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C’è poca privacy in quelle cerchie

Dite pure che sono all’antica, ma le Norme sulla privacy di Google+ a me sembrano un po’ nebulose e i punti che lasciano scoperti rappresentano problemi non trascurabili. Essendo però un inguaribile ottimista sono convinto che da Mountain View presto affronteranno queste problematiche e sistemeranno tutto, prima che le cerchie si trasformino in gironi.

 
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Pubblicato da su 12 luglio 2011 in Internet, Life, news, News da Internet, privacy, security, social network

 

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Guasto all’impianto e alla reputazione

Venerdì scorso un nuovo incidente ha causato numerosi problemi di accessibilità ai servizi erogati da Aruba.it. Secondo quanto comunicato dall’azienda, si è trattato di un guasto all’impianto elettrico, conseguenza imprevedibile dell’incendio verificatosi il 29 Aprile scorso nel power center della struttura interessata.

Se, per alcuni aspetti, questo black-out temporaneo è stato tecnicamente meno grave di quello che si è verificato a fine aprile, le sue conseguenze potrebbero avere su Aruba riflessi ancor più negativi: l’incidente di due mesi fa ha causato danni di rilievo e suscitato numerose perplessità su come l’azienda gestiva la sicurezza della propria server farm. Tuttavia, appena era stato possibile, non potendo informare gli utenti attraverso il proprio sito web, aveva aperto un canale di comunicazione alternativo (su Twitter e sulla propria pagina Facebook) per dare periodicamente l’aggiornamento della situazione, canale che i media avevano poi utilizzato e reso pubblico, aumentandone l’audience (oggi, su Twitter, l’account Arubait ha quasi 7.500 follower).

Successivamente, nella consapevolezza di aver creato problemi ai propri clienti, Aruba aveva poi lanciato alcune promozioni a loro beneficio (ad esempio sconti sui prodotti FotoAruba e attivazione gratuita di servizi premium).

Venerdì scorso, invece, il comportamento di Aruba è stato diverso: silenzio totale fino alle 22.05, ora in cui è stato pubblicato il comunicato con cui è stata data spiegazione del problema e sono state illustrate le nuove misure di sicurezza messe in atto dall’azienda per evitare il ripetersi di nuovi inconvenienti ai danni degli utenti.

Un’azienda può subire problemi, inconvenienti e incidenti? Assolutamente sì, l’importante è che tutto ciò avvenga nel rispetto degli utenti e degli accordi intrapresi con essi, che in questo caso si traducono nel rispetto degli SLA (Service Level Agreement) e quindi dei termini previsti dal contratto sottoscritto dalle parti.

Augurandomi che i termini previsti dai servizi Aruba siano stati rispettati, l’unico appunto che mi permetterei di muovere – con garbo e massimo rispetto per un’azienda che offre servizi a prezzi molto contenuti, lavora e da’ lavoro a molte persone – riguarda la strategia di comunicazione: da un provider, come da qualsiasi fornitore, gli utenti che hanno un’attività in Internet si aspettano chiarezza e trasparenza. Informare gli utenti è doveroso e Aruba, per comunicare con loro, ha scelto di farlo attraverso la sezione News della pagina Assistenza del sito aziendale, che non ha alcun richiamo diretto nella homepage e che non tutti gli utenti sanno di dover consultare in queste occasioni. Una sezione “News”, con un box visibile fin dalla homepage ad esempio, sarebbe molto più efficace.

Il fatto di aver informato i propri utenti in ritardo – e non tempestivamente come in occasione del black-out precedente – si trasforma quindi in un problema di immagine e di reputazione: è sufficiente leggere i commenti dei clienti su Twitter per vedere come, invece della comprensione, si preferiscano scherno e derisione, condite da espressioni più o meno colorite e dalle intenzioni di cambiare provider.

Certo, è difficile trovare presso altri provider i prezzi praticati da Aruba e l’aspetto economico (più di quello dato dalle nuove misure di sicurezza in corso di realizzazione) demotiverà molti utenti a traslocare. Ma molte aziende che hanno la propria attività su Internet ci penseranno…

 
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Pubblicato da su 11 luglio 2011 in Internet, news, News da Internet, security, tecnologia

 

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Riconoscimento facciale su Facebook? No, grazie!

Non so bene cosa pensare della nuova funzionalità di riconoscimento facciale introdotta da Facebook, ma istintivamente non mi piace: nel dubbio, a salvaguardia della privacy, mi permetto di suggerire a tutti di modificare un’impostazione del proprio account, gentilmente attivata per default.

Da Facebook, selezionare Account (in alto, sulla destra) e cliccare Impostazioni privacy, poi Personalizza impostazioni. Scendere fino Suggerisci agli amici le foto in cui ci sono io, cliccare il pulsante Modifica le impostazioni e selezionare NO, come nelle figura riportata sotto (click per ingrandire)

 
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Pubblicato da su 9 giugno 2011 in business, Internet, Life, Mondo, News da Internet, privacy, security, social network, tecnologia

 

Nosy network (Facebook spia, ma gli utenti si espongono troppo)

A chi segue con un minimo di attenzione ciò che accade nel mondo e nella Rete, non servivano le dichiarazioni di Julian Assange per comprendere le potenzialità di Facebook come macchina di spionaggio: il database di informazioni personale è ricchissimo, ma ognuno di noi può scegliere di non iscriversi, oppure di farlo senza condividere informazioni personali, di registrarsi e selezionare con attenzione cosa condividere e cosa tenere per se’, o addirittura di eleggere il social network a diario personale, registrandovi vita, morte e miracoli.

In tutte queste opzioni non c’è davvero nulla di male: il male risiede ovviamente altrove, nelle intenzioni e negli obiettivi di chi potrebbe fare un uso non corretto, fraudolento, disonesto o morboso delle informazioni altrui, ed è per questo motivo che è necessario fare attenzione a ciò che si rende pubblico della propria vita privata.

Al netto delle considerazioni di Assange, disponibili nell’intervista da lui rilasciata a Russia Today , e degli ovviamente prevedibili disclaimer di Mark Zuckerberg – a cui conviene evidenziare la non pericolosità del social network che permette a lui e soci di campare più che dignitosamente – non si può non ricordare quanto rilevato tre anni or sono da Tom Hodgkinson sul Guardian in merito a chi effettivamente sostiene il business legato al network di cui Zuckerberg rivendica la paternità.

Oltre al finanziere Peter Thiel, ricorda l’autore dell’articolo, nel board dell’azienda che è alle spalle di Facebook siede anche Jim Breyer, che ha contribuito a finanziare il business con oltre 12 milioni di dollari. Uno dei contributi più significativi (27,5 milioni di dollari) proviene però dalla Greylock Venture Capital, il cui Advisory Partner Howard Cox figura anche nel team di direzione di In-Q-Tel, organizzazione la cui mission viene ostentata già dalla homepage del relativo sito web:

In-Q-Tel identifies, adapts and delivers innovative technology solutions to support the missions of the Central Intelligence Agency and the broader U.S. Intelligence Community.

Comprendendo che Central Intelligence Agency è l’acronimo di CIA e che si parla della più ampia U.S. Intelligence Community, potremmo dedurre l’esistenza di una sorta di legame, seppur non diretto ed esplicito, con i servizi di intelligence americani e concludere che, forse, dietro al business ufficiale del social network più grande del mondo si potrebbero nascondere altri occhi e altre orecchie.

Consideriamo però che, prima di tutto, dovrebbe essere il buon senso a suggerirci di muoverci ovunque, nel mondo reale come in Rete, con la dovuta cautela e senza dimenticare ciò che ci viene offerto al di fuori di Facebook: dai servizi di geolocalizzazione a Google e alla pubblicità contestuale, le dimostrazioni di una privacy sempre più difficile da difendere non mancano.

Il problema nasce – come molte altre cose – fuori dalla Rete: quanti di noi si sono mai fermati a pensare che alcuni momenti della nostra vita possono essere tracciati quotidianamente, ad esempio attraverso l’utilizzo delle carte fedeltà del supermercato, che consentono all’utente di accedere a sconti e promozioni, mentre chi le ha emesse può accede a una serie di preziose informazioni sulle abitudini di spesa degli utenti registrati?

L’aspetto “privacy fuori dal web”, che potrebbe apparire una divagazione, è invece molto pertinente al tema della spiabilità degli utenti di Facebook e di altri servizi disponibili via Internet: dal punto di vista dell’utente, si tratta pur sempre di informazioni condivise con altre persone, non sempre conosciute, ed è una condivisione che ha luogo a motivo di una scelta ben precisa, operata più o meno consapevolmente.

Talvolta, pertanto, prima di puntare il dito contro uno spione, sarebbe opportuno capire se non si è confidato qualcosa di troppo a chi non lo meritava, riflettere sulle conseguenze delle proprie scelte e, nel caso dei social network o di altre innovazioni che caratterizzano il cosiddetto web 2.0, capire cosa valga realmente la pena condividere con altri (dagli amici al mondo intero) e cosa sia meglio mantenere in un ambito più riservato.

[pubblicato oggi dal sottoscritto su The New Blog Times]

 
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Pubblicato da su 6 Maggio 2011 in Buono a sapersi, Internet, Life, mumble mumble (pensieri), news, News da Internet, privacy, security, social network, tecnologia

 

In caso di emergenza, accendere Twitter

Dalle prime ore di stamattina, chi utilizza i servizi di Aruba SpA (gestione domini, hosting, e-mail e altro, oltre 1,5 milioni di clienti) ha avuto la sorpresa di non trovare più nulla. Il motivo è un principio di incendio nella zona UPS della server farm principale, che l’azienda sta fronteggiando. Come prima misura di sicurezza hanno spento tutto, ma – assicura l’azienda – le macchine server e le sale dati non hanno subito alcun danno.

La piccola catastrofe ha spinto l’azienda ad aprire un canale su Twitter (no, una delle più grandi webaziende italiane non l’aveva prima di un’ora fa): chi volesse informazioni aggiornate le può trovare su http://twitter.com/#!/Arubait

UPDATE: la homepage di Aruba.it è ricomparsa. Gli altri servizi sembra si stiano risollevando gradualmente. Ripristinata la reperibilità del sito, la società ha iniziato a pubblicare nella sezione news alcuni aggiornamenti sulla situazione.

 
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Pubblicato da su 29 aprile 2011 in Internet, news, News da Internet, security, tecnologia

 

Smartphone spia?

Per impegni personali e di lavoro sono stato un po’ fuori dal blog, ma dal momento che qualcuno mi chiede informazioni sulla vicenda dgli smartphone che geolocalizzano gli utenti, ecco un riassunto indicativo e non esaustivo delle puntate precedenti:

  • Due esperti di sicurezza –  Pete Warden e Alasdair Allan – hanno scoperto e svelato al mondo che dentro iOS, il sistema operativo di iPhone e iPad, c’è un file non criptato denominato consolidated.db che contiene un database SQLite in cui sono memorizzate le coordinate geografiche in cui si è mosso il dispositivo. In pratica, c’è la storia dei movimenti dell’utente che possiede un iPhone o un iPad.
  • Il file – a detta di Steve Jobs – non viene trasmesso ad Apple, ma la memorizzazione è sempre attiva, anche se l’utente disattiva le funzioni di localizzazione.
  • Molti utenti e addetti ai lavori vogliono vederci chiaro e hanno denunciato Apple nella quale minacciando una class action e, già che ci sono, intendono chiedere un risarcimento danni per non avere ricevuto un’adeguata informazione preventiva; nel frattempo, dal Senato USA, una commissione ha fissato un’audizione per il 10 maggio, chiedendo chiarimenti ad Apple e Google (visto che l’argomento tocca anche il gruppo di Mountain View).
Il seguito alla prossima puntata.
 
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Pubblicato da su 26 aprile 2011 in cellulari & smartphone, Inchieste, Internet, Life, Mondo, mumble mumble (pensieri), news, News da Internet, privacy, security, social network, tecnologia, telefonia

 

Un falso messaggio di allarme da Gmail

Se siete utenti di Gmail e avete ricevuto – o riceverete – un messaggio sostanzialmente simile a quello che vi riproduco qui sotto, cestinatelo: non proviene affatto da Google.

Gli elementi del falso ci sono tutti: dall’oggetto “Gmail! Active Alert ..” scritto con un punto esclamativo e due puntini assolutamente fuori luogo, alla domanda “Is your Gmail Account Active. Yes/No.” senza punto interrogativo. Ma soprattutto: che senso avrebbe, da parte del Team di Gmail, spedire un messaggio agli utenti Gmail per chiedere loro se l’account è attivo? Ne sono già perfettamente a conoscenza!

Probabilmente è solo un espediente per accertare l’effettiva esistenza del nostro indirizzo e-mail.

Una qualunque risposta al messaggio costituirebbe una conferma. Da lì al successivo bombardamento di posta indesiderata il passo è davvero breve…

 
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Pubblicato da su 30 marzo 2011 in Buono a sapersi, Internet, security, TLC

 

Falso come una moneta da tre euro


Se ricevete un messaggio come questo (cliccatelo per ingrandirlo), cestinatelo. Non tanto perché ve lo sto dicendo io, ma perché una richiesta di dati dell’account Facebook proveniente da un mittente update+xtcrnivkaaat è decisamente poco attendibile…

 
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Pubblicato da su 3 febbraio 2011 in Internet, news, security

 

WiFi, verso la liberalizzazione

La prospettiva di entrare nel prossimo anno con una normativa sul WiFi diversa da quella attuale potrebbe concretizzarsi davvero: Roberto Maroni, Ministro dell’Interno, venerdì scorso ha dichiarato che dal 1° gennaio 2011l’accesso al WiFi pubblico sarà liberalizzato, annunciando il primo passo di un cammino che potrà portare l’Italia a raggiungere – in materia di accesso alla Rete – una disciplina analoga a quella adottata da altri Paesi. In realtà, tutto dipenderà da come proseguirà questo cammino, perché le parole del ministro sono state confortanti, ma non esaustive.

Una nota del Governo informa che “Il Consiglio dei Ministri del 5 novembre 2010 ha approvato un decreto-legge recante misure urgenti in materia di sicurezza, in particolar modo, nelle città e durante le manifestazioni sportive. Il provvedimento inoltre rimuove le restrizioni in materia di accesso alla rete Wi.Fi”. Le ultime due righe del comunicato, che descrive gli ambiti di applicazione del nuovo provvedimento, spiegano: “Infine, pur mantenendo adeguati standard di sicurezza, è previsto il superamento delle restrizioni al libero accesso alla rete WiFi“.

La disciplina dell’accesso alle reti WiFi è contenuta nell’articolo 7 della norma antiterrorismo conosciuta come Decreto Pisanu (poi convertito in legge), che stabilisce l’obbligo – per tutti i soggetti interessati ad offrire un servizio di connettività wireless – di identificazione degli utenti mediante documento di identità e al mantenimento dei log di navigazione. La norma prevede inoltre che il titolare dell’attività che attiva questo servizio debba inoltrare alla questura la richiesta di un’apposita licenza e solamente per questo obbligo era stata fissata una scadenza, definita in prima istanza al 31 dicembre 2007, successivamente prorogata fino all’anno in corso.

In attesa di conoscere i contenuti del decreto legge approvato venerdì scorso, si possono formulare soltanto delle supposizioni: se l’obiettivo del governo fosse quello di non procedere con una proroga al 2011 degli effetti del decreto Pisanu, rimarrebbe in vigore l’obbligo di identificazione con un documento di identità. Per eliminare questa restrizione non sarebbe dunque sufficiente escludere la norma dal decreto milleproroghe (come avvenuto negli ultimi anni), ma si renderebbe necessario un provvedimento che andasse ad abrogare l’articolo 7. Il requisito dell’identificabilità dell’utente potrebbe essere mantenuto solo con nuove disposizioni che – orientate al superamento delle restrizioni oggi in vigore – dovrebbero prevedere l’introduzione di altre forme di tracciabilità.

La spiegazione data dal ministro Maroni preannuncia un percorso in questa direzione: “Per contemperare l’esigenza della libera diffusione del WiFi e quella della sicurezza, valuteremo quali siano gli adeguati standard di sicurezza e dal primo gennaio i cittadini saranno liberi di collegarsi ai sistemi WiFi senza le restrizioni introdotte cinque anni fa e che oggi sono superate dall’evoluzione tecnologica”. Significa che la navigazione degli utenti dotati di laptop, netbook, tablet e smartphone potrà essere tracciata con altri criteri, auspicabilmente rispettosi del diritto alla privacy di ognuno, definiti verosimilmente in un nuovo disegno di legge.

Il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, in seguito alle dichiarazioni liberalizzatrici del ministro Maroni, ha espresso preoccupazione sulla possibilità di tracciare elementi utili ad individuare 16mila reati (le fattispecie finora identificate dalla Polizia Postale), ma contemporaneamente ha dichiarato di ritenere “giusto che un tavolo tecnico in tempi rapidissimi lavori per trovare un punto onorevole di mediazione tra sicurezza e libertà”.

Resta dunque da capire quanto queste forme di controllo possano realmente esprimere efficacia nel reprimere obiettivi terroristici o criminali. Non è evidentemente efficace l’obbligo di identificazione attraverso un documento: un malvivente o un terrorista potrebbe presentare una carta d’identità fasulla, non immediatamente verificabile, con buona pace di chi ha visto nell’articolo 7 del Decreto Pisanu una misura antiterroristica applicabile ad un ambito tecnologico. Ne consegue che chi fa parte di un’organizzazione terroristica o criminale, o ha comunque un’adeguata competenza, può eludere o rendere inefficaci gli strumenti di controllo che lo dovrebbero bloccare.

E forse è proprio con questa consapevolezza che il ministro Maroni, la scorsa settimana, si è confrontrato su questi temi con il responsabile antiterrorismo israeliano in occasione di Israel HLS STOP, la prima conferenza internazionale su politiche ed operatività delle tecnologie di sicurezza. L’evento si è svolto a Tel Aviv presso l’Hotel Dan Panorama, che tra i vari servizi offerti ai clienti consente l’accesso a Internet con WiFi, così come moltissimi altri alberghi e caffé, nonché aree pubbliche di una città che può essere considerata il principale centro economico di un Paese che, con il terrorismo, convive purtroppo da molto tempo e che ha accantonato – in questo ambito tecnologico – la schedatura degli utenti, proprio perché ritenuta una soluzione non efficace.

Ma era proprio necessario cercare un conforto consulenziale ad Israele in merito a questo argomento? Probabilmente no: anche in Italia operano esperti in grado di rispondere alle esigenze legate alle problematiche della sicurezza dell’accesso ad Internet. Sarebbe stato sufficiente avere il loro supporto qualche anno fa per comprendere l’esistenza della possibilità di penetrare in una rete WiFi protetta e la scarsa utilità delle misure previste dal Decreto Pisanu. Oggi potrebbero spiegare al ministro che esistono metodi per navigare in mobilità in modo anonimo anche su reti UMTS.

Ben venga, comunque, l’obiettivo di superare le restrizioni oggi previste per l’accesso alle reti WiFi. Ma non si cada nell’errore di vedere in questa iniziativa la possibilità di far decollare l’accesso a Internet in Italia: il digital divide, come fenomeno tecnologico e culturale, esiste ancora.

[pubblicato alle 00:00 di oggi su The New Blog Times]

 
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Pubblicato da su 8 novembre 2010 in Internet, Ipse Dixit, Life, Links, Mondo, news, News da Internet, privacy, security, tecnologia

 

Le parole sono importanti. Come il WiFi libero

Qualcuno la reputa la notizia del giorno, ma credo sia necessario aspettare: la vera notizia arriverà tra qualche settimana.

Dopo la sua recente visita in Israele, ha detto ancora Maroni, nel corso della quale ha incontrato il responsabile dell’antiterrorismo di Gerusalemme, “ho valutato che si possa procedere all’abolizione delle restrizioni del decreto Pisanu, che scade il 31 dicembre, e dal 1 gennaio introduciamo la liberalizzazione dei collegamenti wi-fi attraverso gli smartphone”. “Da qui a dicembre -ha concluso Maroni- valuteremo quali siano gli adeguati standard di sicurezza e dal 1 gennaio i cittadini saranno liberi di collegarsi ai sistemi wi-fi senza le restrizioni introdotte 5 anni fa e che oggi sono superate dall’evoluzione tecnologica”.

A parte il fatto che l’accesso libero al WiFi non si fa solo tramite smartphone (approssimazione o assurdità? per ora non alzerò il sopracciglio), non c’è nessun motivo per festeggiare. Il ministro Maroni non ha ancora detto nulla sulle misure di sicurezza che saranno introdotte in luogo dell’articolo 7 del Decreto Pisanu: per ora si sa solo che potrebbe non essere più necessaria l’identificazione dell’utente con un documento di identità.

E’ la conclusione più ovvia che si può trarre dalle parole del ministro e dalla frase “pur mantenendo adeguati standard di sicurezza, è previsto il superamento delle restrizioni al libero accesso alla rete WiFi” che si trova nel comunicato stampa diffuso oggi da Palazzo chigi.

Di questi fatti e della prospettiva dell’introduzione di forme di tracciabilità, parlerò più diffusamente lunedì su The New Blog Times.

Per ora buon week-end.

 
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Pubblicato da su 5 novembre 2010 in cellulari & smartphone, computer, Internet, Life, Mondo, news, News da Internet, privacy, security, tecnologia

 

Ma chi ci spia davvero su Facebook?

Ha suscitato scalpore la notizia esclusiva riferita dall’edizione online de L’Espresso e relativa ad un accordo siglato tra Facebook e la Polizia delle Comunicazioni che – primo caso tra gli organismi di pubblica sicurezza in Europa – le consentirebbe di effettuare controlli approfonditi sugli utenti del social network senza dover chiedere nulla alla magistratura. Notizia che, però, è stata vigorosamente smentita dai vertici della stessa Polizia Postale.

In virtù dell’accordo, agli investigatori italiani sarebbe stata dunque concessa una “corsia preferenziale” utilizzabile “soprattutto nella lotta alla pedopornografia, al phishing e alle truffe telematiche, ma anche per evitare inconvenienti ai personaggi pubblici i cui profili vengono creati a loro insaputa”. Obiettivi conseguibili operando – secondo l’articolo – in deroga alle normative che prevedono l’applicazione e il rispetto un iter autorizzativo, come la Protezione Civile per le operazioni di emergenza.

Alla legittimità degli intenti anticrimine di questa iniziativa si contrappongono però alcune condivisibili perplessità, altrettanto legittime: innanzitutto – se l’indiscrezione corrispondesse a verità – sarebbe opportuno capire entro quali confini si potrebbe muovere la Polizia. Va da se’ che l’utilità dell’analisi di un profilo si potrebbe spingere a tutto, dagli status update (incluse le informazioni di geolocalizzazione), alle foto, fino alla cronologia delle chat, configurando un’attività di perquisizione e intercettazione di contenuti digitali paragonabile a quella svolta dalla Polizia sulle intercettazioni telefoniche autorizzate dalla magistratura,  che il Governo da tempo cerca di arginare.

Decisa la smentita del direttore centrale della Polizia Postale Antonio Apruzzese: “Figuriamoci se la polizia si mette a spiare i navigatori di Facebook. Quando la polizia postale o altri organi (Carabinieri, GdF ecc ecc.) nel condurre una indagine si trovano ad intercettare comunicazioni su Facebook, si muovono sempre con l’autorizzazione della magistratura. Anche perché nel caso contrario tutto ciò che si fa non avrebbe alcun valore processuale. Anzi se violassimo la rete senza autorizzazione della magistratura commetteremmo un reato penale“.

Apruzzese puntualizza: “Ai primi di ottobre sono venuti in Italia, dopo lunghe trattative e contatti i responsabili di Facebook al massimo livello accompagnati anche dai loro legali e hanno illustrato le procedure per chiedere ed ottenere l’accesso alla rete per vicende di polizia giudiziaria e, soprattutto per quali casi, in base alla legislazione anglosassone, si possono concedere le autorizzazioni. Hanno spiegato punto su punto, abbiamo stilato le linee guida e girato le direttive a tutti gli organismi di polizia italiana“.

Un incontro durato due giorni, a cui la stampa italiana aveva dato ampia pubblicità e che si era svolto in Italia, con una spedizione proveniente da Palo Alto. In una delle tante note riportate dalle agenzie di stampa il 7 ottobre si leggeva infatti:

A conclusione della due giorni sono state definite le “linee guida” che regoleranno i rapporti tecnico-operativi fra la Polizia Italiana e l’azienda statunitense con particolare attenzione agli aspetti di prevenzione e riduzione degli illeciti commessi online. Il documento riflette l’ottimo rapporto di collaborazione da tempo in atto tra il Servizio Polizia Postale e delle Comunicazioni e i responsabili di Facebook e potrebbe divenire a breve uno standard internazionale. Infatti, unico del suo genere, costituisce una importante innovazione nei rapporti di cooperazione internazionale tra rappresentanti del settore pubblico e privato.

L’articolo esclusivo de L’Espresso potrebbe quindi essere una libera interpretazione di quell’incontro (e questo è ciò che la smentita di Apruzzese induce a credere), oppure il resoconto di un seguito più riservato, con un nuovo incontro tenutosi a Palo Alto, su cui però non esistono ulteriori conferme.

Ciò che è certo è che, per l’ennesima volta, si parla di problemi di privacy in ordine a Facebook, che cadono appena qualche ora dopo la rivelazione di quei 6600 dollari “investiti” dall’azienda per portare a cena rappresentanti della maggioranza politica californiana e convincerli ad abbattere un disegno di legge sulla riservatezza, e qualche giorno dopo la scoperta che la piattaforma ospita da tempo applicazioni-colabrodo che diffondono dati personali a beneficio del mondo del marketing e all’insaputa dell’utente. A questo punto, per chi ancora non ha pensato all’opportunità di gestire in modo opportuno il proprio profilo su un social network, s’impone una seria riflessione.

[oggi su The New Blog Times]

 
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Pubblicato da su 29 ottobre 2010 in curiosità, Internet, Life, Mondo, news, News da Internet, privacy, security, social network, tecnologia

 

La procura di Roma apre un fascicolo su Street View

Reuters riferisce:

La Procura di Roma ha aperto un fascicolo su Google Street View, il sistema che consente di visionare dal proprio computer strade e luoghi in molte parti del mondo, per stabilire se violi la privacy. Lo riferiscono fonti giudiziarie.

Il fascicolo, per ora contro ignoti, ipotizza il reato di violazione della privacy, ed è stato aperto in seguito a una comunicazione del Garante per la privacy, che si è occupato della questione nei giorni scorsi, su eventi sensibili che sarebbero stati captati su reti wi-fi.

Google è rappresentato dagli avvocati Giuliano Pisapia e Giulia Bongiorno.

 

 
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Pubblicato da su 27 ottobre 2010 in Internet, Life, news, News da Internet, privacy, security, tecnologia

 

Street View, i “vincoli” del garante della Privacy

Una multa da 30mila a 180mila euro: è questo il rischio a cui potrebbe andare incontro Google se i prossimi “raid” delle Google-car sulle strade italiane non saranno ampiamente annunciati alla popolazione interessata. E’ quanto si legge nell’anticipazione di un nuovo provvedimento del Garante della Privacy contro l’invadenza diStreet View, il servizio abbinato a Google Maps che offre visualizzazioni a 360° di tutti i vari luoghi in cui sono passate le auto dotate di fotocamere panoramiche.

Il provvedimento – reso noto nei giorni scorsi dal blog tenuto da Flavia Amabile su La Stampa.itrimbalzato anche oltreoceano – non è stato ancora pubblicato nel sito del Garante. Primo nel suo genere in Europa, fa seguito all’indagine condotta dall’Authority italiana su Google, Street View e i dati indebitamente raccolti dalle Google-car e ne costituisce – di fatto – la prima reazione: il provvedimento di settembre con cui si disponeva “il blocco di qualsiasi trattamento dei payload data raccolti sul territorio italiano” era una sorta di atto dovuto e già spontaneamente attuato dalla stessa Google.

Il Garante, nella persona del presidente Francesco Pizzetti, avrebbe però dichiarato di essere mosso da altri input: «Abbiamo ricevuto proteste persino da amministrazioni locali. Non c’è nessun dubbio che Street View possa rappresentare uno strumento molto utile nel settore turistico, permette di vedere le località di vacanza, aiuta a scegliere e ad organizzare un viaggio. Ma è anche vero che può essere eccessivamente invadente nella vita dei cittadini e dunque bisogna stabilire alcune regole».

La prima nuova regola anticipata stabilisce che nelle prossime occasioni in cui Google volesse sguinzagliare le proprie auto sulle strade italiane, dovrà comunicarne la presenza in modo palese attraverso cartelli o adesivi leggibili posti sulle auto, onde dare modo ai cittadini di non cadere in tranelli anti-privacy come quelli in cui sono letteralmente precipitati alcuni mariti napoletani, vittime anche del passaggio delle auto inviate da Mountain View. Mancherebbe solo un altoparlante posto sul veicolo, o un megafono come quelli usati dagli arrotini per annunciare il loro arrivo nel quartiere.

Ma non è tutto: il Garante ha infatti stabilito che Google dovrà anche preannunciare l’arrivo delleGoogle-car in una determinata località con un anticipo di tre giorni e – qualora si tratti di una metropoli – indicando in quali quartieri transiteranno. L’annuncio dovrà essere diffuso tramite il sito web, ma anche con la pubblicazione della notizia su almeno due quotidiani, nella cronaca locale, e attraverso un’emittente radiofonica locale.

Il provvedimento ha solo in apparenza proporzioni eccessive, in realtà propone misure che possono rivelarsi inefficaci: la pubblicità che Google dovrebbe dare agli itinerari dei propri veicoli potrebbe essere tranquillamente ignorata da chi non legge quei due qoutidiani, non ascolta quella radio locale e non si preoccupa di visitare il sito web di Google.

Non si tratta di una soluzione che agevola l’informazione del cittadino e quindi questa vicenda può avere varie letture: se il Garante, con questo provvedimento, ritenesse di tutelare in modo appropriato la privacy dei cittadini, significherebbe che nel suo immaginario la popolazione italiana è disposta a guardare ogni giorno il sito web di Google, o a spulciarsi le pagine di cronaca locale sui quotidiani (quali?), o ancora ad ascoltare (a che ora? in che trasmissione?) una radio locale in attesa del temuto annuncio. D’altro canto, si potrebbe invece pensare che il provvedimento sia stato così configurato per dimostrareattenzione verso un problema difficile da affrontare in modo adeguato.

Oltre a chi tiene alla propria privacy, fra coloro che potranno trarre beneficio da questo provvedimento si troveranno gli sfaccendati in cerca di visibilità: sapendo con maggiore precisione momento e luogo del passaggio delle fotocamere panoramiche di Street View avranno modo di farsi belli per l’occasione senza essere colti di sorpresa. Il che, in un mondo dominato da reality-show e persone in cerca di un warholiano quarto d’ora di notorietà, non sembra così inverosimile. Chissà, dopo la figura del tronista potrebbe nascere quella dello stradista.

[pubblicato oggi su The New Blog Times]

 
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Pubblicato da su 25 ottobre 2010 in Internet, Life, Mondo, news, News da Internet, privacy, security, tecnologia

 

Forse non tutti gli utenti di Android sanno che…

Due terzi delle applicazioni disponibili su Android Market possono costituire un rischio per la privacy degli utenti che le utilizzano. Lo sottolinea una ricerca condotta da un team formato da ricercatori provenienti dalla Duke University e dalla Penn State University in collaborazione con Intel Labs su un campione di software diffusi dalla piattaforma riservata agli smartphone dotati del sistema operativo made by Google.

Tra le applicazioni da analizzare sono state scelte quelle che richiedono l’accesso a dati personali e quelle di geolocalizzazione (una trentina di applicazioni in tutto sulle 358 selezionate fra le più diffuse), che spesso hanno come effetto collaterale l’invio frequente di informazioni a server esterni. Un’attività di cui l’utente finale, spesso, non è affatto consapevole.

L’analisi è stata svolta con l’utilizzo di TaintDroid, una soluzione che consente di tenere sotto controllo le applicazioni e le informazioni che trasmettono fin dal momento della loro installazione, che ha fatto emergere come determinati software acquisiscano e trasmettano numeri di telefono, ID dell’apparecchio, posizionamento dell’utente.

La giustificazione di Google – che si discolpa trasferendo all’utente la responsabilità della fuga indesiderata di informazioni a causa di applicazioni da lui stesso scelte – non sembra sufficiente ai ricercatori, che auspicano maggiore trasparenza sulle dinamiche di funzionamento delle applicazioni.

Sul piano formale, a mio avviso, Google e il team di sviluppo di Android possono al massimo essere ritenuti corresponsabili, insieme agli sviluppatori delle applicazioni: questi ultimi dovrebbero dare modo agli utenti di conoscere le implicazioni derivanti dall’utilizzo dei loro programmi; l’Android Market, dal canto suo, potrebbe imporre questa trasparenza e fissarla come requisito indispensabile per ottenere la distribuzione delle applicazioni.

Chi fosse curioso di vedere TaintDroid al lavoro può dare un’occhiata qui:

 
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Pubblicato da su 1 ottobre 2010 in Buono a sapersi, cellulari & smartphone, Internet, Life, Mondo, news, privacy, security, tecnologia, telefonia

 

WWW: World Wide Wiretrapping

USA/ Il governo vuole intercettare tutto – The New Blog Times:

Gli Stati Uniti hanno in itinere una proposta di legge alquanto minacciosa per le libertà fondamentali dei cittadini: vogliono poter intercettare tutte le comunicazioni, comprese le email scambiate tramite smartphone e il traffico tra social network, insomma tutto ciò che passa per Internet.

Le autorità, infatti, ritengono che criminali e terroristi vadano “cacciati” proprio laddove hanno trovato rifugio per sottrarsi alle intercettazioni ordinarie. Proprio per questo, stando a un circostanziato rapporto pubblicato dal New York Times, vogliono avere il potere di spingere il wiretapping in quelle aree attualmente ritenute un autentico paradiso per le comunicazioni “segrete”.

Ma come riusciranno a ispezionare le conversazioni con soluzioni peer-to-peer come Skype?

 
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Pubblicato da su 28 settembre 2010 in Mondo, Net neutrality, news, security

 
 
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