gravata da pesi e responsabilità che competono, da una parte, a chi esercita la responsabilità genitoriale e, dall’altra, ai contesti educativi e istituzionali nei quali sono inseriti i ragazzi”.

Naturalmente questo ragionevole principio va in contrasto con la possibilità – ipotizzata lo scorso settembre – di introdurre a scuola l’utilizzo dello smartphone da parte degli studenti, a mio avviso possibile solo dopo un percorso che passa dal conseguimento di altri obiettivi fondamentali. Riassumendo in breve quanto considerato a suo tempo parlavo di infrastrutture pronte, insegnanti preparati e un ambiente familiare consapevole.

Lo stesso Garante motiva la sua condivisibile cautela con la scarsa consapevolezza digitale:

 “Ad oggi, in Italia – osserva l’Autorità garante – non si registra una diffusione capillare di programmi educativi tarati specificatamente sulla ‘consapevolezza digitale’. Serve che le agenzie educative e le istituzioni predispongano e attuino un programma in tal senso, accompagnato da uno studio sulla necessaria consapevolezza digitale da parte delle persone di minore età. In assenza non è possibile immaginare una soglia per il consenso autonomo dei minorenni più bassa di quella stabilita a 16 anni a livello europeo”.  I 16 anni, d’altra parte, rappresentano già nell’ordinamento giuridico italiano un’età di passaggio verso la maturità per altre situazioni giuridicamente rilevanti.

E proprio nel contesto delle situazioni giuridicamente rilevanti andrebbe inquadrata una frase dei termini di utilizzo di WhatsApp, che nell’immagine qui riportata si trova all’ultimo paragrafo e che traduco:

Oltre ad avere l’età minima richiesta per utilizzare i nostri Servizi in conformità alla legge applicabile, se non hai un’età sufficiente da avere l’autorità per accettare i nostri Termini nel tuo Paese, il tuo genitore o tutore deve accettare i nostri Termini a tuo nome.

Un servizio che non richiede pagamento da parte dell’utente non perde le sue caratteristiche formali, quindi accettarne i termini di utilizzo significa accettare le condizioni di un contratto a titolo gratuito. Per un cittadino italiano, il contratto è definito dall’art.1321 del Codice Civile e la sua accettazione è, a tutti gli effetti, un’azione legata a quella capacità di compiere atti che – come dice l’art. 2 del Codice Civile – ha come presupposto la maggiore età.

Pensiamoci.

 
Commenti disabilitati su WhatsApp “vietato ai minori di 16 anni”, l’ultimo dei vostri problemi

Pubblicato da su 26 aprile 2018 in news

 

Tag: , , , , , , , , , ,

Violata una chat segreta, le foto in rete. “Opera di hacker”? Ma de che?

Sarebbe ora che lo smartphone venisse utilizzato con consapevolezza dagli utenti di tutte le età:

Protagoniste e vittime sono una sessantina di liceali di Modena e Reggio Emilia, come racconta Qn/Il Resto del Carlino. La vicenda nasce in estate quando le minorenni decidono di creare con l’App per smartphone un contenitore segreto di immagini, dove si ritraggono nude. Ma il contenuto della chat “segreta” ha cominciato a circolare nei giorni scorsi tra i liceali modenesi. Le 60 protagoniste hanno scoperto che tutto il materiale, foto e video, era finito sul web. Hanno puntato il dito contro il fidanzato di una, il quale ha ammesso di aver scaricato le immagini, salvandole sul pc, ma giurando di non averle mai messe in rete, dando la colpa all’opera di hacker.

Al di là della non ottima idea di utilizzare – come “contenitore segreto” – una chat su WhatsApp in un contesto allargato ad una sessantina di ragazze, il primo aspetto di cui è fondamentale essere consapevoli è che è sempre la persona – e non la tecnologia – ad avere la responsabilità di fatti come quello descritto. In questa vicenda – stando a quanto si legge sul Resto del Carlino – all’estrema superficialità e leggerezza con cui le dirette interessate hanno trattato la propria immagine e le proprie immagini (dati personali e sensibili, in quanto intimi), si aggiunge il tradimento dell’implicito patto di segretezza da parte di qualcuno che ha pensato bene di raccogliere e catalogare le immagini, per poi agevolarne (forse inconsapevolmente) la diffusione via Internet. Dare la colpa “all’opera di hacker” è un puerile e patetico tentativo di mascherare superficialità e mancanza di rispetto (per non parlare di altre ben più ponderose questioni, legate alla conservazione abusiva di quelle che qui chiameremo “immagini intime” di sessanta liceali, ma che in altri ambienti, a seconda dell’età del soggetto ritratto, prendono il nome di “foto pedopornografiche”).

Nel paragrafo precedente ho scritto due volte “superficialità”, una volta “leggerezza” e “mancanza di rispetto”. Sono elementi ricorrenti in fenomeni come questo, che nascono piccoli e presto diventano più grandi dei loro protagonisti e ci devono far riflettere sul rapporto tra giovani e nuove tecnologie, o meglio sull’enorme necessità di alfabetizzazione digitale dei nostri ragazzi, che sono espertissimi nell’uso delle funzionalità offerte da Internet, smartphone e altri dispositivi digitali, ma ignorano completamente ogni aspetto di rischio conseguente alle loro azioni. Esiste inoltre un altro aspetto di cui c’è scarsissima consapevolezza: uno smartphone è legato ad un’utenza telefonica e una sim card può essere intestata anche ad un minore, ma genitori e tutori devono sapere che uso si fa di quell’utenza telefonica, perché il titolare è il minore di cui sono responsabili, pertanto i ragazzi non possono rivendicare alcun diritto alla privacy nei loro confronti.

A corollario di tutto quanto detto sopra: in rete e nel mondo esistono molti pedofili e pazzi. Non è la loro esistenza a doverci far desistere dal compiere certe azioni (come condividere foto intime in un gruppo di WhatsApp): ancor prima dovremmo ascoltare la voce del nostro cervello, quando ci chiede “Ehi aspetta, a cosa ca**o ti serve che tu condivida quel tipo di foto su WhatsApp?”. Per rimettersi in bolla basterebbe dare il giusto peso alla risposta. Poi, liberi tutti di fare tutto ciò che si vuole, ci mancherebbe solo che qualcuno si senta inibito a fare ciò che davvero ritiene importante. Ma solo con tutta la dovuta consapevolezza.

 
Commenti disabilitati su Violata una chat segreta, le foto in rete. “Opera di hacker”? Ma de che?

Pubblicato da su 8 novembre 2017 in cellulari & smartphone

 

Tag: , , , , , , ,

WhatsDown e le crisi di astinenza da chat

Ieri sera, poco dopo le 22.00, WhatsApp ha iniziato a mostrare segni di cedimento che, poco dopo, si sono rivelati sintomi di un blackout che si è protratto per alcune ore. Ore di panico per alcuni e ore di pace per altri, dice questo articolo di Rai News, rilevando le reazioni degli utenti che hanno evidenziato il disservizio su Twitter, Facebook e altre applicazioni.
Indipendentemente dal fatto che esistano alternative che svolgono egregiamente la stessa funzione, il rilievo globale che questa notizia ha raggiunto ci dà la misura di quanto il mondo sia sempre più attento alle sciocchezze e sempre meno incline a dare il giusto peso a cose ed eventi.

Se WhatsApp smette di funzionare – temporaneamente o definitivamente – il mondo va avanti, la vita continua e le persone possono comunicare ugualmente. Gli unici legittimati a preoccuparsene sono Mark Zuckerberg e chi lavora con lui. Coloro che, da utenti, hanno legato la propria sorte ad un servizio di messaggistica, dovrebbero porsi qualche domanda e farsi aiutare a trovare le risposte giuste.

Comunque teniamo sempre presente che buona parte di noi ha un’ottima scorta di SMS inutilizzati.

 
Commenti disabilitati su WhatsDown e le crisi di astinenza da chat

Pubblicato da su 4 Maggio 2017 in Mondo, news, pessimismo & fastidio

 

Tag: , , , , , ,

WhatsApp introduce nuove funzioni per la fotocamera

38708c954b2902f8f0b9cc31b318dfcb20b5d4cf1

Le nuove funzioni per la fotocamera introdotte da WhatsApp mi fanno pensare che ora nelle chat – anche e soprattutto di gruppo – sarà possibile prendersi in giro in modo molto più efficace. Però volete mettere? Ora sarà possibile scattare “selfie perfetti” (è scritto così) anche in condizioni di luce scarsa e al buio (il display si illuminerà, funzionando come un… flash leggero). Cose di cui non si poteva fare a meno, insomma…

 
Commenti disabilitati su WhatsApp introduce nuove funzioni per la fotocamera

Pubblicato da su 4 ottobre 2016 in news

 

Tag: , ,

WhatsApp e Facebook chiamate “a rapporto” dal Garante per la Privacy

whatsappsicurezza

Era prevedibile che il Garante per la Privacy volesse fare chiarezza sullo scambio automatico di dati tra WhatsApp e Facebook introdotto un mese fa sull’app di messaggistica. L’Authority ha aperto un’istruttoria e chiesto di sapere:

  • la  tipologia di dati che WhatsApp intende mettere a disposizione di Facebook;

  • le modalità per la acquisizione del consenso da parte degli utenti alla comunicazione dei dati;

  • le misure per garantire l’esercizio dei diritti riconosciuti dalla normativa italiana sulla privacy, considerato che dall’avviso inviato sui singoli device la revoca del consenso e il diritto di opposizione sembrano poter essere esercitati in un arco di tempo limitato.

Il Garante ha chiesto inoltre di chiarire se i dati riferiti agli utenti di WhatsApp, ma non di Facebook, siano anch’essi comunicati alla società di Menlo Park, e di fornire elementi riguardo al rispetto del principio di finalità, considerato che nell’informativa originariamente resa agli utenti  WhatsApp non faceva alcun riferimento alla finalità di marketing.

Per chi si fosse perso qualcosa, è bene ricordare che a fine agosto WhatsApp ha introdotto anche alcune modifiche al testo delle informazioni sulla privacy. In particolare, nella sezione Modalità di utilizzo delle Informazioni da parte di WhatsApp si legge:

privacyfacebookwhatsapp

”WhatsApp potrebbe offrire il marketing per i Servizi e per i servizi del gruppo di società di Facebook di cui fa ora parte”. E’ una frase che apre un mondo di possibilità. Di marketing.

Non importa che l’azienda dichiari :

Anche se ci coordineremo maggiormente con Facebook nei mesi a venire, i messaggi crittografati rimarranno privati e nessun altro potrà leggerli. Né WhatsApp, né Facebook, né nessun altro. Non invieremo né condivideremo il tuo numero di WhatsApp con altri, incluso su Facebook, e continueremo a non vendere, condividere, o dare il tuo numero di telefono agli inserzionisti.

Facebook – anzi, il gruppo di società di Facebook – non ha alcuna necessità di avere da WhatsApp il numero telefonico dell’utente. Sa con precisione da quali dispositivi si collega l’utente e ha tutti gli elementi per capire se un utente di Facebook lo è anche di WhatsApp e unire le due anagrafiche. Non gli serve trasmettere il numero telefonico agli inserzionisti: è Facebook a combinare inserzioni e utenti, in base alle informazioni che è in grado di raccogliere, e a mostrare agli utenti le pubblicità che più rispondono al profilo di ognuno.

E’ bene comunque tenere presente che WhatsApp, su ogni smartphone, ha un archivio contatti che viene costantemente confrontato con la rubrica presente sullo stesso dispositivo. Se un contatto personale è utente di WhatsApp, l’app lo aggiunge tra quelli disponibili: esiste quindi un flusso di informazioni che va dalla rubrica del dispositivo verso WhatsApp e da WhatsApp ai propri server (nonché viceversa). E’ in virtù di questo stesso flusso che ci viene mostrata l’icona di un utente che non conosciamo, ma che appartiene come noi ad un gruppo WhatsApp, nel quale compare con il proprio numero telefonico in chiaro, trasmettendoci quindi alcuni elementi dei suoi dati personali, inconsapevolmente.

E’ un bene che il Garante voglia vederci chiaro. E’ bene che gli utenti ci vedano chiaro e si rendano conto del significato di quel Condividi le informazioni del mio account.

 
Commenti disabilitati su WhatsApp e Facebook chiamate “a rapporto” dal Garante per la Privacy

Pubblicato da su 28 settembre 2016 in news

 

Tag: , , , , , , , , , ,

Google Allo, un saluto alla privacy

googlealloprivacy1

Se ne parla poco, ma da qualche giorno Google ha lanciato Allo, un’applicazione di messaggistica per contrastare la concorrenza delle due app della famiglia Facebook, ossia Messenger e WhatsApp. Ad oggi, pare che sia stato installato e scaricato su un milione di dispositivi.

Dal momento che su questo tipo di app pende sempre il sospetto di uno scarso rispetto della privacy degli utenti, anche su Allo i dubbi non mancano: alla presentazione, infatti, era stato detto che Allo non avrebbe memorizzato alcun messaggio, mentre in realtà oggi si scopre che i messaggi vengono memorizzati sui server di Google per impostazione predefinita (a meno che non si utilizzi la navigazione anonima con la modalità “incognito”), condizione necessaria affinché i messaggi possano essere analizzati per il “miglior” funzionamento di Google Assistant.

Certo, un assistente virtuale preparato e in grado di rispondere coerentemente alle esigenze dell’utente è una comodità, ma se arriva gratis al solo costo della nostra privacy forse è bene esserne consapevoli. Non a caso Edward Snowden – che sulla riservatezza ha ormai costruito la propria filosofia di vita – non si dichiara esattamente un testimonial di Allo. Messaggi e conversazioni restano sui server di Google. Naturalmente l’utente li può cancellare tramite la app (ed è possibile impostare un timer per fissare una scadenza, oltre la quale vengono automaticamente rimossi), ma non esiste una reale garanzia che vengano eliminati anche dai database già storicizzati. Così come non si può escludere – visti i tempi che corrono – che questi database non vengano violati da qualche malintenzionato.

Per cui, volendo utilizzare Allo, il suggerimento è di non sfruttarlo per trasmettere informazioni personali da mantenere riservate. Perché – come già detto in altre occasioni – nel mondo digitale la sicurezza assoluta non esiste.

 

 
Commenti disabilitati su Google Allo, un saluto alla privacy

Pubblicato da su 26 settembre 2016 in news

 

Tag: , , , , , ,

Agcom prende le distanze dal mercato e dall’evoluzione

messaging_baloons

Agli utenti la connessione ad Internet costa, sia da rete fissa che da rete mobile. Questo costo è ovviamente un introito per le compagnie telefoniche. Al di là degli aspetti legati all’equità delle tariffe applicate dalle varie aziende, il principio che prevede il pagamento di un certo prezzo a fronte di un servizio è logico, ovvio e sacrosanto, perché è alla base della sua sostenibilità. Per lo stesso principio, è illusorio pensare che un qualsiasi contenuto veicolato da Internet possa essere gratuito. Certo, esistono offerte commerciali che propongono qualcosa gratis, ma ciò avviene solo perché in determinati casi un soggetto non paga per avere un determinato servizio. Tuttavia la remunerazione di quel servizio passa obbligatoriamente per altri canali (inserzioni pubblicitarie pagate dagli inserzionisti, profilazione degli utenti per le medesime inserzioni pubblicitarie, compensazioni derivanti dal pagamento di altri servizi da parte di altri soggetti…).

Detto questo, non comprendo per quali motivi l’Agcom – nell’indagine “Servizi di comunicazione elettronica” – possa affermare, stando a quanto riporta il Corriere delle Comunicazioni, che le applicazioni di messaggistica come Whatsapp, Telegram, Messenger, BBM, Viber dovrebbero pagare una sorta di pedaggio (“equo, proporzionato, non discriminatorio”) per l’utilizzo della rete. Al traffico dati generato – anzi, consumato – dagli utenti si applicano tariffe e condizioni di utilizzo determinate dalle compagnie telefoniche. Se queste ultime dovessero far pagare una gabella anche a Facebook (che controlla Whatsapp e Messenger) ad esempio, si tirerebbero la zappa sui propri piedi.

Altro discorso, invece, è pensare che le aziende che stanno alle spalle di questi servizi debbano dotarsi di un titolo abilitativo, che le costringerebbe – per continuare ad operare nel nostro Paese – a sottostare alla nostra legislazione sulla privacy, arginando quindi la commercializzazione delle informazioni degli utenti (in prevalenza inconsapevoli), e aprendo le app alle chiamate verso i numeri di emergenza.

Il problema in realtà è a monte e sta proprio nelle possibilità di elusione delle norme sulla privacy: finché tali opportunità esistono e si affiancano alla mancanza di consapevolezza degli utenti, è inutile tentare di metterci una pezza legalizzandole con il pagamento di un “contributo” alle compagnie telefoniche, l’iscrizione a un albo o all’assegnazione di un “titolo abilitativo” (che comportano comunque il pagamento di una tariffa).

Davvero è necessario pensare all’alibi giusto per imporre una tassa sui messaggi istantanei? Di questo passo si potrebbe puntare al francobollo virtuale per ogni e-mail, o un canone per i servizi di streaming audio e video, un contributo da elargire per ogni servizio canalizzato da Internet. Si tratterebbe comunque di balzelli aggiuntivi, giacché – come detto sopra – la gratuità maschera sempre altre modalità di remunerazione. Non sarebbe invece opportuno escogitare qualcosa per favorire l’innovazione, riconoscerne ruolo e importanza (anche per quanto si riflette sul PIL), alfabetizzare gli utenti ed inquadrare in questi binari ogni aspetto, anche dal punto di vista normativo?

 

 

 

 
Commenti disabilitati su Agcom prende le distanze dal mercato e dall’evoluzione

Pubblicato da su 28 giugno 2016 in news

 

Tag: , , , ,

WhatsApp ora ha la sua applicazione desktop per computer (purché con Windows e Mac OS X)

79a77be6e2d3985e0a2bc8dd7d4a1f8086fc6334[1]

Avviso a tutti gli aficionados di WhatsApp: ora c’è anche l’applicazione desktop disponibile per computer. WhatsApp la presenta come un nuovo modo per rimanere in contatto sempre e ovunque:

La nuova applicazione per computer è disponibile per Windows 8+ e Mac OS 10.9+ e viene sincronizzata con WhatsApp presente sul dispositivo mobile. Dato che l’applicazione funziona in modo nativo sul computer, è possibile ricevere le notifiche native del computer, usare gli shortcut della tastiera, e altro ancora.

L’unica novità apprezzabile è probabilmente il vantaggio della visualizzazione delle notifiche. Per il resto è pressoché identica alla web app lanciata l’anno scorso

 
Commenti disabilitati su WhatsApp ora ha la sua applicazione desktop per computer (purché con Windows e Mac OS X)

Pubblicato da su 11 Maggio 2016 in news

 

Tag: , , , , , , , , ,

WhatsApp diventa gratuito. Ma tutto ha un prezzo

whatsapp

WhatsApp elimina la tariffa di rinnovo e diventa gratuito. Cosa significa? Che il prodotto è l’utente:

Naturally, people might wonder how we plan to keep WhatsApp running without subscription fees and if today’s announcement means we’re introducing third-party ads. The answer is no. Starting this year, we will test tools that allow you to use WhatsApp to communicate with businesses and organizations that you want to hear from. That could mean communicating with your bank about whether a recent transaction was fraudulent, or with an airline about a delayed flight. We all get these messages elsewhere today – through text messages and phone calls – so we want to test new tools to make this easier to do on WhatsApp, while still giving you an experience without third-party ads and spam.

In altre parole: monetizzeranno il servizio con modi alternativi al solito banner pubblicitario, promuovendo una maggior interazione con le aziende di cui l’utente sfrutta i servizi, cosa che inevitabilmente porterà le stesse aziende a raccogliere un maggior volume di informazioni sugli utenti. WhatsApp, come gli altri membri della sua famiglia (Facebook e Instagram, tutti di proprietà dell’azienda che fa capo a Mark Zuckerberg) porterà così il proprio contributo alle varie attività di raccolta dati a scopo di profilazione degli utenti. Nulla di nuovo, ma è bene che l’utente ne sia sempre correttamente informato.

PS: però la primissima cosa che mi è venuta in mente quando ho letto la notizia è che finalmente nessuno potrà più fare il passaparola con fantasiose catene di messaggi sull’aumento della tariffa di WhatsApp, sul nuovo costo settimanale, mensile, ecc. ecc.

 
Commenti disabilitati su WhatsApp diventa gratuito. Ma tutto ha un prezzo

Pubblicato da su 18 gennaio 2016 in news

 

Tag: , , , ,

Domande sulla notizia del giorno

ditomediowhatsapp

Ma la notizia è l’inserimento in WhatsApp dell’emoticon con il dito medio, oppure la censura di questa primizia sui dispositivi Apple?

E perché nessuno, invece, parla degli aggiornamenti di Telegram, che si occupa di cose meno “aggressive”?

novitàtelegram

Comunque molti ignorano BBM, che funziona benissimo e non si perde in queste stupidaggini.

Cattura

 

 

 

 
Commenti disabilitati su Domande sulla notizia del giorno

Pubblicato da su 31 luglio 2015 in News da Internet

 

Tag: , , , , , ,

WhatsApp, chiamate attive (ma evitate le bufale)

WhatsappChiamate

Gli utenti di WhatsApp da oggi possono anche chiamarsi, almeno da smartphone Android (per gli altri è necessario pazientare ancora qualche giorno).

L’attivazione della nuova opzione è automatica e avviene con l’ultimo aggiornamento utile, non più su invito. Tutte le comunicazioni a catena che invitano a cliccare su link e a girar messaggi e inviti ad altri utenti sono bufale truffaldine, da cestinare senza remore.

P.S: a margine della notizia, vorrei smorzarne il carattere rivoluzionario ricordando – a chi oggi scopre il VoIP – che Skype, ad esempio, esiste dal 2002 e permette chat, chiamate e videochiamate. E prima di WhatsApp sulle chiamate erano arrivati da tempo Viber e soprattutto BBM (app BlackBerry con le medesime funzionalità, disponibile anche per iOS e Android)

 
Commenti disabilitati su WhatsApp, chiamate attive (ma evitate le bufale)

Pubblicato da su 1 aprile 2015 in telefonia, VoIP

 

Tag: , , , , , ,

WhatSim, la SIM dedicata a WhatsApp (e nient’altro). Per me è BOH!

hand[1]

La notizia del lancio di WhatSim, SIM espressamente dedicata ai servizi WhatsApp, stuzzica sicuramente la curiosità di molti utenti più della recente apparizione della versione web di WhatsApp, che funziona solo con il browser Chrome.

In breve, e al netto di ogni altra opportuna considerazione già espressa in merito alla piattaforma WhatsApp: si tratta di una vera e propria utenza di telefonia mobile senza vincoli di utilizzo per quanto riguarda le reti delle compagnie telefoniche, ne’ in Italia, ne’ all’estero. Introducendo questa SIM in uno smartphone o tablet, l’utente potrà sfruttare WhatsApp senza essere vincolato alla copertura offerta dalla rete del proprio gestore o da una rete WiFi. Ovunque si trovi, l’apparecchio aggancerà in roaming la propria connessione dati alla rete mobile che troverà disponibile. Esattamente come avviene con le SIM del gestore Zeromobile, di cui WhatSim è figlio, dato che il servizio viene erogato sempre dalla Zeromobile srl. La SIM avrà un proprio numero telefonico europeo, non utilizzabile per altri servizi telefonici.

Questo plus, che potrebbe essere molto gradito a chi utilizza WhatsApp, a mio parere non compensa comunque i limiti di questo servizio, pur presentato come un abbattimento di vincoli. Alcuni sono evidenti, altri un po’ meno, altri ancora potrebbero essere probabilmente indicati come caratteristiche peculiari. Ma si tratta comunque di aspetti importanti, che un utente deve (ri)conoscere per capire se il servizio risponde davvero alle sue esigenze.

Partirò dalla presentazione web del servizio, da una frase che dice tutto e niente, ma che soprattutto è ingannevole:

È la prima Sim al mondo che ti fa chattare gratis e senza limiti con WhatsApp. In ogni angolo del pianeta.

Gratis significa senza sostenere costi di alcun tipo. Senza limiti significa tante cose, ma in questo caso un utente potrebbe pensare di poter sfruttare WhatsApp quanto e come vuole.

WhatSimNemmeno WhatsApp può essere definito un servizio gratuito, nonostante sia irrisorio un canone annuo di 0,89 euro. Naturalmente non lo è nemmeno WhatSim, dal momento che richiede la ricarica di un canone annuo di 10 euro, corrispondente a 2mila crediti. E non include il canone annuo di 0,89 euro, da pagare a WhatsApp (chiarimento datomi dallo staff WhatSim, riscontrabile nella chat riprodotta qui a destra).

Ma non è tutto: esiste un tariffario, suddiviso in zone di roaming (l’Italia è nel novero dei Paesi compresi nella “zona 1”), che evidenzia come ogni tipologia di messaggio multimediale inviato (foto, video, messaggi vocali) vada ad erodere il monte crediti disponibile, in misura diversa in funzione della zona in cui si trova l’utente di WhatSim.

Nel sito del servizio si legge un esempio:

Puoi ricaricare nella sezione Ricarica un importo minimo di 5 € (1000 Crediti) e un importo massimo di 50 € (10.000 Crediti).
I Video ed i Messaggi Vocali sono tariffati per una lunghezza standard di 10 secondi. Se hanno una lunghezza superiore sono tariffati a multipli di 10 secondi.
Esempio: con una ricarica di 5 € ottieni 1.000 Crediti con i quali in zona 1 puoi scambiare 50 Foto o 10 Video, oppure 200 Messaggi Vocali.

Nell’ambito di una chat è ormai normale scambiarsi messaggi di ogni tipo, di solo testo o multimediali, e l’utente di WhatsApp generalmente spedisce dal proprio smartphone o tablet messaggi testuali, foto, video e messaggi vocali, al costo richiesto da WhatsApp (89 centesimi all’anno), più quanto richiesto per la connessione (da rete mobile o WiFi), che consente di usufruire di tutti gli altri servizi Internet che conosciamo (web, e-mail, ma anche streaming e download di musica, video e altri contenuti multimediali, senza dimenticare la possibilità di scaricare e utilizzare app per utilizzare servizi che, a loro volta, si appoggiano a Internet, inclusi navigatori satellitari avanzati, giochi, social network e quant’altro è divenuto di abituale utilizzo).

L’apparecchio – smartphone o tablet – dotato di WhatSim, in assenza di segnale WiFi, ignora completamente tutti i servizi Internet sopra indicati (perché gli sono inibiti) e sfrutta la propria connessione per concentrarsi unicamente sul mondo WhatsApp, e le Faq lo dicono esplicitamente:

  • Posso usare altre applicazioni oltre a WhatsApp? No, con WhatSim funziona solo WhatsApp.

  • E posso telefonare, inviare sms o navigare su internet? No, con WhatSim puoi solo chattare con WhatsApp.

Soprattutto, WhatSim è una SIM che non permette in alcun modo di telefonare, esattamente come una SIM legata ad un piano solo dati, ma con il limite di non consentire altro tipo di interazione che non sia una chat di WhatsApp.

Conseguenza: utilizzare WhatSim equivale a trasformare uno smartphone o tablet in un WhatsApp Device, un dispositivo dedicato univocamente a WhatsApp, che costringe l’utente a spendere di più per utilizzare un servizio di chat. Per tutto il resto serve un altro smartphone o tablet. Oppure una rete WiFi. Però il WiFi libero non esiste ovunque. E nemmeno il WiFi non-libero è garantito che esista. WhatSim si prefigge appunto l’obiettivo di colmare questa lacuna di connettività, ma unicamente per l’uso di WhatsApp.

In base alle proprie esigenze, ogni utente sarà in grado di valutare l’opportunità di avvalersi del servizio. Dal mio punto di vista, forse è utile per dare ai propri figli un servizio di comunicazione di base, con dei limiti strutturali.

 

 
Commenti disabilitati su WhatSim, la SIM dedicata a WhatsApp (e nient’altro). Per me è BOH!

Pubblicato da su 21 gennaio 2015 in cellulari & smartphone, news, tablet

 

Tag: , , , , , , ,

 
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: