L’incontro di Franco Bernabé con i blogger al Mart di Rovereto (museo di cui riveste la carica di presidente del consiglio di amministrazione) rappresenta, a mio parere, un importante segnale di comunicazione. Qualcuno, come temeva Luca De Biase, avrà pensato che fosse una conferenza stampa per i blogger (ma se i blogger non sono giornalisti, la conferenza stampa non ha senso). C’è da tenere conto che non ci sono precedenti: credo si tratti della prima volta che i vertici della principale compagnia telefonica italiana (nonché il più importante Internet Provider) abbiano deciso di confrontarsi, al di là della forma dell’incontro, con una community che non è di giornalisti, non è di analisti, ne’ di azionisti, ma che – anche nella veste di opinion leader – ugualmente rappresenta una fetta del Paese in cui quell’azienda si trova ad operare con i propri importanti (e spesso vitali) servizi.
Seppur invitato non sono riuscito ad andare all’incontro per via di alcuni impegni professionali, ma mi sono accontentato di seguire l’avvenimento in streaming e l’impressione che ho avuto è di aver visto tanti Bernabé.
Al Mart ho visto il Bernabé dell’era post – Tronchetti Provera, che raccoglie un’eredità pesante in termini di immagine nei confronti dell’opinione pubblica perché catalizza su di se’ le malevole (e non sempre ingiustificate) attenzioni di una buona fetta di utenti, consumatori e operatori alternativi, per i quali l’incumbent Telecom Italia è la compagnia telefonica mal privatizzata che detiene la proprietà del principale network TLC italiano che per molti versi è causa dei mali del mercato della telefonia. Non è un fatto personale: uno si può chiamare Tronchetti Provera, Ruggiero, Grillo, Veltroni, Berlusconi, Bonacina, ma se sta ai vertici di Telecom deve accollarsi questo onere.
Ho visto anche un Bernabé tignoso: dice infatti di essere tornato in Telecom “per tigna, per orgoglio, per dimostrare che quello che avevo già pensato potesse essere il futuro di questa azienda è assolutamente fattibile, e non me ne andrò se non dopo aver cercato di realizzarlo”. E questo dopo aver dichiarato che “la scalata a Telecom Italia con i debiti che hanno impoverito la società è stata un delitto contro il progresso del Paese, ha tolto risorse alla Telecom Italia proprio nel momento in cui doveva investire per il futuro. Quando ho criticato l’OPA non l’ho fatto per un interesse di manager, ma perché immaginavo quello che sarebbe successo, e che si è puntualmente verificato”.
C’era poi il Bernabé col pelo sullo stomaco, quello che – dopo le garbate domande presentate dai blogger – ha esclamato “Mi aspettavo domande molto più cattive”.
Alle domande dirette, anche se non cattive, ha però fornito risposte politiche e un po’ opache (caratterizzate cioè da scarsa trasparenza). E qui è affiorato in più occasioni il Bernabé uomo Telecom.
E’ colui che, a chi gli ha chiesto quando si raggiungerà l’atteso traguardo di una copertura del 100% del broad band in Italia, ha minimizzato la questione rispondendo che oggi siamo al 96% e entro breve (ma quanto breve non si sa) raggiungeremo il 98,5%. Al resto si arriverà con altre tecnologie, ha aggiunto Bernabé, precisando che Telecom Italia non può farsi carico dei problemi di chi ha messo su casa in luoghi non appropriati in seguito alla speculazione edilizia. Io spero che con questa frase abbia voluto fare una battuta, ma non è stata comunque delle più felici e ha in ogni caso dimostrato scarsa sensibilità al problema del digital divide.
A chi gli ha chiesto come si pone la sua azienda nei confronti della net neutrality ha poi risposto che si tratta di “un problema importante che va promosso a favore dell’utente, a favore non dei nuovi monopoli della rete, perché altrimenti rifacciamo la storia di Netscape e di Explorer” e aggiungendo la necessità di promuovere tutto ciò che può rendere competitiva la rete anche sul fronte della sicurezza, su cui le telco si devono impegnare perché “quello che si è verificato nella rete negli ultimi anni è anche una riduzione dell’efficacia della rete stessa”, riferendosi al fenomeno dello Spam come ad una piaga epocale (ma glissando sulla questione posta dalla domanda iniziale)
Bernabé dichiara di pensare a Telecom Italia come una stabile public company dopo le turbolenze conseguenti al cambio di gestione, affermando che “il tempo del lavoro dedicato a sistemare i problemi ereditati dalla precedente gestione è finito. E ora possiamo cominciare a lavorare in serenità, sapendo che quello che conta è liberare le forze della rete, per contribuire alla modernizzazione del paese”.
A mio avviso non ci si poteva aspettare di più, dall’amministratore delegato di Telecom Italia, in un incontro che si è svolto a Borsa aperta e di fronte a giornalisti con le orecchie tese (spesso capaci di riferire starnuti che sui mercati finanziari si trasformano in uragani). Ribadisco: l’evento costituisce un importante precedente, un primo passo che nessun altro aveva mai compiuto prima.
Per un Bernabé 2.0 (e soprattutto una Telecom 2.0) è ancora un po’ presto.
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